“Due sigarette” poesia di Cesare Pavese: viaggiava su sporchi vapori

Di seguito si potrà leggere la poesia dell’amato Cesare Pavese dal titolo “Due sigarette”.

“Due sigarette”

Cesare Pavese poesie Due sigarette
Cesare Pavese poesie Due sigarette

Ogni notte è la liberazione. Si guarda i riflessi
dell’asfalto sui corsi che si aprono lucidi al vento.
Ogni rado passante ha una faccia e una storia.
Ma a quest’ora non c’è più stanchezza: i lampioni a migliaia
sono tutti per chi si sofferma a sfregare un cerino.

La fiammella si spegne sul volto alla donna
che mi ha chiesto un cerino. Si spegne nel vento
e la donna delusa ne chiede un secondo
che si spegne: la donna ora ride sommessa.
Qui possiamo parlare a voce alta e gridare,
chè nessuno ci sente. Leviamo gli sguardi
alle tante finestre – occhi spenti che dormono
e attendiamo. La donna si stringe le spalle
e si lagna che ha perso la sciarpa a colori
che la notte faceva da stufa. Ma basta appoggiarci
contro l’angolo e il vento non è più che un soffio.
Sull’asfalto consunto c’è già un mozzicone.
Questa sciarpa veniva da Rio, ma dice la donna
che è contenta d’averla perduta, perchè mi ha incontrato.
Se la sciarpa veniva da Rio, è passata di notte
sull’oceano inondato di luce dal gran transatlantico.
Certo, notti di vento. È il regalo di un suo marinaio.
Non c’è più il marinaio. La donna bisbiglia
che, se salgo con lei, me ne mostra il ritratto
ricciolino e abbronzato. Viaggiava su sporchi vapori
e puliva le macchine: io sono più bello.

Sull’asfalto c’è due mozziconi. Guardiamo nel cielo:
la finestra là in alto – mi addita la donna – la nostra.
Ma lassù non c’è stufa. La notte, i vapori sperduti
hanno pochi fanali o soltanto le stelle.
Traversiamo l’asfalto a braccetto, giocando a scaldarci.

 

 

Cesare Pavese è nato a Santo Stefano Belbo il 9 settembre del 1908 ed è deceduto a Torino il 27 agosto del 1950. Pavese è stato uno scrittore, poeta, saggista e traduttore italiano.

Dalla biografia di Cesare Pavese sappiamo che s’infatuò di svariate donne nel corso della sua vita ma che non riuscì ad instaurare un rapporto solido e soddisfacente. Così come si evince dall’ultima lettera all’amata Pierina (pseudonimo per Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati) scritta prima del suicidio avvenuto il 27 agosto 1950 in una camera d’albergo a Torino:

“[…] Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? E ricordarti che, per via del lavoro che ho fatto, ho avuto i nervi sempre tesi e la fantasia pronta e precisa, e il gusto delle confidenze altrui? E che sono al mondo da quarantadue anni? Non si può bruciare la candela dalle due parti – nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto.”

[…] io stesso mi sono fermato pensiero davanti ai veri o presunti canzonieri costruiti (Les Fleurs du Mal o Leaves of Grass), dirò di più, anch’io sono giunto a invidiarli per quella loro vantata qualità; ma al buono, al tentativo cioè di comprenderli e giustificarmeli, ho dovuto riconoscere che di poesia in poesia non c’è passaggio fantastico e nemmeno, in fondo, concettuale.” ‒ tratto da “Il mestiere del poeta”

 

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