Sliding down the surface of things … oppure no? – parte 3
Parte 1 clicca QUI.
Parte 2 clicca QUI.
Even better than the real thing. “La gente non cerca più esperienze di realtà. Tutti oggi vivono in questa cultura rave, dove quello che conta è solo cogliere il momento./ Originariamente si intitolava The Real Thing, un titolo davvero stupido per una canzone. Poi abbiamo pensato che Evene Better Than The Real Thing sia il mondo in cui viviamo oggi, dove non ci si preoccupa delle conseguenze e di ciò che sta dietro l’angolo, ma solo del momento”. Così Bono spiegò cos’ha portato alla genesi della canzone, nata come demo durante le stesse session che nel 1988 avevano generato Desire, hard blues essenziale sul successo e la vanità. Quella hit che nel ’88 arrivò al numero uno ovunque era già una confessione del cantante sulla propria ipocrisia: sul fatto che negava prima a se stesso di amare il successo e le sue lusinghe, dandosi a credere di essere in tutto e per tutto la persona che dipingevano i media, ossia l’opposto della rock star.
Ma era naturale che non fosse più così. L’originaria The real thing è sulla stessa scia, e nella prima forma era molto rock blues, qualcosa che The Edge definì “ Quanto di più vicino avremmo mai potuto, o voluto, fare ai Rolling Stones”. Fu difficile sbrogliarla nei giorni malinconici di Berlino. Ma pian piano si rappropriarono del senso dell’umorismo. Già, ironia e relax cominciarono a riversarsi sul pezzo, mutandolo radicalmente. La sezione ritmica si fece molto più funky e The Edge lo rese più erotico, con la chitarra slide. Ma anche più brillante, con l’aggiunta nell’intro di un effetto di distorsione strepitoso ottenuto con un pedale whammy, che è quella specie di sintetizzatore spaziale che si sente in apertura. Anche il cantato si fece assai caldo e rilassato, in contrasto con il fragore della musica. Nella rappresentazione della ricerca dell’attimo e della sostenibile leggerezza dell’essere il testo prese la forma della dichiarazione di un amante “ Dammi un’altra chance, sarai soddisfatta. Dammi due possibilità ancora, non sarai rifiutata. Beh, il mio cuore è dov’è sempre stato, la mia testa lì in mezzo da qualche parte. Dammi un’altra chance, lascia che sia il tuo amante stanotte (pensaci)”. Ma, inevitabilmente, parte del trauma emotivo dovuto alla separazione di The Edge e al suo coinvolgimento in una nuova storia vi finì dentro.
Nell’immagine erotica del carpe diem c’è un ché di amaro, un senso di colpa, anche nella bellissima metafora di Icaro quando canta “Siamo liberi di volare nei cieli rosso cremisi, il sole non scioglierà le nostre ali stanotte”. Insomma, complici anche quegli urlati take me higher del finale quasi gospel, la canzone è un ingannevole inno alla leggerezza e alla superficialità. Una volta gli U2 avrebbero raccontato di chi fugge dalla realtà con disperazione e struggimento. Ora, armati di ironia, lo fanno vestendo loro stessi gli abiti della superficialità, invitando quasi a perdersi nel piacere. Ma anche quando Bono canta di “scivolare sulla superfice delle cose”, è chiaro che dietro l’apparenza c’è ben altro…
One. “ One parla di noi a Berlino. Di come fosse stato messo alla prova il nostro senso di unità, ma è inevitabile che parli anche di quello che Edge stava passando. La sua separazione fu straziante per tutti. Era brutto vedere due belle anime come lui e Aislinn soffrire così tanto. In quel momento lui aveva bisogno degli U2 disperatamente/ Molti traducono la frase “we got to carry each other” come “dobbiamo sostenerci a vicenda”. In realtà è “cominciamo a sostenerci a vicenda”: indica che non abbiamo scelta, e che l’unico modo per uscirne è che tu mi sostenga spingendomi oltre il muro e che io dopo aiuti te a fare altrettanto, il ché è l’opposto del concetto hippy di “dobbiamo sostenerci”. Nel 1990 il Dalai Lama ci chiese di prendere parte a un concerto benefico intitolato Oneness, ma io non ne ero convinto, proprio perché era proposto come qualcosa tipo “porgi l’altra guancia”, cosa nella quale io proprio non mi riconosco. Così rifiutammo e io gli inviai una cartolina dove scrissi “We’re one, but we’re not the same”. Anche se siamo uniti non siamo la stessa cosa, abbiamo le nostre divergenze. Mi sorprende sempre vedere persone che vogliono ascoltare ‘One’ al proprio matrimonio e a tutti dico la stessa cosa ‘ ma sei matto!? One parla di separazione!’ “
Quando la band si trasferì a Berlino pensavano che il nuovo ambiente li avrebbe subito riavvicinati all’arte, ai nuovi movimenti musicali. Edge si stava appassionando all’elettronica, così come a certo nuovo metal rumoroso. Complice anche il bisogno di distrarsi e la nuova storia d’amore appena iniziata, frequentava sempre più spesso club e discoteche, e con lui Bono. Le prime fasi del lavoro furono incerte, e perfino i loro storici produttori Daniel Lanois e Brian Eno erano perplessi; gli U2, la rock band più importante del pianeta, che inizia a improvvisare in studio con loop elettronici e tappeti di tastiere e batterie pre-programmate!? Infondo dal precedente tour australiano dell’89 c’era un bel po’ di materiale su cui lavorare. Perché non sarebbero dovuti uscire dallo stallo anche stavolta? E invece no. Tutti erano insoddisfatti: gli arrangiamenti non decollavano, Bono era scontento della propria voce perché cercava nuovi modi di scrivere ed esprimersi che lo portassero fuori da tutto ciò che era già stato fatto, e tutti tranne lui e The Edge erano profondamente a disagio col tentativo di integrare rock e elettronica.
Per la prima volta nessuno voleva andare nella stessa direzione. Adam cominciava a indulgere nello stile di vita da star, Larry si sentiva messo da parte dalle sequenze ritmiche programmate e un giorno fu perfino dimenticato in albergo dagli altri che intanto erano andati in studio! Sembrava una situazione senza via d’uscita: nell’aria c’erano solo tristezza, malinconia, frustrazione. Volavano spesso parole grosse nei corridoi. Tutti sputavano rancore su tutti. Arrivati a un certo punto sembrava che il disco non sarebbe mai riuscito, e che quella sarebbe stata la fine. Ma i miracoli a volte accadono, quando meno te l’aspetti. La band stava lavorando su un altro pezzo, Mysterious Ways, e The Edge stava elaborando la parte centrale del pezzo. Solo in un’altra sala, con la sua chitarra, realizzò due diverse progressioni d’accordi, nessuna delle quali alla fine fu scelta. In ascolto però c’era Daniel Lanois, che gli disse dall’interfono “Edge, prova un po’ a suonarle in sequenza”.
E il risultato fu una sequenza chitarristica dolce, emozionante, del tutto inattesa. Quando il chitarrista la elaborò per renderla più fluida Bono ne fu catturato emotivamente e in maniera assolutamente istintiva ci si lanciò improvvisando il cantato e il novanta per cento del testo. Un momento di magia. Forse neanche il cantante se ne rese subito conto, ma quell’improvvisazione conteneva tutti i sentimenti della band in quel periodo. E alla fine si trasformò in una preghiera, un appello all’unità e alla coesione anche quando la convivenza è difficile e il compromesso sembra impossibile. Una canzone sul risentimento e il senso di colpa che accompagnano la fine di un grande amore e la consapevolezza che anche sentimenti importanti possono essere logorati. Quello stato di grazia divenne ben presto One. Fin dalle prime prove, tutto il gruppo seppe finalmente di aver a che fare con una canzone grandiosa. Sentivano che rappresentava la sintesi ma anche la catarsi di tutto il malessere accumulato fino ad allora ed esploso nel soggiorno berlinese. Ma, indirettamente, rappresentava anche il caos e la confusione che tante persone, soprattutto i giovani, provavano in Germania e in questa nuova Europa in cui si parla tanto di unità ma dove tutti, ora che sono forzati a essere vicini di casa, sentono di “non essere gli stessi”. Come ebbe a dire proprio Larry “One ci ha indicato la direzione da seguire. E fu il momento in cui tutti ci dicemmo ‘Ok. Ora il disco è decollato’ “.
Quali altri sentimenti spiegherebbero questi versi: “Dovrebbe essere più facile ora che hai qualcuno da incolpare” “Uno solo l’amore che dobbiamo portare, ti abbandona se non ti curi di lui” “Sei tornata per il perdono? Sei tornata per resuscitare i morti? Sei tornata per giocare a fare Gesù con i lebbrosi nella tua testa? Ho chiesto troppo? Più di un sacco? Mi lasci senza niente, e niente è tutto ciò che ho adesso.”
Aperta a molteplici interpretazioni, One si sarebbe presto trasformata in una canzone simbolo della lotta alle differenze e ai pregiudizi. In tempi in cui si faceva un gran parlare di omosessualità e AIDS, molti dissero che il testo fosse una conversazione tra un padre e suo figlio gay e sieropositivo. Ma come ebbe a spiegare Bono “L’AIDS non è l’unica minaccia all’amore. Tutto quanto la fuori è contrario al concetto di coppia. L’amore e la fedeltà vengono costantemente messi alla prova dalla pubblicità, dai film, e dai messaggi che passa la società. Non posso credere che abbiamo lasciato anche una cosa tanto sacrale come il sesso ai più stupidi, ai pornografi e gente simile, che ne hanno svilito il significato. Tutto è diventato una questione di spacconeria” . E non c’è molto altro da dire a riguardo.
Fonti:
“Into The Heart” di Niall Stokes (2003)
“U2 by U2” raccolta di interviste dal 1979 al 2006 ( 2006)
Written by Fabio Orefice
fabio.orefice@hotmail.it
Parte 4 clicca QUI.
Parte 5 clicca QUI.
Parte 6 clicca QUI.
7 pensieri su “Sliding down the surface of things … oppure no? – parte 3”