“L’airone” racconto di Jean de La Fontaine: chi troppo vuole nulla stringe
“L’airone”
“Aveva il becco lungo, il collo ancor più lungo, per non parlare delle zampe interminabili.
Era un airone, e passeggiava pigramente costeggiando un fiumiciattolo dalle acque limpidissime e poco profonde, quando scorse una carpa argentata che guizzava nella corrente in compagnia di un luccio amico.
Il maestoso uccello avrebbe potuto facilmente afferrarli, tant’erano vicino alla sponda: bastava si sporgesse appena appena.
Ma non avendo molto appetito, penso che avrebbe atto meglio ad aspettare un pochettino.
Era un airone che non mangiava mai fuori orario!
Pochi minuti dopo a mezzogiorno in punto, ritenne giunto il momento di scrutare le acque.
Vide alcune tinche, sì, ma le disdegnò: oltre che abitudinario, quell’airone era un tantino schizzinoso, a dirla tutta…
«Tinche?» gracchiò. «Un airone che si rispetti non mangia un piatto così miserabile!».
Poi avvistò del piccoli pesciolini.
«Figurarsi!» sbottò. «Non faccio neanche la fatica di aprire il becco per, dei pescetti simili».
Di questo passo, si ritrovò a sera sfinito dalla fame e fu ben contento di sgranocchiarsi senza tanti complimenti una minuscola lumachina.
Chi troppo vuole nulla stringe, a quanto pare.”
Jean de La Fontaine (Château-Thierry, 8 luglio 1621 – Parigi, 13 aprile 1695) è stato uno scrittore e poeta francese, autore di celebri favole con intenti moralisti.
Lui stesso si definì «anima inquieta e ovunque ospite di passaggio» e se per tutta la sua vita oscillò tra la pace della campagna e la seduzione della vita mondana parigina, dimostrò poche qualità oratorie nei salotti, compensate da un temperamento amabile in grado di farsi ben volere dal protettore di turno, che però non gli risparmiò qualche problema con il re, a causa del suo rifiuto di rinunciare alla libertà di pensiero.
Se complessivamente si dimostrò uno spirito perplesso, tipica caratteristica dell’uomo copernicano, solo nelle idee del filosofo Pierre Gassendi riuscì a rintracciare un appagamento ai suoi dubbi, che si concretizzò in una visione comune epicurea, scettica e libertina.
Attinse dalla grande lezione di François Rabelais per evitare qualunque codificazione del gusto e costrizione della fantasia, e questo fatto lo rese un anticipatore della stagione illuminista. Scrisse racconti tratti da Ariosto e da Boccaccio; molti suoi scritti furono ispirati alle opere di Esopo, Orazio, Machiavelli e di Virgilio.
Le favole di La Fontaine perpetuano una tradizione medievale francese di storie comiche e satiriche sui costumi sociali, dove gli attori sono personificazioni di animali.
L’opera di La Fontaine è stata anche un lavoro di traduzione e adattamento di testi antichi, come le favole di Esopo, Fedro, di Laurentius Abstemius ma anche di testi di Orazio, Tito Livio, lettere apocrife di Ippocrate, e molti altri ancora. Sono una summa di cultura latina classica e di cultura greca, aperta anche, nella seconda collezione di favole, alla tradizione indiana.
(Fonte biografia: Wikipedia)