“Io, prigioniero in Russia” di Vincenzo Di Michele, La Stampa Edizioni

In quei giorni di combattimento gli aerei russi ci lanciarono sulle nostre linee dei volantini, invitandoci alla diserzione. In tali messaggi ci ricordavano le festività di Natale, le nostre mogli, i nostri figli e i familiari. Ci dicevano: ‘Perché siete venuti qui in Russia a combattere contro un popolo che non ha mai minacciato di invadere l’Italia?’ Quindi concludevano dicendo di tornare a casa o di darci prigionieri.”

I racconti di guerra non sono tutti uguali. Ogni ricordo ha la caratteristica di essere l’esperienza di una vita, di una vita che ha potuto raccontare ciò che realmente è successo.

Non quindi il racconto dei vincitori, non quello dei vinti ma le parole di un uomo che durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale si è trovato in terra straniera, lontano dai familiari, in un luogo del quale non si conosceva nulla con una sola convinzione: sarà breve. L’unica convinzione che Alfonso Di Michele aveva si è dimostrata errata.

Io, prigioniero in Russia”, edito nel 2008 dalla casa editrice L’Autore Firenze Libri e dopo numerose ristampe edito dalla casa editrice La Stampa Editore, ha venduto 50.000 copie ed è la seconda pubblicazione dell’autore  Di Michele Vincenzo, scrittore e giornalista pubblicista.

La prima pubblicazione è avvenuta nel 2006 “La famiglia di fatto e l’ultima risale al 2010 “Guidare oggi”. Tre libri che sottolineano la poliedricità di contenuti e la salda attenzione verso la società.

“Io, prigioniero in Russia” è il diario di un uomo che a distanza di 50 anni dagli episodi narrati ha sentito il bisogno di lasciare la sua personale testimonianza. Un’esperienza, quella della campagna in Russia, che ha solcato profondamente lo spirito ed il corpo e che doveva esser raccontata per sottolineare che  protagonista della guerra è stato il popolo; per questo “Io, prigioniero in Russia” è sinonimo di “guerra vista con gli occhi dell’uomo comune”.

Alfonso Di Michele (1922, Intermesoli fraz. Pietracamela – 1993, Roma) è stato uno dei 10.000 reduci che hanno avuto la fortuna di tornare in Italia, 10.000 su 200.000 soldati inviati per la campagna in Russia. Un diario che amorevolmente il figlio Enzo Di Michele   ha curato e pubblicato per condividere questa preziosa documentazione storica su un argomento scottante sul quale si vuole tacere.

C’era la fame; una fame di quelle vere che ti istradava il cervello verso un unico pensiero. Mangiare, mangiare; sempre mangiare. Solo chi ha vissuto una simile esperienza può comprendere quali variegate sensazioni si provano, quando lo stomaco incessantemente ti reclama il cibo. È veramente un’ossessione trascorrere la giornata nel pensare a qualcosa da mettere sotto i denti, e ancora più ossessionante è il pensiero mirato all’escogitare delle possibili soluzioni per procurarsi il cibo.”

Tredici capitoli nei quali passo passo Alfonso Di Michele ci racconta della sua vita, di chi era, di quando è partito da Intermesoli piccolo paese alle pendici del Gran Sasso, delle sue speranze, delle sue convinzioni, del gelido freddo russo, della gentilezza delle donne russe, della battaglia, delle differenze con i soldati tedeschi, dei temuti lager dei quali si evita in genere di parlare, della marcia del ‘davai’, della prigionia, del cannibalismo, del tifo petecchiale, della fame ossessiva, degli amici morti per denutrizione, delle mancate informazioni, del ritorno a casa.

Il primo abbraccio fu quello ai miei fratelli e al mio compare allorché mi vennero a prendere per riportarmi a casa. In quel 7 dicembre del 1945, in una notte decisamente invernale con i fiocchi di neve che si aggrappavano delicatamente sui tetti delle case, peraltro già carichi di un consistente strato di manto nevoso, si consumava l’insperato ritorno al mio paese.

 

Written by Alessia Mocci

Responsabile dell’Ufficio Stampa di Vincenzo Di Michele

(alessia.mocci@hotmail.it)

 

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21 pensieri su ““Io, prigioniero in Russia” di Vincenzo Di Michele, La Stampa Edizioni

  1. Non condivido, e non riesco a condividere il giustificazionismo del comportamento sovietico, far passare per povera vittima una nazione che negli ultimi due anni aveva aggredito sei popoli, ed ha fatto morire di fame il 90% dei prigionieri italiani, è squallido.

    1. E’ un’esperienza personale, Stefano. Credo che ogni nazione in guerra non sia da giustificare. in questo caso si ha l’Italia in territorio straniero con un’epslicita manovra di attacco.

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