“Rime del cuore morto” poesia di Sergio Corazzini: io venni al mondo per amare
“Rime del cuore morto”

O piccolo cuor mio, tu fosti immenso
come il cuore di Cristo, ora sei morto;
t’accoglie non so più qual triste orto
odorato di mammole e d’incenso.
Uomini, io venni al mondo per amare
e tutti ho amato! Ho pianto tutti i pianti
vostri e ho cantato tutti i vostri canti!
Io fui lo specchio immenso come il mare.
Ma l’amor onde il cuor morto si gela,
fu vano e ignoto sempre, ignoto e vano!
Come un’antenna fu il mio cuore umano,
antenna che non seppe mai la vela.
Fu come un sole immenso, senza cielo
e senza terra e senza mare, acceso
solo per sé, solo per sé sospeso
nello spazio. Bruciava e parve gelo.
Fu come una pupilla aperta e pure
velata da una palpebra latente;
fu come un’ostia enorme, incandescente,
alta nei cieli fra due dita pure,
ostia che si spezzò prima d’avere
tocche le labbra del sacrificante,
ostia le cui piccole parti infrante
non trovarono un cuore ove giacere.

Sergio Corazzini (Roma, 6 febbraio 1886 – Roma, 17 giugno 1907) è stato un poeta italiano appartenente al crepuscolarismo romano del primo decennio del Novecento. Morì di etisia (tubercolosi) nella sua casa di via dei Sediari. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.
La sua poesia è focalizzata su “piccole cose”, dietro le quali non emergono valori segreti, ma si nasconde il vuoto, tipico dei poeti crepuscolari tra i quali Corazzini fu annoverato. I suoi versi esprimono da un lato un malinconico desiderio per quella vita che la malattia gli negava, dall’altro un nostalgico ritrarsi dall’esistenza presente, proprio perché avara di prospettive future.
Nelle poesie di Corazzini si possono cogliere due momenti: quello del povero poeta sentimentale che racconta la propria malinconia con un linguaggio semplice e dimesso e quello del poeta ironico che adotta un linguaggio meno trasparente, più polisemico, a volte addirittura simbolico.
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