“Stockhausen” di Conny Stockhausen, recensione di Marzia Carocci

Un libro che finalmente ci fa riflettere, poiché qui, vi troviamo i dilemmi, le domande gli interrogativi che emergono in ogni uomo, ogni riflessione infatti fa da eco ai quesiti esistenziali.

 

Stockhausen

Ogni essere umano può sentirsi partecipe a ciò che l’autore con parole misurate e scarne scava in un pensiero che è costantemente in continua evoluzione.

Non mi era ancora chiaro/ se ero io a guardarmi allo specchio/ o una mia proiezione da vecchio/

Riflessioni, meditazioni, considerazioni sono i fattori principali che Conny Stockhausen usa nei suoi “monologhi”. Il lettore s’immerge nella lettura, entrando quasi in simbiosi con le osservazioni dell’autore che magistralmente apre gli atavici dubbi dell’umanità.

Fra le righe sorvola la voce d’un amore ormai muto che ha lasciato la consapevolezza di un vuoto dolore:

Non ho dimenticato, / non ci sono ancora riuscito. / Sono andato a vivere dove tu / non potevi trovarmi. / La fine me l’aspettavo diversa / l’immaginazione mi ha ingannato ancora/


Scrittura creativa dove poche parole danno il senso di compiuto e specificato.

Dieci anni fa il cuore ha deciso di separarsi dal corpo. / Vivo ancora oggi questa duplice sofferenza.”

Come in un quadro di autore, l’arte va “cercata” nel segno così come Stockhausen lascia il segno indelebile d’una vita vissuta nella meditazione e nella considerazione d’un navigare terreno.»

 

Written by Marzia Carocci

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *