“Diario intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la caduta nell’abisso − settembre 1855/1863

“… Che aspetto malinconico può presentare la vita, quando si segue il corso delle proprie fantasticherie! È come un vasto naufragio notturno, in cui cinquanta voci care invocano soccorso, ma l’implacabile onda che sale spegne successivamente tutti i gridi, senza lasciare la possibilità di stringere una mano o di dare un bacio d’addio in quelle tenebre di morte.” − Henri-Frédéric Amiel

Henri-Frédéric Amiel - 1852
Henri-Frédéric Amiel – 1852

Nel mese di settembre ma nel 1855 e 1863 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.

Amiel non è celebre, non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.

Eppure, malgrado l’atteggiamento da eremita, con il suo Diario Intimo ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea e che si sono moltiplicate nella nostra attuale.

In 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni. Alla sua morte furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier pubblica una selezione più ampia.

Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei.

E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.

Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.

Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.

Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una bellissima pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione. La selezione di febbraio ci ha portati nel 1869 con il discorso della facoltà di conoscere, marzo 1868 abbiamo attraversato le facoltà di metamorfosi, aprile del 1850 è stato il mese in cui abbiamo visto come la coscienza possa essere duplice e ci siamo soffermati sull’importanza del matrimonio. maggio siamo stati a cavallo tra il 1852 ed il 1855 esaminando come la parola possa essere rivelazione, le pagine selezionate condividono l’interrogazione sulla parola e sull’abisso che risiede in ognuno essere umano ma che viene cercato da pochi. Nella selezione del mese di giugno ci siamo trovati nel 17 giugno 1857 e nel 25 giugno 1865, Amiel si interrogava sul come debba agire un uomo di cultura e rifletteva sulla dualità delle lacrime. luglio (1856 e 1859) descriveva l’uomo europeo con le sue diversità culturali prendendo ad esame la Germania, l’Italia, l’Inghilterra e la Francia. Per il mese di agosto (1852 e 1859) si è deciso di selezionare tre giornate nelle quali spicca la riflessione sull’uomo d’ingegno e l’uomo di genio, sull’essere un pianeta oppure una stella.

La scelta del mese di settembre consiste in due giornate, il 4 settembre 1855 ed il 2 settembre 1863 (da cui è tratta la citazione iniziale). La prima giornata verte sul come limitare l’esagerata riflessione critica e sulla rinuncia dal voler sapere tutto perché è una meta che non si potrà raggiungere. La seconda giornata racconta del naufragio, dell’abisso temibile nel quale cade l’uomo quando l’universo delle idee diventa fumo, quando le verità che l’uomo si racconta diventano fantasticherie.

 

4 settembre 1855

Frammenti di un giornale intimo - Henri-Frédéric Amiel - settembre
Frammenti di un giornale intimo – Henri-Frédéric Amiel – settembre

… La volontà del carattere e la decisione dello spirito sono indispensabili per limitare la riflessione critica. Madre prolifica di cavilli, scrupoli ed obiezioni di ogni genere, la critica come un prisma refrattario spezza i raggi luminosi in uno spettro a sette colori; come la formula magica del mago novizio, suscita venti folletti, che non può più domare né annientare: mette l’anatomia al posto dell’essere vivo e a forza di guardare gli alberi non scorge più la foresta.

L’analisi è pericolosa, se domina sulla forza sintetica. – La riflessione è temibile, se distrugge la facoltà d’intuizione. – L’esame è fatale, se soppianta la fede. – La decomposizione è micidiale, quando supera l’energia combinatrice della vita.

L’azione separata di tutte le sfere interiori diventa un gioco distruttore, quando esse cessano di poter ritornare all’azione unica. – Quando il sovrano abdica, comincia l’anarchia. Quando un corpo cessa di vivere, c’entrano i vermi.

Ora è questo il pericolo che ti minaccia. Tu perdi l’unità di vita, di forza, d’azione, l’unità della parola; sei legione, parlamento, anarchia; sei divisione, analisi, riflessione; sei sinonimia, sì e no, dialettica; di qui la debolezza. La passione del completo, l’abuso della critica, la manìa anatomica, la diffidenza del primo movimento, della prima parola, della prima idea, spiegano il punto a cui sei arrivato.

L’unità e la semplicità dell’essere, la fiducia e la spontaneità della vita stanno per scomparire. Per questo tu non puoi agire e non hai carattere.

Bisogna rinunciare a sapere tutto, a volere tutto, ad abbracciare tutto; bisogna rinchiudersi da qualche parte, contentarsi di qualche cosa, compiacersi di qualche opera, osar essere ciò che si è, rassegnarsi di buona grazia a tutto ciò che non si ha, attaccarsi alla propria pelle, credere nella propria individualità,

Non compiacersi soltanto delle cose più belle del mondo,

ma trovare più bella di tutte la cosa che vi piace.”[1]

La sfiducia in te ti rode; confidati, abbandonati, credi e sarai sulla via della guarigione. La prova che questa tendenza è cattiva, è che ti rende infelice e t’impedisce d’agire. L’incredulità è la morte; e l’ironia di se stessi, come l’abbattimento, sono incredulità. È più facile condannarsi che santificarsi, e il disgusto di sé viene più dall’orgoglio che dall’umiltà… La vera umiltà sta nell’accontentarsi.

 

2 settembre 1863 (ore otto e mezza di mattina)

… Che aspetto malinconico può presentare la vita, quando si segue il corso delle proprie fantasticherie! È come un vasto naufragio notturno, in cui cinquanta voci care invocano soccorso, ma l’implacabile onda che sale spegne successivamente tutti i gridi, senza lasciare la possibilità di stringere una mano o di dare un bacio d’addio in quelle tenebre di morte. – Da questo punto di vista il destino appare aspro, selvaggio, crudele, e la tragicità della vita si drizza come uno scoglio in mezzo alle acque piatte della trivialità quotidiana.

Impossibile non essere seri davanti all’indefinibile inquietudine che produce in noi questo spettacolo. La superficie delle cose è ridente o banale, ma la profondità è austera e formidabile. Non appena si toccano le cose eterne, i destini dell’anima, la verità, il dovere, i segreti della vita e della morte, si diventa gravi anche proprio malgrado.

L’amore sublime, unico, invincibile conduce diritto all’orlo del grande abisso, poiché parla immediatamente d’infinito e d’eternità. È eminentemente religioso. Può diventare anche religione.

Quando tutto intorno all’uomo vacilla, trema e si oscura nelle lontane oscurità dell’ignoto, quando il mondo non è più che finzione o incantesimo, e l’universo chimera, quando tutto l’edificio delle idee svanisce in fumo e tutte le realtà si convertono in dubbio, quale punto fisso può restare ancora all’uomo?

Il cuore fedele di una donna. Qui può appoggiare la testa per riprendere coraggio a vivere, fede nella Provvidenza, e, se occorre, morire in pace con la benedizione sulle labbra.

Chi sa se l’amore, la sua beatitudine, questa evidente manifestazione d’un’armonia universale delle cose, non è la migliore dimostrazione d’un Dio sovranamente intelligente e paterno, come è il cammino più breve per andare a lui?

L’amore è una fede e una fede chiama l’altra. Questa fede è una felicità, una luce, una forza. – Solo per questa via si entra nella catena dei vivi, dei ridesti, dei felici, dei redenti, dei veri uomini, che sanno ciò che vale l’esistenza e lavorano alla gloria di Dio e della verità. Fino a questo punto non si fa che balbettare, barbugliare, perdere i propri giorni, le proprie facoltà e i propri doni, senza scopo, senza gioia reale, come un essere infermo, invalido, inutile e che non conta nulla.

Forse per mezzo dell’amore ritornerò alla fede, alla religione, all’energia, alla concentrazione. Mi sembra almeno che, se trovassi la mia anima gemella e la mia compagna unica, tutto il resto mi verrebbe in soprappiù, come per confondere la mia incredulità e far arrossire la mia disperazione. Credi dunque alla Provvidenza paterna ed osa amare!

 

Note

[1] Friedrich Rückert (Schweinfurt, 16 maggio 1788 – Neuses, 31 gennaio 1866) è stato un poeta tardo-romantico, traduttore, studioso e professore di lingue orientali tedesco.

 

Bibliografia

“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)

 

4 pensieri su ““Diario intimo” di Henri-Frédéric Amiel: la caduta nell’abisso − settembre 1855/1863

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