“La nostra rivoluzione: voci di donne arabe” di Hamid Zanaz: l’emancipazione avviene con la laicità ed il superamento del patriarcato

Il tema della condizione femminile agita costantemente il dibattito pubblico nei paesi arabi ormai da moltissimi anni.

La nostra rivoluzione: voci di donne arabe

Gli argomenti sui quali si focalizza la discussione di intellettuali, studiosi, giornalisti spaziano dalla condizione della donna all’interno del nucleo familiare, alle differenze di genere nel mondo del lavoro e dell’istruzione, dal ruolo della donna nell’ambito della società araba fino alla sua sottomissione alle regole della religione islamica, che rimane elemento trasversale a tutto il mondo arabo.

Sono molte le donne che discutono, si confrontano e sviluppano pensieri e teorie sociologiche che mirano a scardinare gli architravi di una società maschilista e patriarcale, nel tentativo di dare la giusta voce alle protagoniste sia nel quotidiano che negli eventi eccezionali.

Il giornalista e scrittore algerino Hamid Zanaz, ora residente in Francia, ha raccolto in un volume le opinioni di alcune illustri donne arabe proprio sui temi legati alla condizione femminile nella società araba.

La nostra rivoluzione: voci di donne arabe”, edito in Italia da Elèuthera, è un libro corale, in cui le domande che l’autore rivolge alle sue ospiti riescono a creare una circolarità di pensiero e di punti di vista.

No, la voce della donna nel cosiddetto mondo arabo-musulmano non è più una vergognasi legge nell’incipit introduttivo del volume, dove ci viene ricordato chegià nel dodicesimo secolo Ibn Rochd (Averroè) attribuiva la stagnazione dei paesi musulmani alla subordinazione delle donne”.

Donne che hanno iniziato a far sentire la propria voce cercando di superare gli ostacoli di natura culturale e religiosa che costellano il cammino verso la piena emancipazione.

La maggioranza degli arabo-musulmani resta orientata intellettualmente verso il passato, ma nello stesso tempo è travolta da una modernizzazione imposta dai cambiamenti materiali, dall’accesso delle donne nel mondo del lavoro e dalla globalizzazionesottolinea Raja Ben Slama, docente universitaria tunisina.

Uno dei temi che maggiormente ricorrono quando si parla di condizione delle donne nel mondo arabo-musulmano è l’imposizione del velo, un obbligo vigente in molti paesi islamici che di fatto riduce la donna ad un livello di sottomissione rispetto all’uomo.

Il hijab riflette una trasformazione sociale che si insinua nelle menti mediante un’ideologia politico-religiosa. È questa che vede la donna come una fonte peccaminosa dalla quale gli uomini si devono proteggereè l’opinione di Elham al Manea, insegnante universitaria svizzero-yemenita, cui fanno eco le parole di Amel Grami, islamologa tunisina, secondo cui “dietro ogni hijab c’è una storia, un fine e una certa concezione della vita. Per questo nel velo non si deve vedere un solo significato e un’unica funzione, perché i significati del velo differiscono da una donna all’altra, a seconda della struttura psicologica, caratteriale e culturale”.

In altre parole una interpretazione maggiormente soggettiva delle motivazioni che portano ad indossare l’hijab, rispetto invece all’imposizione dettata da regole religiose stringenti.

L’iraniana Abnousse Shalmani a proposito del velo sostieneL’oscenità del corpo femminile è tanto più visibile quanto più è coperto. Mistero e pericolo: ecco che cosa comunica il velo. Quando è imposto il velo è una prigione. Quando è scelto in taluni casi rimanda a credenze che negano i principi di parità, e in altri palesa un comportamento politico a sostegno di una visione tradizionalista e retrograda. In entrambi i casi le grandi sconfitte sono le donne. Anche quando lo scelgono”.

Hamid Zanaz

Interessante il tema del femminismo islamico che viene affrontato dalla libanese Joumana Haddad, docente di scrittura creativa presso la American University di Beirut. La Haddad sostiene che non si può teorizzare il femminismo all’interno delle tre religioni monoteiste in quanto patriarcali nella loro essenza e la donna viene considerata un accessorio dell’uomo (la costola), con un ruolo decisamente secondario.

Da ciò la Haddad deduce che una donna non deve necessariamente essere atea per definirsi femminista, ma di sicuro deve essere laica. È solo la laicità che permette di separare nettamente la sfera privata, intima alla quale va ricondotta la religione, dalla sfera pubblica che attiene alla vita delle persone all’interno di un contesto sociale.

Non è possibile teorizzare il femminismo a partire da una visuale religiosa” chiosa la docente, che continua “la concezione essenziale del femminismo è sempre stata quella di una parità di diritti e ruoli tra i generi. Ma le religioni monoteiste non accettano questo discorso di parità e propongono in sua vece un discorso di complementarietà, a mio avviso paternalistico”.

In altre parole il modello sociologico di riferimento di tutte e tre le religioni monoteiste è quello patriarcale, dove il maschio è soggetto dominante in ambito sociale, quindi pubblico, e in ambito familiare, quindi privato.

Dopo il lungo excursus di problemi legati alla condizione della donna nel mondo arabo-musulmano, l’autore Zanaz rivolge a una delle sue ospiti una domanda di prospettiva, relativa alla possibilità di emancipazione degli uomini e delle donne sotto l’Islam.

A rispondere è la svizzera-tunisina Saida Keller Messahli, anche lei docente universitaria, la quale afferma che “È possibile per la donna e per l’uomo emanciparsi sotto l’Islam, a condizione che mirino a separare le loro esigenze spirituali dalla vita politica”.

E si ritorna a quel concetto di laicità che appare essere la discriminante fondamentale. Laicità e superamento del modello patriarcale sono i due elementi essenziali per aprire le porte ad una società paritaria nel mondo arabo, dove le donne finalmente avranno gli stessi diritti, gli stessi ruoli fino ad oggi riservati solo ed esclusivamente agli uomini, troppo spesso in nome di un dettato religioso che permea la vita pubblica e privata di ciascun individuo.

 

Written by Beatrice Tauro

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