“La Depressione è una dea. I romani e il male oscuro” di Donatella Puliga: la bile nera e la Melancholia

“[…] ed essi umiliano i loro animi con la paura degli dei/ E, prostratili, li premono a terra,/ poiché l’ignoranza delle cause li costringe ad attribuire/ ogni cosa al comando delle divinità e ammetterne il regno” ‒ Lucrezio ‒ “De Rerum Natura”

La Depressione è una dea

La Depressione è una dea. I romani e il male oscuro”, un saggio antropologico sul modo di vivere degli antichi romani e sul loro modo di percepire, vivere, affrontare e, eventualmente, curare la depressione o il male di vivere.

Il saggio è scritto da Donatella Puliga ed è edito per Il Mulino nel 2017.

La dott.ssa Puliga, dall’anno accademico 1997/8 insegna Mitologia classica e Lingua e Letteratura latina presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Siena, dove è responsabile del Laboratorio di ricerca sulla didattica dell’antico, che ha fondato nell’ambito del Centro di Antropologia e mondo antico diretto da Maurizio Bettini.

Si occupa in particolare della dimensione antropologica della civiltà greco-romana, ed è interessata alla permanenza di moduli classici nella società contemporanea, oltre che nella letteratura e nell’arte. È impegnata in progetti di divulgazione della cultura classica nelle scuole di ogni ordine e grado.

Ammettiamolo, studiando la storia o anche solo pensando agli uomini che hanno vissuto in epoche antiche, nessuno di noi si è mai posto davvero una domanda fondamentale: gli antichi o i Romani, in questo caso specifico, hanno mai sofferto di quella che ormai è una delle più grandi psicopatologie del nostro tempo? Conoscevano la depressione? Condizionava le loro vite?

Qual è la prima immagine che ci viene in mente quando pensiamo ai romani?

Ve lo dico io: un uomo in armatura e uno strano elmo, oppure un uomo in toga che si appresta a fare un discorso alla folla o in senato. Ecco come nascono i cliché ed ecco come nessuno di noi si pone mai il problema di conoscere l’umanità per poter imparare progredire.

I Greci e i Romani vivevano come noi, con le stesse incertezze e le stesse domande.

I primi categorizzano il disturbo come bile nera, quindi qualcosa che avesse a che fare con la sfera del copro umano e quindi una vera e propria patologia fisica. La loro conoscenza di questa patologia che non era facilmente curabile iniziò ad essere chiamata, ne abbiamo riferimenti anche in Omero, Melancholia.

Ippocrate creò di trovare una teoria che riuscisse a dipanare la matassa dei sintomi accusata da coloro che erano affetti da questo oscuro male. Fu poi succeduto da Galeno che ne distingueva tre tipi fisiologici: Ipocondriaco (la bile nera era prodotta dal sistema digestivo); Encefalico (quando la bile saliva al cervello) e il terzo era quello in cui il male si era ormai diffusa a tutto il corpo.

Per i greci, la Melancholia era un male fisico a tutti gli effetti e non uno stato d’animo.

Per quanto riguarda l’ambito romano, il primo a far menzione della Melancholia è un personaggio illustre che nella sua opera: Tuscolanae, affronta l’argomento di ciò che è necessario all’uomo per raggiungere la felicità.

Questo uomo altro non era che Cicerone. Conosciamo tutti, anche solo per sentito dire o rimembranze scolastiche le vicende che lo videro avverso a Cesare. E, non ci crederete mai, ma anche questa grande eminenza della nostra storia ha avuto a che fare con quello che gli inglesi, molti anni dopo, chiameranno: il cane nero.

Altri due grandissimi autori hanno avuto modo di teorizzare questo grande male e di cercare di trovarvi una soluzione. Sto parlando di Lucrezio e Seneca, per cui le ragioni del malessere sono ad imputare all’individuo e non al corpo che, semmai, ne seguirebbe l’inclinazione a lasciarsi andare.

Donatella Puliga

Entrambi affrontarono la questione a modo loro ed entrambi avevano le loro ragioni. Sarebbe molto appagante, dopo aver letto le loro opere in merito, poter tornare agli anni in cui questi due uomini sono vissuti per vedere le cose con i loro occhi e scoprire che in realtà siamo noi ad aver sottovalutato la società dei loro anni.

Il risultato potrebbe essere che loro conoscevano meglio di noi quello che ci attanaglia e comprime in nostro animo al punto che, a volte, è difficile respirare.

Non tutti si ammalano nello stesso modo, non tutti sono in grado di capire cosa li opprime e spesso non è facile spiegare. Questo è, in maniera straordinaria, attuale.

Sfogliando questo saggio troverete le connotazioni e gli studi che hanno portato alla conoscenza odierna su male oscuro che da sempre affligge animi e corpi di ogni età e di ogni estrazione sociale.

La Dott.sa Puliga affronta l’argomento in maniera esaustiva e competente. In questo volume troverete le fonti e potrete leggere con i vostri occhi ciò che il passato ha da restituirci in merito. Saprete che per coloro che ci hanno preceduti, la melancholia, la bile nera, e il cane nero non era un argomento solo medico ma era argomento anche nel teatro e nella letteratura.

Per alcuni, come vedrete, essere melancolici fu una vera e propria arte.

“Sebbene sia molto ciò che togli dal gorgo dei miei affanni,/ ciò che resta non sarà meno di ciò che è stato eliminato./ Un lungo tempo forse produrrà una cicatrice:/ le ferite ancora fresche non sopportano che vi si accostino le mani./ Non sempre dipende dal medico che il malato si risollevi:/ talora il male è più forte della scienza, per quanto profonda.”  Ovidio, Epistulae ex Ponto. Pont. I,3

Infine, scoprirete che non siamo così soli e non siamo mai stati degli unicum e, nonostante i secoli, abbiamo molto da condividere con coloro che ci hanno preceduto.

 

Written by Altea Gardini

 

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