Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Rubens D’Oriano

“Vendere il corpo è peggio che vendere l’anima?” – Rubens D’Oriano

Rubens D’Oriano

Inauguriamo oggi con l’archeologo Rubens D’Oriano una nuova rubrica, made in Oubliette, che punta a metter luce sulle origini della Sardegna e sul disagio della fantarcheologia che ha notevolmente intralciato l’investigazione e la divulgazione archeologica.

Neon Ghènesis Sandàlion da tradursi con “La Sardegna della nuova nascita” è un progetto che si estenderà a numerosi archeologi che hanno studiato e studiano la Sardegna nuragica per donarci nuovi pezzettini dell’intricato puzzle della storia di quest’isola. Per coloro che non ne fossero a conoscenza, i Greci denominavano la Sardegna sia Sandàlion (per la forma di “sandalo” e qui si potrebbe aprire anche un’interessante riflessione sulle conoscenze di questo popolo) sia Ichnussa. E sì, non si nasconde che la denominazione della rubrica è anche un richiamo all’anime Neon Genesis Evangelion.

Rubens D’Oriano si è laureato a Pisa ed è specialista prevalentemente di archeologia classica, ma vanta l’edizione di lavori scientifici anche di ambito nuragico e medievale.

Dal 1978 è archeologo della Soprintendenza di Sassari e Nuoro, direttore di scavi e ricerche sia terrestri che subacquei, organizzatore di mostre e allestimenti museali, relatore di convegni internazionali e nazionali, autore di numerosissimi contributi scientifici di ambito sia specialistico in riviste specializzate che divulgativo.

Ed ora mettetevi comodi, molto comodi, perché l’intervista è lunga e gli argomenti trattati sono molteplici e complessi.

 

A.M.: Quanto la leggenda e l’astrazione hanno mosso gli esseri umani nel definire e creare la storia?

Rubens D’Oriano: Ciò che raccontano gli esseri umani sul passato, loro o altrui, anche molto vicino, è sempre filtrato dalle loro menti e perciò non può mai essere al 100% obiettivo. Svariati anni orsono negli USA si fece un esperimento per valutare l’attendibilità dei testimoni oculari, inscenando una rapina in una banca con vari fatti che accadevano all’interno e poi all’esterno dell’edificio, sparatoria e morti (finti) compresi. Il risultato fu piuttosto scoraggiante: nessuno dei testimoni fu esente da errori, ove piccoli ove grandi. Figuriamoci cosa accade dopo che passano 1,5,10, 50 anni. È peraltro dimostrato che la nostra memoria seleziona e modifica i fatti anche su base emotiva… figuriamoci… Condire di miti e leggende il passato per vari motivi, dalla legittimazione del potere all’esigenza di consolare le angosce esistenziali (le religioni consolano dalle angosce della morte ecc.), dall’esigenza di semplificare la complessità a quella di dare risposte all’inspiegabile, ecc. parrebbe tipico di civiltà antiche, ma così non è, come ben sappiamo noi nell’epoca delle fake news, del complottismo, delle bufale, che dilagano nel web e che tanto credito trovano.

 

A.M.: I nuraghi. Questi nostri sconosciuti. Quali altre culture presenti nel mondo mostrano le stesse caratteristiche delle nostre antiche costruzioni?

Sese – Pantelleria

Rubens D’Oriano: I nuraghi questi conosciuti, nel senso che troppo spesso in archeologia si presenta ciò che ancora non si sa come “mistero”. Molto semplicemente, in archeologia come in tutte le discipline, c’è ciò che si sa e ciò che ancora non si sa (o mai si saprà), ma la parola “mistero” fa comodo per evocare chissà quali mirabolanti spiegazioni, ipotesi, teorie. Per i nuraghi molto conosciamo e altrettanto non conosciamo, ma non si tratta certo di “sconosciuti” o di “misteri”. Di monumenti che presentano similitudini  ce ne sono sia in aree geografiche che hanno avuto contatti, o possono plausibilmente averne avuto, con la Sardegna nuragica (per esempio le tombe a tholos o i corridoi della rocca di Tirinto della Grecia micenea o le torri della Corsica o i talaiot delle Baleari o i sesi di Pantelleria) sia che non ne hanno avuto (i broch della Scozia o le torri di Grande Zimbabwe), in fasi  cronologiche sia grosso modo  contemporanee (Grecia micenea, torri corse, talaiot e sesi) sia non contemporanee ad essa (Scozia e Zimbabwe).  Anche altri edifici nuragici trovano similarità altrove, come i pozzi sacri in Bulgaria e nel mondo miceneo.

 

A.M.: Quale potrebbe essere la risposta più accreditata per questi ritrovamenti? Che queste culture siano dipendenti da una cosiddetta madre, che la prima rispetto alla seconda sia stata presa come superiore, oppure una risposta che sia piuttosto di convergenza così che culture diverse e distanti fra loro abbiamo avuto lo stesso bisogno ed abbiamo aderito alla stessa soluzione?

Rubens D’Oriano: Il punto è la similitudine, e qui entrano in gioco il metodo scientifico e la conoscenza dei dati.  Ciò che appare “simile” a un profano spesso non lo è, o non le è altrettanto, per lo studioso. Affinché una similitudine sia tale da autorizzare l’ipotesi di un contatto devono concordare svariati parametri che possono andare, per gli edifici, dalla funzione alla tecnica costruttiva, dalla cronologia alla statica, ecc. Nel nostro caso registriamo alcune similarità tra i nuraghi ed edifici di aree geografiche che hanno avuto contatti, o possono plausibilmente averne avuto, con la Sardegna nuragica, ma impostare la questione in termini di “derivazione” da una “cultura madre” che “insegna” alle altre è troppo semplicistico e superato dai moderni metodi dell’analisi archeologica. Nell’antichità esistono certamente casi di derivazione diretta, ovvero di “importazione” tout court di novità di vario tipo (tecniche, figurative, sociali, cultuali, ecc,) da una cultura all’altra, ma più spesso – ed è il nostro caso – una certa “aria di famiglia” dipende da scambi, contatti, stimoli che circolano da una cultura ad un’altra, in modo mai banale e meccanico. Un certo modulo, architettonico nel nostro caso, viene apprezzato ma rielaborato, adattato, modificato, a volte persino più sviluppato e arricchito, ecc.  in tutto o solo in parte, calandolo nelle esigenze della singola comunità che opera la “contaminazione”.  Ed esiste sempre, come già esplicitato nella domanda, la possibilità della convergenza, e cioè che in modo del tutto indipendente culture diverse diano risposte simili a problemi simili. Per esempio la fantarcheologia attribuisce ad una “cultura madre” (Atlantide, gli extraterrestri ecc.) tutti gli edifici cultuali a piramide del mondo intero, a prescindere dalle distanze sia geografiche che cronologiche (piramidi egizie, maya, azteche, khmer ecc.) mentre si tratta di una risposta forzatamente analoga alla stessa esigenza:  ci si vuole avvicinare il più possibile al Cielo degli Dei e l’unica forma architettonica conosciuta nell’antichità che consentisse l’erezione degli edifici di massima altezza era quella piramidale. So bene che i miei conterranei preferirebbero la risposta per la quale i “loro” antenati Nuragici (ma tali non sono) sono stati maestri di architettura per l’intero mondo protostorico occidentale, ma quasi mai le cose sono così semplici.

 

A.M.: Addentrandoci nell’etimologia, e leggendo molte opinioni, si è concordi che la radice di nuraghe sia “nur” ma non si è concordi con il significato di questa radice. Due sono le ipotesi madre: una che provenga dai fenici e che vede “nur” con il significato di “luce/fuoco” (e precedentemente dai sumeri “ur/uruk), un’altra invece di sostrato mediterraneo vede la definizione “cumulo di pietre/cavità”. Per quale scuola di pensiero patteggi o hai una strada alternativa da mostrarci?

Rubens D’Oriano: Personalmente penso che il sostrato mediterraneo, in questo caso sarebbe proprio la lingua dei nuragici, sia il candidato più probabile.

 

A.M.: Considerando che il problema maggiore che porta alle diverse vie di interpretazione è la mancanza di dati certi ed il cannibalismo di edifici, come possiamo prospettare la ricostruzione della storia se non con il ritrovamento di nuovi dati? Dunque, quanto è importante ricevere finanziamenti per continuare la ricerca?

Necropoli di San Simplicio – Olbia

Rubens D’Oriano: In qualsiasi branca della ricerca scientifica l’insufficienza di dati è solo uno dei problemi, a fianco ad altri tra i quali spicca, per l’archeologia e non solo, il metodo interpretativo dei medesimi. Non raramente il dibattito riguarda infatti il modo di leggere dati magari sufficienti ma, appunto, interpretati in modo differente. Indubbiamente in archeologia l’acquisizione di nuovi dati è spesso fondamentale. Negli anni ’80 un illustre archeologo italiano tentò di calcolare la percentuale di ciò che è stato scavato in Italia rispetto a ciò che resta sottoterra, e si orientò verso un dato tra il 5 e il 10%. Nonostante siano passati una trentina d’anni, e si siano perciò aggiunti molti altri scavi ma anche molti altri siti prima ignoti, credo che quel dato sia ampiamente sovrastimato. Ciò detto, va chiarito che in alcuni settori dell’archeologia nuovi dati non amplierebbero in modo significativo le nostre conoscenze, mentre in altri le possono addirittura rivoluzionare in modo radicale. Faccio un esempio di “casa mia”: fino al 1994 le evidenze archeologiche indicavano la nascita della città di Olbia attorno al 330 a.C. ad opera dei Cartaginesi, mentre i ritrovamenti successivi hanno mostrato una storia ben più antica, con i Fenici che fondano l’insediamento verso il 775-750 a.C. e i Greci che se ne impossessano verso il 630 a.C. Non si può abbandonare l’argomento senza una considerazione sul futuro prossimo. In una fase storica nella quale cala la disponibilità economica degli Stati sovrani a tutto vantaggio delle entità finanziarie globali, la ricerca scientifica che non promette ricadute economiche immediate è a grave rischio. Le grandi rivoluzioni tecnologiche del XX sec. (fisica atomica, bioingegneria, informatica, ecc.)  sono applicazioni di ricerca scientifica pura finanziata a fondo perduto dagli Stati (fisica quantistica, genetica, logica matematica, ecc.), che al momento non promettevano alcun ritorno economico. I privati non hanno nessun interesse a finanziarie la ricerca scientifica pura già nell’ambito delle scienze “dure” (fisica, chimica, ecc.), figuriamoci in quello delle scienze umane. Con il potere finanziario in mano ai privati rischiamo la morte di una parte importante e cospicua della scienza.

 

A.M.: Nella stele di Nora ritroviamo in “fenicio” il nome della nostra isola. È il più antico ritrovamento in cui si parla di Sardegna oppure ci sono altre iscrizioni più antiche? E soprattutto sappiamo se i paleosardi (o sardi nuragici o come preferisci) si identificavano con questa denominazione?

Rubens D’Oriano: È il più antico. È possibile che sia il nome che i Fenici hanno sentito in loco.

 

A.M.: La scrittura nuragica. Che il popolo sardo vivesse il presente e non sentisse la necessità di scrivere la sua storia come invece han fatto altri popoli?

Rubens D’Oriano: Quella della scrittura nuragica è una delle più inverosimili favole della fantarcheologia nuragica. Si vanno leggendo come iscrizioni le decorazioni di oggetti altomedievali, si leggono come iscrizioni nuragiche testi in latino corsivo o neopunico, si leggono come lettere le corna di bronzetti di toro o la sagoma di un nuraghe ed il suo vano scala a spirale, ecc. Sì, avete capito bene: non si afferma che vi siano lettere incise sul metallo o sulla pietra, ma che la forma delle corna di un bronzetto sarebbe essa stessa una lettera o che lo sia la sagoma trapezoidale del nuraghe (e in quest’ultimo caso considerando il nuraghe “tronco” come lo vediamo ora, mentre in antico c’era il coronamento con mensole e ballatoio che generavano una sagoma complessiva ben diversa: una bella cantonata per chi pretende di insegnare agli archeologi il loro mestiere). Qualsiasi persona di buon senso si rende conto che con tale “metodo” si può leggere ciò che si vuole su qualsiasi cosa. Io stesso mostro, nelle mie conferenze sulla fantarcheologia nuragica, che si può leggere un Vaffa sul Diadumeno di Policleto e un Balle Spaziali sulla pianta del Palazzo di Cnosso. Che dire poi della lettura di tali “iscrizioni” che in alcuni casi propone Yahweh, divinità biblica come è ben noto, come divinità nuragica e il fatto che queste iscrizioni sarebbero troppo spesso di tipo mistico-religioso (si parla di tori delle luce e altre fantasie), un dato statisticamente non attendibile stante il numero di queste (presunte) iscrizioni.  Persino le figuracce non hanno fermato questa deriva: segni grafici nuragici su un manufatto in pietra che lo stesso Pinuccio Sciola ha dovuto confermare essere opera sua o lettura alfabetica degli elementi murari di un pozzo (e solo ciò già si commenta da sé) nel quale è leggibilissima la data di costruzione del 1942 come confermato dalla famiglia dei proprietari. Si è persino affermato che gli incoerenti scarabocchi che tracciano i malati di morbo di Alzheimer quando tentano di scrivere si possono confrontare con questo alfabeto nuragico, c’è da chiedersi sulla base di quale assurdo meccanismo di recupero di quale non meno assurda memoria collettiva archetipica millenaria o simili. La civiltà nuragica non scriveva (poco contano, su questo piano, poche iscrizioni tarde su oggetti nuragici dell’Età del Ferro in greco o fenicio o che utilizzano le lettere di quegli alfabeti, e perciò isolati casi di imprestiti allogeni molto episodici e circoscritti). I gruppi umani nuragici non scrivevano perché il declino della loro civiltà iniziò proprio quando erano giunti sulla soglia di quella dimensione territoriale e complessità socio-economica che presiedettero, nelle società letterate, all’ invenzione/adozione della scrittura per far fronte a sempre più complesse esigenze amministrative altrimenti ingestibili, inizialmente connesse alla accurata registrazione di tributi e simili. Questo in nulla sminuisce la grandezza della civiltà nuragica, ma la caparbietà e l’atteggiamento aprioristico con il quale si deve a tutti i costi dimostrarne l’alfabetizzazione diffusa, e già nell’Età del Bronzo, pare scaturire da un inconscio e ingiustificato senso di inferiorità rispetto alle culture che scrivevano, basato non sui dati scientifici ma sull’ emotività “archeosardista” che, erroneamente percependo i Nuragici come i “nostri” ascendenti culturali sente come inaccettabile che i “nostri” antenati non scrivessero e altre civiltà sì.

E siccome ormai più è bravo sardo chi più grossa la spara, siamo arrivati alla stupidaggine secondo la quale sono i Sardi del Neolitico che hanno inventato l’alfabeto e lo hanno insegnato a tutto il mondo. A quando gli antichi Sardi su Saturno o nella galassia di Andromeda?

 

A.M.: Chi sono gli Shardana?

Rubens D’Oriano

Rubens D’Oriano: Polisportiva Shardana, ristorante Shardana, vino Shardana… In Sardegna ormai tutto è Shardana, Shardana è il prezzemolo buono per ogni piatto, il passepartout per ogni attività che voglia in qualche modo alludere o richiamare, a proposito o a sproposito, l’antichità dell’Isola e in special modo la Civiltà Nuragica. Ma chi erano veramente gli Shardana e, soprattutto, esiste qualche loro fondata relazione con la Sardegna? I cosiddetti Shardana sono un gruppo umano che le fonti scritte egizie e del Vicino Oriente collocano nella stessa area geografica in diversi contesti storici degli ultimi secoli del II millennio a.C. Gli studiosi da lungo tempo dibattono sull’identificazione loro e di altri gruppi umani a volte ad essi associati nelle stesse narrazioni. Nell’ambito di tale discussione la possibilità che abbiano a che fare con la Sardegna, e in quale senso, è tutt’altro che pacificamente accettata dall’intero mondo scientifico: gruppi di Nuragici dislocati in Oriente, o gente di origine orientale e giunta poi nell’Isola, o che nulla ha a che fare con essa? Fin qui le domande degli studiosi seri, mentre per il mondo dei dilettanti di un’archeologia fai da te, che sconfina sistematicamente nella fantarcheologia, gli Shardana sono senza dubbio i Nuragici in una mitizzata, fino al ridicolo, dimensione di dominatori dell’intera area euro-mediterranea, faro di cultura per l’intero mondo antico e persino di civiltà che mai hanno avuto connessioni con la Sardegna. Un esempio del “metodo” di questi signori è il seguente: siccome Shar-Dan starebbe per “tribù di Dan” (chissà in quale film), basta cercare in Europa tutti i luoghi nel cui nome c’è la sequenza dan – ma va bene anche din, don, den, con tanti saluti alla glottologia (è roba da mangiare?) e un benvenuto allo scampanìo della vicina chiesa – e facilmente si scopre che furono i Nuragici a dare il nome a Londonderry, alla Scandinavia, alla Danimarca, al fiume Don, ecc. Applicando lo stesso “metodo” ho trovato una città cinese Handan e una statunitense Mandan… perciò i Nuragici hanno visitato e magari civilizzato anche la Cina e l’America del Nord? E se dovessimo entrare in contatto con una civiltà extraterrestre che si chiama, per dire, Oyhdanset i Nuragici hanno viaggiato tra le stelle? Di recente il massimo esperto della questione, l’egittologo G. Cavillier, Direttore della Missione Archeologica Italiana a Luxor e del Progetto di Ricerca Shardana, nel corso di una conferenza a Olbia ha presentato i dati di base della questione Shardana in tutta la loro problematicità, ricordando che ad oggi non è ancora possibile escludere, ma nemmeno accertare, che essi abbiano a che fare con la Sardegna nuragica.  Il caso ha voluto che pochi giorni dopo a Sassari si sia tenuta una conferenza di un altro egittologo, il Direttore del Museo Egizio di Torino, il quale, ad una domanda del pubblico, ha brevemente risposto che gli Shardana sono i Nuragici, certamente senza sviluppare neppure per cenni la complessa problematica. Ovviamente i fantarcheologi hanno gridato al “giustizia è fatta”, ovviamente senza valutare la differenza tra chi, come Cavillier, si dedica da tempo al problema e chi, il collega del Museo di Torino, non lo ha mai trattato ed ha perciò fornito una risposta non adeguatamente informata.

 

A.M.: Il problema della divulgazione e la fantarcheologia. Come fermare questo fenomeno e come entrare nelle case dei sardi per sfatare queste “pseudo teorie”?

Rubens D’Oriano: Cercherò di riassumere per punti una problematica molto complessa, che richiederebbe spazi di risposta eccessivi per questo contesto.

1.Accertarsi dell’attendibilità della fonte di informazioni.

Se non accettate di salire su un aereo pilotato da un dilettante o di farvi operare di appendicite da un semplice appassionato di medicina, perché date credito, in tema di antichità, a chi storico o archeologo non è? Accertarsi dell’attendibilità è facile:

a) Il caso più frequente è quello dell’autore definito, o che si auto qualifica, come studioso, esperto, ecc. senza fornire titoli di studio o curriculum o bibliografia o il proprio mestiere reale. Una veloce ricerca sul web aiuta molto a chiarire di chi si tratta, sempre valutando l’attendibilità dei siti.

b) La pubblicazione di libri non garantisce un bel nulla. Ci sono case editrici che molto semplicemente pubblicano libri autofinanziati dall’autore stesso. Ma, visto il successo delle pseudoscienze, ce ne sono anche che ne pubblicano a proprie spese, facendo conto sulle vendite a prescindere dall’attendibilità dell’autore e di ciò che scrive.

c) Anche il fatto che un libro o una conferenza ecc. siano promossi, ospitati ecc. da Enti Pubblici non è garanzia: una conferenza ormai non si nega a nessuno, senza il minimo controllo della professionalità dell’oratore nella materia che tratta. È accaduto, ahinoi, anche nelle Università e negli Istituti del MiBACT della Sardegna, e basti pensare al vergognoso patrocinio del MiBACT alla vergognosa trasmissione televisiva Voyager…

d) Il titolo di studio è in genere garanzia, ma anche in questo caso un minimo di attenzione. Ci sono laureati in lettere con indirizzo archeologico, che poi però per tutta la vita hanno fatto un altro mestiere (in genere gli insegnanti) e perciò la sola laurea risalente, in genere, a svariati decenni prima non ne fa certo dei veri archeologi. E si conoscono casi, ancora pochi ma cresceranno, di archeologi titolati che fiancheggiano la fantarcheologia e fantarcheologi che sono iscritti all’Università e che si laureeranno (una laurea ormai non si nega quasi a nessuno, purtroppo)

e) Informarsi sul mestiere reale dell’autore. Se svolge un altro mestiere, e quando scrive di materie che non afferiscono al proprio lavoro propone idee che la comunità scientifica rigetta, con tutta evidenza si tratta di fonte inattendibile.

f) Il correttore di word provvede ai soli errori di ortografia, ma sintassi e grammatica si imparano solo a scuola (nemmeno leggendo tanto). Perciò, leggendo o ascoltando qualcuno, il primo strafalcione può essere un lapsus linguae o un refuso di stampa, il secondo forse… ma al terzo potete tranquillamente abbandonare il campo: non state perdendo nulla.

2.Sfatare il mito dell’identità culturale tra Sardi odierni e Nuragici.

Statue Mont’e Prama

E qui sta il cuore di tutta la faccenda. Troppi Sardi guardano alla Civiltà Nuragica come il “loro” grande passato, e di conseguenza amano tutto ciò che può enfatizzarlo, ma questa è una colossale stupidaggine, che chiamo “archeosardismo” (e quindi “fantarcheosardismo” la fantarcheologia su di esso innestatasi). Dilaga presso i Sardi la mitologia secondo la quale nella Civiltà Nuragica si fonderebbe, in esclusiva o in parte preponderante, la loro identità culturale, giungendo, a volte, ad una identificazione emotiva (conscia o no) con i Nuragici. Si arriva così ad accettare acriticamente ed entusiasticamente tutto ciò che enfatizza la loro storia, anche a sprezzo del ridicolo, e conseguentemente a percepire emotivamente gli apporti successivi (fenici, punici, romani ecc.) come estranei od ostili. Questa visione errata ha vasto consenso grazie al ben noto meccanismo per il quale spesso gruppi umani, poteri politico-culturali ecc. creano un loro “mito delle origini” il più nobile possibile, funzionale a legittimarne al meglio aspirazioni e sogni del presente (gli Ariani di Hitler, la romanità di Mussolini, i Celti della Lega, ecc.). Perciò in Sardegna cosa di meglio della fase nella quale si produsse una civiltà per svariati versi originale e certamente di primissimo piano nel Mediterraneo Occidentale? Cosa di meglio, per supportare lo stucchevole piagnisteo della Sardegna attuale sfruttata e maltrattata solo da maligni poteri ad essa esterni (come se non fosse una Regione Autonoma, non di rado politicamente mal gestita, ormai da molti decenni)? Cosa di meglio, anche per movimenti politici e culturali di sardismo indipendentista o simili, per cercare ancoraggi identitari il più possibile locali da contrapporre all’angoscia montante da globalizzazione? Cosa di meglio, per tutti questi scopi, se non il sentirsi i grandi Nuragici, prima, e poi i “poveri” Nuragici colonizzati ecc. dai malvagi Fenici, Punici, Romani ecc. (un altro mito del tutto assurdo)?  Troppo spesso anche alcuni colleghi inclinano a propalare questo grossolano errore di prospettiva, recitando questo mantra, con automatismo pavloviano, in contesti divulgativi vari, cioè le mille occasioni (interviste, testi per cataloghi, pannelli di mostre, dépliant ecc.) nelle quali l’ormai stucchevole gergo “beniculturalese” si arricchisce di perle di banalità e di errore del tipo: “Il nuraghe Ziu Franciscu (o le statue di Mont’e Prama e quant’altro) va portato alla fruizione anche in funzione del recupero dell’identità culturale degli abitanti del territorio”, un formulario adattabile meccanicamente senza ponderatezza, passepartout buono per ogni occasione, prezzemolo di ogni contesto pubblico. Qui entra in gioco il problema di ciò che si suole chiamare “identità culturale” di un gruppo umano sufficientemente ampio. Non posso qui soffermarmi sugli argomenti per i quali essa è solo un mito consolatorio e a volte foriero di grandi sciagure (ci ricordiamo degli Ariani di Hitler?), e sul fatto che persino la continuità dell’identità del nostro singolo “io” traballa se analizzata con approccio scientifico, e perciò darò per scontato che essa esista. Ebbene anche in tal caso l’equazione Sardi=Nuragici è priva di senso. Non è necessario essere specialisti per capire che, salvo pochissime eccezioni di confinamento geografico e/o culturale, delle quali non fanno certo parte i Sardi e la Sardegna nel bel mezzo del Mediterraneo Occidentale, chi abita in una data porzione di spazio in un dato momento del tempo non può che essere il frutto, in termini genetici e, ciò che importa veramente, culturali, di tutte le fasi storico-culturali che vi si sono avvicendate e che – se mai si potesse matematizzare in percentuali l’eredità culturale – in generale saranno maggiori le “quantità” di retaggio derivante da secoli maggiormente vicini e minori quelle più remote man mano che si precipita sempre più indietro nell’abisso del tempo. Non è questa la sede per approfondire il pur importante tema e mi limiterò solo a questo quesito: se chiedessimo a tutti gli abitanti dell’Isola (come a qualsiasi altro gruppo umano) di indicare quali qualità si debbano avere per essere “Sardi”, siamo certi di ottenere un adeguato numero di risposte simili e/o attendibili sul piano scientifico? E siamo certi che le qualità individuate sarebbero sufficientemente diffuse e condivise? E siamo certi che ve ne sarebbero di “nuragiche”? Della Civiltà Nuragica non sappiamo ancora nulla che ci possa permettere un serio accostamento univoco a qualsiasi popolo odierno, di Sardegna o di dovunque, e cioè comuni elementi tipici, unici, significativi e caratterizzanti inequivocabilmente entrambi i popoli in un rapporto ereditario esclusivo. Ciò che sappiamo dei Nuragici è ancora troppo generico per potersi accostare in modo certo ed esclusivo al profilo culturale degli odierni abitanti della Sardegna (quand’anche ne esista uno unitario, qui come ovunque) e rintracciarne in esso eredità che siano significative, perché dei Nuragici non conosciamo affatto, o in parte ancora insufficiente, valori etici, ideali, visione del mondo, religione, norme sociali, immaginario collettivo, ecc. E se c’è chi ritiene che basti, per esempio, uno strumento musicale (le launeddas raffigurate in un bronzetto) o la sopravvivenza di nomi di luogo o di piante o di un pugno di catene genetiche del DNA per vantare significative eredità culturali plurimillenarie, buon per lui: chiunque abbia una visione anche approssimativa di cosa siano l’antropologia culturale e la storia della cultura non può certo accontentarsi.

3.Sfatare il mito del gombloddho

Come è ben noto, il web è il regno del gombloddho (complottismo fasullo), che si nutre spesso anche di balle: dai finti sbarchi sulla Luna alle scie chimiche fino al revival in salsa global dei Protocolli dei Savi di Sion ecc. Ancor più recente è il diffuso rancore, per certi versi a volte sacrosanto, nei confronti di ciò che sul definirsi in termini però troppo generici “establishment” o “poteri forti” responsabili di gombloddhi vari, termini così generici che in queste definizioni-contenitore ci finisce di volta in volta tutto e il suo contrario, veri e finti “potenti” e persino… gli archeologi della Sardegna. Fantarcheosardisti e loro seguaci tacciano di “scienza di regime” la storia e archeologia proposte dalle bieche Università e Soprintendenze, e si scagliano contro il gombloddho della malvagia archeologia “ufficiale”, che persino occulterebbe immaginari rivoluzionari reperti, o ne produrrebbe di finti, al fine di tenere i Sardi all’oscuro del, al solito, “loro” glorioso passato e/o per non ammettere che geniali dilettanti e autodidatti in pochi anni di “ricerche” hanno visto molto più lontano di quanti all’archeologia e alla storia hanno dedicato un’intera vita (la storia della scienza insegna che le rivoluzioni scientifiche non sono mai state opera di dilettanti). Lo schemino è tanto semplice quanto efficace, perché collaudato da millenni: io, dilettante di genio, rivelo a voi, miei conterranei Sardi, il “nostro” grande passato di Nuragici dominatori e leader del mondo antico, contro l’Archeo-Spectre dell’archeologia ufficiale, prezzolata dal potere centrale romano per tenercene all’oscuro, al fine di protrarre il nostro servaggio culturale. È lo schema di Prometeo che dona agli uomini il fuoco rubato a Zeus, perfido dio che li tiene all’oscuro per assoggettarli meglio, e di Robin Hood, che ruba allo Sceriffo di Nottingham il denaro sottratto ai poveri per restituirlo loro. Di sicura presa, come tutte le favole dei paladini del Bene contro gli stregoni del Male, dalla saga babilonese di Gilgamesh sino ai cavalieri Jedi di Star WarsMa lo sapete come sono ridotte le Soprintendenze e Università, qui e in tutto il Paese? Senza fondi, senza personale (blocco delle assunzioni quasi totale da molti anni), schiacciate da procedure burocratiche ai limiti del delirio logico, soggette a recenti riforme che ne hanno devastato la poca operatività rimasta ecc.? Solo un esempio: alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, che si occupa di più di metà della Sardegna, sono ad oggi in servizio 4 archeologi, e tra sei mesi saranno 3, e si prevede l’arrivo di soli 2 nuovi: la paralisi. Vi pare coerente con la visione del complotto? Se esso ci fosse, il “potere centrale” che lo promuove non lascerebbe i suoi agenti all’Avana col culo in terra. O no!?

In definitiva, cari conterranei Sardi, state attenti a chi vi propone le più spudorate fantasie su assurdi primati della Civiltà Nuragica (già grande di per sé, senza bisogno di essere gettata nel ridicolo), controllate la professionalità della fonte e soprattutto ricordate che i signori che popolavano questa terra 3500 anni fa non sono, o lo sono solo in parte molto minima, i nostri ascendenti culturali.

 

A.M.: Quali sono le logiche di mercato che portano a ridicolizzare la Sardegna come Atlantide, e perché non si guarda soprattutto a ciò che abbiamo e cioè l’unica isola che presenta un numero così elevato di costruzioni chiamati nuraghi?

Complesso nuragico di Barumini

Rubens D’Oriano: Quella dell’identificazione della Sardegna nuragica con l’Atlantide della leggenda di Platone, e sottolineo leggenda perché la critica storica ha chiarito da un pezzo che Atlantide se l’è inventata lui come testimoniava lo stesso Aristotele, è una delle fantasie che vanno per la maggiore, appunto perché gran lustro darebbe ai Sardi che si identificano coi Nuragici. Sarebbe lungo argomentare qui le stupidaggini sulle quali si basa questa ennesima fantasia e mi limito a elencarne brevemente solo qualcuna. 1) Il complesso di Barumini, con svariati altri, sarebbe stato seppellito nel 1175 a.C. dal fango di uno tsunami: peccato che esso copra anche le capanne puniche e romane del villaggio, perché in realtà è l’interro che copre qualsiasi sito archeologico. 2) Dove sono le centinaia di scheletri che dovremmo trovare sotto questo fango? Tutti i defunti nuragici che conosciamo sono seppelliti nelle loro tombe. 3) Secondo il racconto di Platone la catastrofe di Atlantide sarebbe accaduta 9000 anni prima, ma per far tornare i conti si suppone che i sacerdoti egizi del racconto abbiano parlato di mesi e chi ascoltava abbia capito anni. Peccato che gli Egizi indicassero le date con la menzione del faraone e del suo anno di regno, e per citare il 1175 a.C. avrebbero detto, se non fosse una invenzione di Platone, “nell’anno 10° del regno del Faraone Ramesse III”. Che il racconto è di tono mitico-leggendario è acclarato da ciò che i sacerdoti dicono (cioè ciò che Platone mette loro in bocca) subito dopo: i fatti risalgono a prima dei Faraoni, quando regnavano sulla terra gli Dei, ma i primi Faraoni sono ben più antichi del 1175.

Circa questa ennesima fantasia si verifica un fenomeno preoccupante. Che ci credano i Sardi che si ritengono “Nuragici” è normale, ma accade che l’abbia sposata persino chi non ci crede.

1.Quando questa stupidaggine scientifica iniziò a diffondersi, alcuni studiosi anche illustri (fortunatamente pochissimi) dell’antichità dell’Isola tennero bordone, pur consapevoli dell’inattendibilità della proposta, considerando che la Civiltà Nuragica avrebbe così avuto maggiore risonanza oltre i mari e magari sarebbero arrivati maggiori finanziamenti per la ricerca.

2. Alcuni anni fa fu presentata una proposta legislativa di livello regionale per  costituire addirittura un Istituto di “studio, ricerca e valorizzazione dei rapporti tra la Sardegna nuragica e l’Isola di Atlante“ nella quale la divulgazione urbi et orbi di tale ipotesi viene ritenuta fondamentale strumento di propaganda e marketing per l’offerta turistica dell’Isola, dal paesaggio all’agroalimentare ecc., a prescindere dalla sua fondatezza. Per citare solo pochi passi: “non c’è dubbio che il solo ingresso della Sardegna tra le “pretendenti al trono di Atlantide” sarebbe probabilmente in grado di attivare un processo mediatico straordinario” (preambolo); “Sfruttando sino in fondo tutte le affabulazioni legate al fascino misterioso e straordinario dei miti e delle leggende della civiltà nuragica” (preambolo); “L’affascinante civiltà nuragica, sopra la quale può essere costruita una narrazione mitologica che – tra la storico e il fantastico – può arrivare sino all’Isola di Atlante” (preambolo); “attività di promozione, di pubblicizzazione e di marketing, finalizzate alla diffusione delle suggestioni legate alla protostoria sarda e ai suoi legami con l’Isola di Atlante” (art. 4 comma 11).

3.Ci sono ormai economisti che osservano che noi archeologi siamo troppo puristi, e che invece dovremmo dar credito a Sardegna-Atlantide, anche se la riteniamo una baggianata, per “vendere” meglio i beni culturali dell’Isola al di là di essa.

La voga mercantilistica dei beni culturali è iniziata negli anni ’80, e all’inizio si trattava di una cosa positiva: cerchiamo di mettere a frutto i beni culturali affinché siano fonte non solo di crescita culturale ma anche di ritorno economico. Pian piano, parallelamente con la mercantilizzazione della qualunque (ormai tutto è visto solo in termini economico/mercantilistici, persino la salute, la tutela dell’ambiente, ecc.) anche i beni culturali sono caduti in questo gorgo infernale. Il valore culturale dei beni che, tu guarda il caso, chiamiamo “culturali”, è sparito dai radar. Sacrificare la scienza e la storia sull’altare della “suggestione”, del “fantastico”, del “leggendario” (cito dalla proposta di legge regionale), al moloch del marketing è un buon servizio alla Sardegna? Ma anche ponendoci in ottica di marketing, banalizzare l’unica Isola degli unici nuraghi nel novero degli altri 250 (tanti sono ad oggi, e sparsi sull’intero pianeta, dall’Indonesia all’Antartide, fino ad altre galassie) “pretendenti al trono di Atlantide” è un buon servizio alla singolarità incontrastata della Sardegna protostorica? Chi vende il proprio corpo per denaro fa, sul piano etico (non è qui questione di leggi), uno dei mestieri più onesti del mondo, quando è fatto per libera scelta, perché la transazione è chiara e non si presta ad equivoci e truffe: per la prestazione sessuale X il controvalore in denaro è Y, punto e basta. Molte più persone “vendono”, o tradiscono, per vantaggi vari, “cose” ben più preziose e che eticamente non dovrebbero essere in vendita: onestà intellettuale e giuridica, sentimenti, rapporti umani, credibilità, anima, fiducia, amicizia, ecc. Nello specifico, chi spara o sostiene balle, nella consapevolezza che lo sono, di tipo ideologico, culturale, scientifico ecc. per acquisire denaro, fama, popolarità, consenso ecc. per sé o per altro/i si macchia di un qualcosa che se non è prostituzione intellettuale poco ci manca: verità scientifica, valori, convinzioni personali ecc. barattati per denaro e/o potere e/o fama ecc.. Come si è capito, personalmente non ho nulla in contrario sul piano etico (non è qui questione di leggi) sulla prostituzione sessuale come libera scelta, e perciò la domanda è rivolta a chi invece se ne indigna: perché la condanna e lo scandalo morali sono immediati e generalizzati quando si tratta di sesso, e non lo sono quando si tratta delle verità scientifiche, delle idee ecc.? Vendere il corpo è peggio che vendere l’anima? Il danno sociale (per chi ce lo vede) della prostituzione sessuale è forse maggiore del danno causato da panzane scientifiche? Pensate solo al ritorno di terribili malattie in seguito alla a-scientifica demonizzazione dei vaccini…

 

A.M.: Salutaci con una citazione…

Rubens D’Oriano

Rubens D’Oriano: Due citazioni. Una ormai notissima ma ben efficace nell’ambito di uno dei maggiori mali che affliggono l’archeologia sarda, e cioè ciò che ho definito fantarcheosardismo, e che non per caso si deve a uno dei nomi che ha dato maggior lustro all’Italia nel passato recente:

Umberto Eco: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli… La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità.

La seconda in origine era dedicata agli ignavi, ma può in parte adattarsi ai fantarcheosardisti: “Fama di loro il mondo esser non lassa/ misericordia e giustizia li sdegna/ non ragioniam di lor ma guarda e passa” – Dante Alighieri, Inferno, Canto III, vv. 49-51

 

A.M.: Rubens ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato e per la precisa ed interessantissima esposizione. Ti saluto anche io con due citazioni…

Coloro che sviluppano le tecnologie senza aver in sé almeno una traccia dello spirito dell’alchimia, vale a dire senza uno sviluppo in parallelo della loro spiritualità e del loro senso di responsabilità, contribuiranno a diffondere le malattie devastanti della nostra società, ignoranza e nevrosi, per le quali non vi sarà più rimedio.Giuseppe Del Re

Non aspettar mio dir più né mio cenno;/ libero, dritto e sano è tuo arbitrio,/ e fallo fora non fare a suo senno:/ per ch’io te sovra te corono e mitrio.” – Dante Alighieri, Purgatorio, Canto XXVII

 

Written by Alessia Mocci

 

 

7 pensieri su “Neon Ghènesis Sandàlion: l’intervista all’archeologo Rubens D’Oriano

  1. Un tale atteggiamento di chiusura denota mancanza dello spirito di ricerca. Se non fosse per chi ha ascoltato il Mito, Troiani sarebbe ancora sotto terra. Povera lobby dell’archeologia.

    1. Giuseppe, hai letto attentamente le risposte? Perché se sì, non capisco il tuo commento.
      Non si è andato mai contro il Mito ma contro la fantarcheologia, ben diverso, sai?!
      Ed Heinrich Schliemann non era uno scrittore improvvisato che vaneggiava su Atlantide.

      1. Si è parlato senza nominarlo di Luigi Amedeo Sanna, laureato in Lettere Classiche e Archeologia e dei suoi illuminanti studi. Il signor Ruben evidentemente non lo contempla come suo pari, evidentemente perchè non rispetta i canoni dell’archeologia limitata che lui stesso ha imparato a scuola.

      2. Dunque la parte incriminata è: “Sì, avete capito bene: non si afferma che vi siano lettere incise sul metallo o sulla pietra, ma che la forma delle corna di un bronzetto sarebbe essa stessa una lettera o che lo sia la sagoma trapezoidale del nuraghe”. Fondamentalmente penso che la scultura e la scrittura siano due espressioni diverse dell’uomo e che non possano essere facilmente congiunte in questo modo. Una sequenza di lettere (o segni) sono scrittura, la forma di un corno è la forma di un corno, poi quest’ultima può aver significati mistici certamente, ma non è scrittura. L’invenzione della lingua e dei significati delle parole dovrebbe aiutarci a comprenderci…
        Senza offesa per Sanna ovviamente… ma se ha portato avanti questa “teoria”… beh cito Rubens D’Oriano: “una bella cantonata”.

    1. Non ho letto il libro ma vedo questo: “Yahwh: il dio unico del popolo nuragico” — dunque prendiamo in causa il popolo ebraico?! Non capisco proprio perché YHWH sia vocalizzato in questo modo, perché a tutt’oggi le vocalizzazioni sono soggettive. Che io sappia. Poi, ciò che affermo non penso sia verità assoluta, dunque aspetto documentazioni (magari ebraiche, che loro lo sanno di sicuro) sul come vocalizzare una volta per tutte. :P

  2. Interessante vedere archeologi di una certa età farsi ‘debunker’ delle notizie false attribuite alla cosiddetta fantarcheologia ed ergersi a grandi maestri della valorizzazione.
    Scusate ma nella vostra lunga carriera vi siete svegliati adesso che la valorizzazione è finalmente diventata oggetto d’interesse reale dell’isola? Ma dove eravate prima?
    Dovete solo dire grazie ai fantarcheologi se ora riuscite a farvi intervistare da qualche blog.
    Per fortuna esistono tanti archeologi seri che non amano l’esibizionismo e non devono riscattare una vita di frustrazione, di piccoli orticelli, in attesa di riflettori.
    C’è una grande differenza tra le pubblicazioni scientifiche ottenute con metodologia e dati e la mitologia costruita di ipotesi più o meno logiche e/o infondate. Secondo questo assunto uno scienziato deve eventualmente confutare testi scientifici, è il suo mestiere, non i racconti e le fantasie popolari.
    E’ come se la comunità scientifica egiziana si scagliasse contro il film ‘stargate’ oppure passassero il tempo a farsi intervistare su cosa pensano di coloro che credono agli alieni e che abbiano costruito le piramidi e se siano o meno un portale per altri mondi e dimensioni…
    La Sardegna deve scrollarsi di dosso questi psicoscienziati, consegnarli al passato, considerarli un freno alla ricerca scientifica, alla tutela ed alla valorizzazione dei beni e del territorio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *