Sardegna da scoprire #16: Tharros, la città d’oro del Sinis

La prima volta che vidi Tharros ero giovanissimo.

Tharros
Tharros

Le rovine di quella imponente città erano state indagate solo superficialmente e scavate con metodo solo dai soliti tombaroli, ma l’impressione che ne ebbi fu enorme.

Non c’erano cooperative, reti, percorsi obbligati o biglietterie, al tempo.

Arrivammo a San Giovanni con ancora negli occhi l’ipogeo di San Salvatore, allora bastava chiedere al prete di farvelo visitare e lui volentieri vi ci accompagnava. La religiosità di millenni incisa sulle pareti di quel tempio dedicato al culto delle acque, le invocazioni alla salute in cento lingue, quasi tutte morte da millenni, valgono la visita, credetemi.

Oggi, ligi alla nuova religione che vi si pratica, si può pregare per un miracolo, se solo volete superare la soglia della chiesetta che sovrasta l’antico tempio.

Seguimmo la strada di penetrazione agricola, da San Salvatore in Sinis, fino ad arrivare a San Giovanni.

Poche case, alcune fatte di canne, antiche dimore di pescatori, vere sopravvissute, e la spettacolare chiesa di san Giovanni.

Spettacolare perché antica, certo, ma anche per la chiara matrice bizantina, che barattarono con Ospitone religione per potere.

La strada che percorremmo era quella che, in epoca romana, collegava Tharros con Cornus, dritta e stretta, per i gusti moderni, ma in buono stato.

Salimmo sulle dune di sabbia che coprono le antiche mura.

In spiaggia, a ovest, i sarcofaghi romani, caduti dalla necropoli ricavata nelle mura puniche che ormai si sbriciolano sotto il maglio del tempo, fanno uno strano effetto, tra gli ombrelloni dei gitanti e le bottigliette di plastica abbandonate da poco civili turisti.

Saliamo, lasciandoci alla destra la torre aragonese del 1500, che domina terra e mare, da lassù, dove un tempo c’erano prima un nuraghe , una torre fenicia e le possenti mura della città antica.

Tharros
Tharros

Tagliamo dritti attraverso le rovine saliamo per Capo San Marco, amiamo iniziare dalla fine, i nostri giri esplorativi.

Evitando il Faro e le sue pertinenze, al tempo presidiato dalla Marina Militare, andiamo al Tempio Antico, che si affaccia sul Mediterraneo con un panorama mozzafiato.

Del tempio si vede poco, purtroppo, ma accanto, tra la macchia mediterranea, si vede un nuraghe. Stupefacente che, stando alla tradizione storica, nessuno dei mille invasori abbia mai distrutto quello strategico edificio. Bah, misteri della Storia.

Torniamo verso la città attraversando, scomodamente e con qualche rischio, la necropoli antica. Fenicia, mi dicono, ma così simile alle mie familiari Domus che qualche dubbio mi viene. Certo, sono incisi nuovi Dei, per propiziarsi l’aldilà, ma sono solo forse nuove immagini per le antiche divinità, la Solita Dea Madre tramutata in Tanit, Shandan tramutato in Antas, e sempre il solito, simpatico Bes.

Quando mettiamo i piedi sul basalto nero della città ci rendiamo conto di quanto doveva essere grande, ricca, potente Tharros.

Ce la immaginiamo coi sui Palazzi color miele, colonne bianche come la neve e strade nere che dovevano creare un contrasto fiabesco, agli occhi dei visitatori. Una città fatta d’oro.

E l’oro era comune, in quel luogo.

Qualche anno dopo la mia visita alla Città sono andato a vedere, a Palazzo Grassi, in quel di Venezia, la mostra “L’oro dei Fenici”. Beh, avrebbero dovuto chiamare l’esposizione, “L’oro di Tharros”, in realtà, visto che la maggior parte dei gioielli veniva dal Tophet della Città del Sinis.

Ecco, il Tophet, l’area sacra della città antica, ormai diventata necropoli.

Seguiamo la strada che porta alla cima della collina dove sorgeva il cuore antico della città e ci imbattiamo in ciclopiche mura nuragiche che, con un andamento curvo, sembrano le enormi mura di Micene.

Tra le due muraglie, le classiche tombe di periodo punico, con le volte a botte, spuntano come funghi.

È pieno pomeriggio, l’aria del mare ci asciuga il sudore che scorre sulle schiene, ma il brivido che provo, vi giuro, non è dovuto a questo. Il silenzio è assoluto, l’aria pare pesante e immobile. Ci leviamo velocemente da quel posto, salendo fino al nucleo sacro di Tharros, dove tutto è iniziato: la cittadina nuragica e li ricominciamo a respirare la leggera aria del Sinis.

Tharros
Tharros

Eccole, le torri, le mura che le uniscono, le capanne circolari e lo spettacoloso panorama che dominano.

Ora si cerca l’antico porto, nuragico e successivo, nello stagno di Mistras, posto più logico per approdare sicuri, al riparo dai venti e con accesso immediato all’entroterra.

Del resto, in epoca nuragica, la città erano i più di duecento nuraghi, coi loro villaggi attorno, che coprivano tutto il territorio tra Capo San Marco, Cornus e Cabras. Città così grande e importante che ha avuto la forza e la ricchezza di costruire il magnifico luogo sacro di Monti Prama, le sue statue e le sue tombe, che nessuno studioso osa, vista l’evidenza, riportare a culture diverse di quella Sarda.

E se seguiamo la storia, quella ufficiale, paludata e intoccabile che ci insegnano a scuola qualcuno mi deve spiegare come mai, se la conquista Cartaginese della Sardegna è datata VI secolo avanti Cristo, Tharros, che dicono sia stata costruita nell’VIII secolo, sia di fondazione punica.

Sui fenici non mi pronuncio, avrebbero però dovuto avere un potere militare francamente impensabile, per fondare Tharros tra i nuragici Shardana, tra i più di duecento nuraghi e, più o meno, ventimila abitanti della zona, senza essere massacrati.

Ma a me restano le domande, le risposte le cercheremo, tutti assieme, se mi seguirete ancora nel viaggio.

Poi a Tharros sono tornato decine di volte, naturalmente. Sono tornato con più conoscenze, con più esperienza, con l’occhio più allenato. E purtroppo, con percorsi obbligati, guide, limiti e proibizioni. Pagando il biglietto, naturalmente.

Che dire, come l’amore, la prima visita archeologica non si scorda mai, anche se invecchiata e rovinata, l’amata resta bellissima, ai nostri occhi.

 

Written by Salvatore Barrocu

 

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