“Io non mangio di quel pane” di Benjamin Péret: è disponibile una nuova edizione a cura di Carmine Mangone

“Pancia merdosa piedi di porco/ testa velenosa/ Io sono Thiers/ Ho liberato la nazione/ piantato cipolle a Versailles/ e pettinato Parigi a colpi di mitragliatrice/ Grazie a me si è potuto tagliare/ il suo vino col sangue/ che è meglio dell’acqua/ e costa meno…” (Affinché Thiers non crepi davvero)

Io non mangio di quel pane

Il poeta francese Benjamin Péret (1899-1959), uno dei protagonisti più influenti del movimento surrealista, ha pubblicato questa raccolta a Parigi nel 1936.

Io non mangio di quel pane”, riproposto da Matisklo Edizioni nell’ottobre 2016 con una traduzione e note al testo a cura di Carmine Mangone, intende riprendere una locuzione gergale che compare simile ad un epitaffio anche sulla tomba del poeta, situata nel cimitero parigino di Batignolles, che suona più o meno così: “preferisco morire di fame, piuttosto di darvi certe soddisfazioni”.

Le poesie di Péret sono caratterizzate da un’impetuosa aggressività antiborghese; pregne di rifiuto per i luoghi comuni, diventano parodia della cosiddetta “retorica ufficiale”.

Il ricorso al frequente turpiloquio dà vita ad un genere di lirica dove ogni cosa è scandita allo stremo, ma che, al tempo stesso, perde ogni parallelismo con la metrica o la classicità della poesia, vista nel più comune senso del termine.

L’opera è composta da ventotto poesie a carattere politico, scritte da Péret nel decennio che va dal 1925 e il 1935, definite di “circostanza”. Senza dubbio una raccolta unica nella storia del Novecento, che può piacere oppure nauseare per i temi trattati ed i termini utilizzati, ma che certamente non può lasciare indifferenti. Si è parlato addirittura di “teppismo verbale”, a proposito di questi componimenti, in grado di anticipare fenomeni “controculturali” quali il punk.

La definizione mi trova concorde poiché, al di là dei temi politici trattati, questo continuo ricorso alla parola non più soave e musicale, tipica della poesia, ma “dura” ed irriverente, accentra una continua attenzione. Una voce narrante che sembra scandire il tempo e rimbombare nei versi che seguono.

La volontà di “scandalizzare” il lettore per avere la sua totale attenzione, può essere un modo efficace di sperimentare altri mezzi, che sempre conducono a quell’idea di società malandata e politicamente corrotta che non è poi così distante, in ogni epoca.

Benjamin Péret

La “modernità” dei versi, quindi, infrange le barriere dell’etica e si eleva ad esprimere concetti che altrimenti non potrebbero essere così altisonanti. L’elaborazione dei testi parte da eventi, istituzioni, personaggi famosi, scelti dall’autore in modo deliberato.

Nell’introdurre i componimenti, Carmine Mangone scrive:Nessun poeta si è scagliato con un odio altrettanto feroce e gratuito contro i simboli e le istituzioni della società capitalista.

Neanche Dada è riuscito a produrre scritti di una tale indigeribilità. Per ciò che concerne le scritture brevi di natura letteraria (poesie, aforismi, canzoni e simili), bisogna infatti risalire molto indietro nel tempo per imbattersi in testi con la medesima gratuità, lo stesso brio e simile violenza terminologica.

Nel dominio letterario italiano, ad esempio, occorre riandare al periodo che va dal tardo XIII sec. fino all’avvento della Controriforma tridentina, periodo che comprende una ricca produzione licenziosa e burlesca – basti pensare ad autori come Cecco Angiolieri, Pietro Aretino, il Burchiello, Antonio Cammelli o Nicolò Franco.

Insomma, non esattamente una silloge poetica per educande, dovete concedermelo; comunque un modo di fare poesia che ha fatto breccia, che esiste e di cui non si può certo essere allo scuro.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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