“Indivisibili” di Edoardo De Angelis: le gemelle siamesi di Castel Volturno conquistano un podio nel cinema italiano

A fine settembre approda nelle nostre sale un titolo inconsueto per l’arte cinematografica italiana, presentato a Venezia durante le scorse “Giornate degli Autori” e accolto con generale favore dalla critica, a volte persino eccedente nell’entusiasmo.

Indivisibili

Indivisibili” è il terzo film di Edoardo De Angelis, già in cabina di regia con “Mozzarella Stories” (2011) e “Perez.” (2014), il quale per la prima volta entra nella rosa dei candidati in rappresentanza dell’Italia agli Academy Awards, peraltro limpidamente preferito al vincitore “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi dal solo regista presente nella commissione di selezione, il signor Paolo Sorrentino.

A meritarsi l’appoggio del fiero Premio Oscar è la storia di Dasy e Viola (Angela e Marianna Fontana), due sorelle campane che fin dalla nascita condividono un fianco, accompagnandosi l’un l’altra in ogni attività del giorno e della notte, compartecipando alle sensazioni fisiche di piacere e di dolore, colleghe di lavoro che si esibiscono in diverse occasioni festaiole cantando i testi scritti dal padre (Massimiliano Rossi), uomo ludopatico sposato ad una donna dipendente dall’erba (Antonia Truppo).

L’amore di entrambi i genitori è evidentemente malato: Peppe, colui che forse nutre il maggior affetto nei confronti delle ragazze, gestisce l’economia familiare sfruttando le doti canore del duetto inscindibile (ma anche preservandone l’incolumità), salvo darsi poi ad un’immoderata dispersione dei beni guadagnati limitandosi ad assicurare a chi lo circonda un benessere materiale meramente precario; Titti è l’anello debole della parentela, malaccorta succube del temperamento del marito, in stato di ebbrezza sin da quand’era partoriente, incapace di assumere pienamente le responsabilità naturalmente accollatele dalla condizione di madre e padrona di casa.

Superata la soglia della maggiore età, le gemelle si imbattono d’improvviso in due individui che scardinano le loro sicurezze: il primo è un ricco dongiovanni, tale Marco Ferreri (pura coincidenza abbia un omonimo illustre?) che per una di loro “si farebbe tagliare la testa”; il secondo è un medico, incredulo alla scoperta che nessuno abbia voluto separare quei due corpi alla nascita.

Indivisibili

All’adolescenza è naturale non basti più andare a mangiare un gelato piuttosto che passeggiare sulla battigia, e l’elemento “naturale” si rivela un topos ricorrente nella vita delle giovani: affacciandosi all’inedita possibilità di una (anche se costosa) disgiunzione, emerge la moltitudine di quelle passioni che per trovare un sano compimento devono necessariamente concentrarsi in un’individualità unica e personale. Su tutte, il desiderio sessuale, incarnato dall’elargitore maturo e seducente che però nasconde, come molti altri amici animati solo in apparenza da spiriti caritatevoli, intenzioni aride e inesorabilmente deludenti.

Mosse da un’oscillante ingenuità, una certa dose d’irresponsabilità e dal desiderio viscerale di spezzare le catene che le legano ai potenti (e perciò al denaro), ma allo stesso tempo precludono loro le esperienze della gente comune, di fronte la quale sono state educate a diffidare rimettendosi alla più sicura complicità sororale, Dasy e Viola scelgono la via della crisi e della sofferenza, rischiano il tutto per tutto, lasciate sole nella loro intimissima lotta, costrette persino a subire le mortificazioni di una setta religiosa che riunisce immigrati e autoctoni, devota al martirio come alla world music, al Cristo della Risurrezione come ai vantaggi del malaffare.

L’opera di De Angelis gli arroga il pregio e al tempo stesso la debolezza derivanti da una narrazione piana e lineare, che quasi mai abbandona le credibili primattrici, esordienti assolute unite artigianalmente e non digitalmente dagli artisti de “Il racconto dei racconti” (2015), assai abili nel costruire sequenza dopo sequenza quell’ascesa verso l’acme drammatica che, fra lacrime genuine e liti violente, accompagnano lo spettatore all’interno di una vicenda lungi dal presentarsi paradossale.

Indivisibili

Se infatti può essere condivisa una sensazione di straniamento dovuta alla singolarità schiettamente fenomenica rappresentata sullo schermo, è tutt’altro che desueta l’illustrazione del regionalismo di cui è imbevuta la comunità, costantemente sottolineato dalla pervasività del commento musicale, intradiegetico in quanto le protagoniste possiedono comunque due timbri gradevoli, ma anche e soprattutto extradiegetico grazie al talento acquisito di Enzo Avitabile (i due temi principali però, “Indivisibili” e “Drin Drin”, sono di Riccardo Ceres).

L’adesione alla realtà ricostruita fa sì che non si ceda ai barocchismi stilistici, sollecitando piuttosto la trasparenza dei dialoghi e, alle volte, un acquietamento del ritmo, il cui culmine trova posto nella pur sempre ipnotica sequenza conclusiva: più che una condotta elegante, certo distante (per rimanere con il Garrone partenopeo) dall’autorialità di un “Reality” (2012), si tratta di guarnire il racconto con una salutare fedeltà antropologica, osservata e riprodotta con una discrezione tale per cui, ingaggiando ricorrenti longtakes plasmatori dello spazio geografico e sociale, il regista è in grado di proporre una serie di eventi plausibili senza rinunciare al vigore che gli sfoghi emozionali hanno la soddisfazione e spesso il dovere di amplificare al buio della sala cinematografica.

 

Voto al film

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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