Intervista di Irene Gianeselli all’attrice Caroline Baglioni: sulle tracce di “Gianni” e della sua solitudine

Caroline Baglioni nasce a Perugia nel 1985. Scopre il teatro da bambina grazie alla scuola Theamus di Lamberto Maggi, regista e musicista di Foligno. Dopo il Diploma in Lingue, è ammessa al Centro Universitario Teatrale di Perugia diretto da Roberto Ruggieri dove si forma con lui e con attori e registi.

Caroline Baglioni

Nel 2008 esce dal C.U.T. con un diploma da attrice/performer, dopo aver già lavorato l’anno prima in Purificati di Sarah Kane diretta da Antonio Latella per il Teatro Stabile dell’Umbria. Alla grande autrice inglese, torna nel 2010 realizzando la regia collettiva di Febbre con David Berliocchi, Marta Pellegrino e Domenico Viola.

Dopo la Laurea in Scienze dei Beni Antropologici, entra a far parte della compagnia La Società dello Spettacolo di c.l. Grugher, Michelangelo Bellani e Marianna Masciolini Con il gruppo di ricerca teatrale folignate partecipa a diverse produzioni dal 2012, attualmente in scena con Io sono non amore ispirato all’esperienza di Santa Angela da Foligno.

Nel 2013 collabora col Tieffeu di Mario Mirabassi in diversi spettacoli di teatro di figura. Al Teatro Valle Occupato inizia un percorso da drammaturga guidata da Antonio Latella. Con il monologo Gianni che ha scritto, diretto e interpretato (produzione della Società dello Spettacolo), vince il Premio Scenario per Ustica 2015 per essere riuscita a «creare uno spazio di comprensione ed empatia che scuote lo spettatore». Nel 2016 “Gianni” è vincitore del Premio Inbox.

 

I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Ci racconti gli anni della tua formazione?

Caroline Baglioni: Grazie a te Irene per l’interesse. Ho iniziato teatro da bambina in una scuola in provincia di Perugia, avevo otto anni ed ero molto timida… il mio primo “ruolo” fu il conte Ugolino, era una parte drammatica, l’unica dello spettacolo e mi ricordo che fu la primissima volta che capii cosa significasse fare altro da sé. Dopo il liceo feci il provino per il CUT, la scuola di formazione del Teatro Stabile dell’Umbria diretta da Roberto Ruggieri. Lì ho avuto modo di conoscere tantissimi maestri come Mario Ferrero, Ascanio Celestini, Antonio Latella, Francis Pardeilhan, Ludwik Flaszen, Danilo Nigrelli, Nicolaj Karpov, Ferruccio Marotti, Gian Claudio Mantovani, Giovanni Pampiglione, Anna Maria Giromella, Sergio Ragni, Gré Koerse… e sono stati tre anni (due di formazione e uno di specializzazione) incredibili… la scuola ti permette di scoprire i tuoi punti di forza e lavorare sulle tue debolezze sia umane che artistiche, e devo dire che anche il gruppo di attori del mio triennio 2004-2007 era molto variegato e quindi stimolante. Dopo il CUT ho fondato una piccolo gruppo di lavoro con tre colleghi della scuola e abbiamo messo in piedi uno spettacolo di Sarah Kane tratto appunto dal suo “Febbre”, ed è stata la prima volta che, seppur si trattasse di una regia collettiva, mi trovavo a dirigermi da sola. Nel 2012 sono entrata stabilmente nella compagnia La Società dello Spettacolo fondata da Michelangelo Bellani, c.l. Grugher e Marianna Masciolini con i quali tutt’ora portiamo avanti un percorso di compagnia indipendente e cerchiamo con umiltà di non tradire la nostra linea artistica. Dal 2014 sono entrata a far parte anche della Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria e contemporaneamente ho iniziato ad avvicinarmi alla scrittura di testi teatrali.

 

I.G.: Nel 2008, poco prima di diplomarti presso il Centro Universitario Teatrale di Perugia, hai lavorato nella produzione del Teatro Stabile dell’Umbria con Purificati di Sarah Kane per la regia di Antonio Latella. Cosa ha rappresentato per te questa esperienza?

Caroline Baglioni

Caroline Baglioni: Avevo ventitré anni ed è stato il mio primo debutto Nazionale, la prima fu al teatro Belli di Roma per la rassegna Garofano Verde. Un’emozione indescrivibile. Ci sentivamo dei leoni. Latella ha lasciato un segno indelebile in quegli anni di formazione, con lui imparammo cosa significasse leggere e approfondire un autore, sviscerare un testo, costruire uno spettacolo partendo da una visione totale, ci sentivamo fortunati e ci sembrava di aver raggiunto un obiettivo enorme, di aver scalato una montagna… ed era stato così realmente sulla nostra pelle. Poi finita la tournèe e la scuola, iniziò un periodo difficilissimo… qualcuno è andato avanti singolarmente o creando piccoli gruppi di lavoro, qualcuno ha cambiato strada. Quando hai la fortuna di essere diretto da un grande maestro e di avere una scuola a sostegno è tutto possibile… il vero salto è dopo, perché sei solo e devi trovare il modo di continuare il tuo percorso.

 

I.G.: Parliamo di “Gianni”, rappresentazione in cui si muove sulla scena la ricostruzione della figura di tuo zio. Come è nato lo spettacolo?

Caroline Baglioni: Le audiocassette incise da Gianni negli anni Ottanta fanno parte della mia vita dal 2004, anno del loro ritrovamento. Negli anni le sue parole hanno sempre riecheggiato dentro di me in qualche modo, e succedeva ogni tanto di rinfilare i nastri nel mio stereo e riascoltare le sue parole. Un giorno d’estate di due anni fa ho raccontato questa storia ad uno dei componenti della mia compagnia, Michelangelo Bellani, che ne è rimasto folgorato e abbiamo iniziato a rifletterci sempre di più. Gianni improvvisamente era entrato nei nostri discorsi quotidiani e viveva nella nostra immaginazione. Da lì ho iniziato a riascoltare i nastri attentamente e ho trascritto ogni singola parola, suono, titubanza linguistica su carta, ho iniziato un’indagine per conoscere la sua vita prima della sua depressione, ho sentito parenti e amici, mille storie per conoscere Gianni. Lo spettacolo è nato da questo, dal desiderio di realizzare una volontà molto esplicitata da Gianni in quei nastri: essere ascoltato.

 

I.G.:  Al di là della raffinata influenza beckettiana de “L’ultimo nastro di Krapp”, non credi si tratti di uno spettacolo che potrebbe correre il rischio di trasformare il teatro in un momento di autoesorcismo?

Caroline Baglioni - Gianni

Caroline Baglioni: No, assolutamente. Non c’è mai stata la volontà di esorcizzare qualcosa. Caroline nello spettacolo è un tramite attraverso cui parlano le parole di Gianni, il mio ruolo è assolutamente secondario. Tutto quello che viene detto, ogni singola sillaba, è la trascrizione fedele delle audiocassette. La mia personale esperienza con lui viene solo accennata per dar modo allo spettatore di comprendere il tipo di legame che ci ha uniti, ovvero di zio-nipote. Se avessi voluto esorcizzare la vicenda avrei parlato di come il suo suicidio ha influito sulla mia vita, avrei raccontato il modo in cui si è suicidato, quello che mi interessava invece era raccontare la storia di questo uomo illuminato e della sua solitudine e dare un senso di giustizia al suo gesto estremo. 

«…la magia del teatro fa sì che un testo, in qualche modo scritto, anche se involontariamente, da un uomo che si è tolto la vita perché si riteneva un perdente e un fallito, abbia portato alla vittoria, alla ribalta, il sangue del suo sangue, rivalutando, a posteriori purtroppo, un’intera esistenza» Tommaso Chimenti

Ecco, non saprei dirlo con parole migliori.

 

I.G.: Nello spettacolo c’è un particolare scenico piuttosto importante: le scarpe. Ci spieghi cosa rappresentano?

Caroline Baglioni: Le scarpe sono l’unico elemento scenografico del mio lavoro. Ventitré paia. Il riconoscimento del corpo di Gianni è stato fatto grazie ad una scarpa numero quarantasei. Sono partita da questo per raccontare la sua storia. Scarpe da uomo, quindi di Gianni e scarpe da donna, mie. Mettersi nelle scarpe di qualcuno per raccontarne la storia. Una scarpa mia e una sua, come un cammino insieme. Ogni scarpa un ricordo, un pezzetto di vita, una parte di nastro da ascoltare. Un semplice segno che cela in sé tutta una storia.

 

I.G.: “Gianni” è uno spettacolo che racconta anche la solitudine. Come il teatro può abbattere le solitudini?

Caroline Baglioni: Gianni dice “L’individuo solo, l’individuo che è senza amici senza amore, senza niente, forse è l’individuo rivoluzionario, quello che traccia una via agli altri. Lui la traccia per sé stesso, la cerca per sé stesso, e neanche forse ne trae i benefici ma è possibile che tracciando questa via, qualcun altro ne tragga per lui. Questo non mi consola ma mi fa riflettere”. Ecco, riflettere. Il teatro ha una potenza straordinaria quando si manifesta con tutta la sua forza. Certe sere, quando accade la magia, si è tutti insieme in un luogo che si crea davanti ai nostri occhi. A volte può diventare motivo di salvezza per chi guarda, si esce da sé per incontrare altri. Con la mia compagnia lavoriamo anche da anni con dei ragazzi con problemi di disagio mentale ed è incredibile come nelle ore di incontro ognuna delle loro solitudini si trasformi in forza collettiva.

 

I.G.: L’aspetto linguistico è altrettanto interessante, qual è la lingua di Gianni e come hai imparato ad utilizzarla?

Caroline Baglioni

Caroline Baglioni: Gianni nasce a Perugia in Umbria. Utilizza la sua lingua, la sua cadenza umbra. Ci sono pochissime parole dialettali, è più una cadenza, un suono. Io sono umbra e non è stato difficile riprodurla.

 

I.G.: Cosa significa per te essere una donna di teatro?

Caroline Baglioni: Significa sforzarmi di trovare qualcosa da raccontare che abbia la forza di entrare in chi ascolta in modo incisivo. Significa un continuo confronto con la vita, quella concreta, con le persone, con il pensiero, il corpo, la voce. Significa un lavoro continuo su me stessa in rapporto agli altri, fatto di critica e perdono, fatto di paura e forza. Significa combattere ogni giorno per trovare nuove forme di sostentamento, significa vivere molti periodi dell’anno con poche certezze ma con una grande convinzione, significa gettarsi nell’ignoto e cercare nel mio piccolo di costruire un percorso significativo che possa essere di spunto, riflessione, aiuto, a chi guarda.  

 

I.G.: Come valuti l’attuale situazione del teatro?

Caroline Baglioni: Sento uno spaesamento, un disagio, un arrancare continuo. Purtroppo non ho mai conosciuto tempi migliori, ho iniziato a lavorare in un momento non felice e con grande sforzo sto continuando a farlo, e continuerò a farlo. Credo che oggi moltissimo teatro che vediamo, purtroppo, sia frutto di calcoli meramente economico-finanziari,  che poco hanno a che fare con delle scelte artistiche, si costruiscono stagioni a tavolino con grandi nomi di richiamo, si investe su personaggi che popolano il piccolo schermo per riuscire a riempire i teatri, non si rischia quasi più, ed è un peccato, e un tradimento. L’arte per sua stessa natura non può avere vincoli, non può essere costruita, manipolata da norme, gestita da burocrati. C’è una grande fetta di teatro alla quale ancora piace rischiare invece, che non ha amici tra i politici, che lavora seriamente e dà più di ciò che riceve, si autofinanzia perché crede in quello che fa, perché altro non potrebbe fare, perché è fedele al proprio sentire. Con questo non voglio generalizzare! Del resto qualcuno sostiene che il teatro sia in crisi da quando è nato… ma noi per fortuna siamo ancora qui a parlarne.

 

I.G.: Quali sono i tuoi progetti futuri?

Caroline Baglioni: Il 16 settembre ho debuttato con “Todi is a small country in the center of Italy”, di Livia Ferracchiati al Terni Festival che sarà riproposto sempre a Terni dal 7 al 30 novembre. Intanto continua la tournèe di Gianni in molti bellissimi teatri da Cagliari a Palermo a Milano e poi Roma… e altre date dello spettacolo Io sono non amore, ispirato alla vita di Santa Angela da Foligno, produzione La società dello Spettacolo… e sto già pensando ad un nuovo progetto… ma spero di parlartene la prossima volta!

 

Written by Irene Gianeselli

Photo by Gloria Soverini

 

 

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