“Il servo” di Pierpaolo Sepe ed Andrea Renzi: l’opera di Robin Maugham al Napoli Teatro Festival 2016

“L’uomo ha sempre ascoltato i passi altrui e certo vi prestava più attenzione che ai propri.” – Elias Canetti, Massa e potere, traduzione di Furio Jesi, Adelphi, 1981

Il servo - teatro

La dinamica servo-signore ha radici antiche e conviene tenere presente l’intuizione hegeliana quando ci si accosta all’opera di Robin Maugham, Il servo, romanzo edito nel 1948 in cui “servo” è di fatto parola-carne teatralmente metabolizzabile che rende l’astrazione della struttura filosofica perfettamente tangibile e oltrepassabile. Dovendo riassumere il più sinteticamente possibile il percorso che Maugham impone ai suoi personaggi basterà pertanto fare riferimento proprio a Hegel: un individuo sorge di fonte ad un altro individuo. 

Il centro dell’opera non è però nella banale contrapposizione tra due autocoscienze, quanto nell’esito che produce: il servo finisce per assorbire il signore nella sua dimensione ferocemente molle.

La regia di Pierpaolo Sepe e Andrea Renzi porta sul palcoscenico la parola scheletrica di Maugham grazie anche alle scene spigolose e sottili di Francesco Ghisu, rese taglienti dalle luci fredde e diffuse di Cesare Accetta che amplificano il senso di smarrimento e di dissoluzione di una forma nell’altra.

Un testo indubbiamente rischioso per la sua attitudine ad avvolgere la trama lineare nelle spire di rimandi psicologici e filosofici continuamente messi in discussione proprio perché continuamente confermati dalle azioni dei personaggi.

Un testo indubbiamente rischioso che la regia rende omogeneo mettendo forse troppo a proprio agio lo spettatore: non è difficile seguire il delirio di Tony, il ricco avvocato londinese che si sente potente solo se viene sollevato dalle proprie scelte – anche se di fatto proiettare sugli altri il proprio dovere è ugualmente una presa di posizione, una accettazione di responsabilità – e la sua infatuazione per Barrett il domestico viscido e vagamente sarcastico che rappresenta il suo opposto.

Il servo

Come sempre accade quando ci si crede forti nell’opposizione, però, i punti di contatto sono la dannazione dei due protagonisti denudati (anche se questo non comporta per i personaggi uno sbilanciamento effettivo) delle rispettive funzioni proprio dalle figure femminili che gravitano attorno a questo salotto borghese.

Sally la fidanzata di Tony – una nervosa Emilia Scarpati Fanetti classista disperata, Cassandra radicale – Vera e Mable  – interpretate entrambe da una duttile Maria Laila Fernandez – le ambigue donne di Barrett potrebbero essere tutte la stessa donna, la stessa mancanza di femminile nella compenetrazione psichica dei due uomini ormai concentrati sulla rispettiva presenza dell’altro in se stesso.

Un gioco al massacro mancato, perché scoperta è l’essenza di questa messinscena in cui la bipolarità e la bidimensionalità scivolano l’una sull’altra senza radicarsi, crea una atmosfera anche troppo godibile per l’orchestrazione pulita degli attori e delle scene. Difficile per lo spettatore sentirsi davvero in pericolo avvolto dalla gentilezza con cui gli viene rappresentato il conflitto tra signore e servo.

Andrea Renzi è un Tony sempre più annebbiato, la sua ubriachezza è uno stato esistenziale e l’attore si centra sul “decentramento” con un distacco ironico marcato che presenta il finale come una prevedibile sospensione di coscienza. Lino Musella è un Barrett piuttosto feroce e respingente, capace di mostrare tutta la propria mutevolezza e imprevedibile fragilità che rende il personaggio terribilmente inafferrabile.

Il Servo

Consapevole del proprio cambiamento in cui non riesce però a coinvolgere l’amico Tony, è l’editore Richard: responsabile della scelta del luogo in cui si consuma la vicenda, la casa ampia e borghese, responsabile della scelta del servo, responsabile dell’abbandono di Sally, ma responsabile sempre per volontà di Tony che in quest’ottica si impone come deus ex machina inconsapevole di se stesso. Tony Laudadio è un Richard coerente, mai sopra le righe o rigido, perfettamente rifinito e concentrato sui polsini – correlativi oggettivi di una formalità nevrotica accettata dal personaggio come unica maschera salvifica – che smaniosamente allaccia e lascia sporgere dalle giacche, decentrato sulla propria frustrazione con rigore.

Proprio Richard allora è forse proiezione, nel finale come nel principio della pièce, del Maugham disilluso e in pace con se stesso, anche se troppo tardi teneramente capace di amare se stesso, compresa la propria omosessualità.

L’aspetto più efficace della messinscena risulta senza ombra di dubbio la capacità del testo e degli attori di fondare tutto il movimento dissolutivo sulla proiezione di due masse distinte che si scontrano proprio per la smania di incontrarsi e di ascoltare l’uno i passi dell’altro nella necessità di essere riconosciuti l’uno dall’altro, senza badare alla propria individualità che ritengono stoltamente inattaccabile.

Il rimando alla strategia politica (il capitalismo borghese scalpitante capace di camminare sui cadaveri che produce) presente nelle azioni dei personaggi non è certamente secondario e anzi proprio per il retrogusto britannico agrodolce della scrittura assume pieghe lugubri. Non si può nemmeno sottovalutare, del resto, la forte allusione al sistema teatrale in sé: potremmo benissimo sostituire a Tony la figura dell’attore asservito alle logiche di un produttore (Barrett) scalciato, rifiutato, detestato da un pubblico carente di volontà o cultura (Richard e le donne) costretto ad assecondarlo e ad accettare tacitamente un patto per l’annullamento del sé collettivo.

Napoli Teatro Festival 2016

Maugham restituisce un ritratto fedele di un io ossessionato dalla propria solitudine e da una moltitudine ignota che teme e morbosamente cerca nell’ascoltare i passi degli altri. Pierpaolo Sepe e Andrea Renzi costruiscono una rete di esistenze che ascoltano l’ignoto ma non sono abbastanza coraggiose da temerlo.

Il servo, nella traduzione di Lorenzo Pavolini, è andato in scena il 13, 14 e 15 luglio 2016 al Teatro San Ferdinando di Napoli nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2016. Lo spettacolo è stato prodotto da Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Casa del Contemporaneo – Centro di Produzione, Teatri Uniti, Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale.

 

Written by Irene Gianeselli

 

 

Info

Sito Napoli Teatro Festival

 

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