“È così che si uccide” di Mirko Zilahy: la sfida di un profiler italiano impegnato in una lenta caccia all’uomo

“Alla fine la caccia era iniziata e non poteva più tirarsi indietro. Malgrado tutto, aveva dovuto ammettere che proprio lì, da qualche parte a Roma, si nascondeva un omicida seriale.”

È così che si uccide

Mirko Zilahy, nato a Roma nel 1974, ha lavorato per anni come editor e traduttore di note case editrici, fino a quando ha deciso di passare dalla parte opposta: quella dello scrittore. Il risultato è un thriller ambientato in una Roma cupa, sferzata da una pioggia battente, dal titolo “È così che si uccide” (Longanesi, gennaio 2016).

Amore, morte e vendetta sono i punti cardine dell’opera; mentre il protagonista è un commissario carismatico, che si è formato a Quantico in Virginia, e che non riesce a separarsi dai suoi guanti di pelle.

La sequenza degli atti omicidiari, compiuta dal killer, si accompagna ad una profonda analisi della psiche di una mente criminale. Le due cose vanno di pari passo, e non sussistono se non insieme.

Enrico Mancini non è un semplice funzionario di polizia, al quale ci hanno abituato i gialli italiani, bensì è un “profiler” che ha studiato in America. È specializzato nell’elaborazione di profili di assassini seriali. Traumatizzato dalla recente morte della moglie Marisa, vittima di un cancro che in poco tempo l’ha portata via, Mancini non riesce più ad essere freddo e distaccato al cospetto di un cadavere. Talvolta ha anche degli svenimenti e delle strane visioni, che si materializzano in corrispondenza di un animo divenuto troppo tormentato. Il suo mondo viene “filtrato” attraverso un paio di guanti in pelle, appartenuti a Marisa, che il commissario indossa sempre e dei quali non riesce a fare a meno.

Quando il cadavere di una donna, orrendamente mutilato, viene ritrovato nei pressi della basilica di San Paolo, Mancini decide di rifiutare l’indagine. Abbattuto e sconfitto, gli capita di pensare sempre più spesso a chissà quale soluzione drastica, pur di porre fine alla sua miserabile vita.

Ma il commissario Enrico Mancini non è un perdente, anzi, è un uomo deciso e molto portato per il suo lavoro, che riesce facilmente a mettersi nei panni dell’assassino, e, appunto per questo, a catturarlo. Basta soltanto attendere che l’antico entusiasmo per il suo mestiere torni a fare breccia, insieme a quella sete di rivalsa che lo porta a fiutare la pista giusta. Così quando un secondo corpo viene ritrovato, ucciso col medesimo “modus operandi”, Enrico Mancini mette insieme una squadra – che include anche il suo vecchio professore, al quale deve le sue conoscenze -, per iniziare una vera e propria caccia all’uomo. A Roma si nasconde un serial killer, ormai è chiaro a tutti, e sarà compito proprio di Enrico Mancini e del suo team cercare di catturarlo, prima che faccia altro male.

Mirko Zilahy

Quella che Mirko Zilahy delinea, attraverso una prosa riccamente descrittiva ed incalzante, è una Roma “oscura”, lontana dagli edifici e dai monumenti storici per la quale è conosciuta. Come per esempio quel Gazometro, teatro di un crimine, che fa da contraltare al Colosseo; dove alla storia antica e all’arte si unisce un’industrializzazione perpetrata negli anni, che ha dato un nuovo volto alla città. Il Gazometro viene descritto come fosse un monumento, nei minimi particolari, così come il vecchio mattatoio di Testaccio: sono luoghi che hanno una voce, anche se sono in pochi a sentirla. Si tratta di una Roma “diversa”, che pur essendo reale, sembra quasi “sottotono”, e nella quale albergano spettri come avveniva nei romanzi vittoriani. Non a caso, il nome che il killer ha scelto per firmarsi è “Ombra”.

La prima delle morti è compiuta. Tu non mi conosci. Nessuno mi conosce. Sono solo un’ombra. E uccido”.

È così che si uccide” è un’ottima prova d’esordio per l’autore, capace di tenere col fiato sospeso dall’inizio alla fine. I refusi, inevitabili nei libri, non sono poi molti. L’unica cosa che chiederei a Mirko Zilahy, avendone la possibilità, è se si è accorto che a pagina 140, nella descrizione della carta d’identità della domestica di uno scomparso, ha scritto “celibe”. Ma Nives Castro è una donna?!

Lo so, sono proprio una rompiscatole. Nessuno me ne voglia: è che agli appassionati di thriller, come me, piace che tutto sia sempre perfetto.

 

Written by Cristina Biolcati

 

 

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