Il taccuino del giovane cinefilo presenta “Spectre” di Sam Mendes

Spectre”, 24esimo capitolo della celeberrima saga di spionaggio e l’ultimo che vede protagonista Daniel Craig assieme a Sam Mendes in cabina di regia, è un titolo la cui posizione e costituzione favoriscono una chiusura di classe del cerchio iniziato con “Casino Royale” (2006) e proseguito con “Quantum of Solace” (2008) e “Skyfall” (2012).

Spectre

In pieno rispetto della politica artistica adottata dalla EON Production (letteralmente “Everything or Nothing”), ogni sfumatura tecnica mira al superamento dei limiti stabiliti dal lungometraggio precedente: eccoci infatti di fronte all’episodio più costoso (il budget è lievitato a circa 245 milioni di dollari) e più lungo (la durata ammonta a quasi due ore e mezza), alla detonazione dal vero più imponente della storia del cinema (procurata grazie a 8418 litri di carburante e 33 kg di esplosivi), ad un soggetto, firmato ancora una volta da John Logan, Neal Purvis e Robert Wade (gli ultimi due dei quali autori dei quattro recenti script), il cui profilo si sforza di apparire genuinamente globale, coinvolgendo le forze speciali residenti nel Regno Unito, in Messico, in Marocco, in Austria, in Italia.

La SPECTRE è un’organizzazione criminale terroristica che sta minacciando l’esistenza stessa dei servizi segreti a livello planetario, divenuta in seguito a diversi attentati (compreso quello all’MI6 londinese) così temuta e all’avanguardia da riuscire ad infiltrarsi nelle più sicure banche dati, come fascinosamente evocato nei “tentacolari” crediti di testa, e ad influire sul futuro della sicurezza internazionale.

Agli occhi di alcuni renderebbe totalmente sorpassato il celebre programma 00, la cui abolizione sosterrebbe la più avanzata “guerra dei droni”, ai quali tuttavia verrebbe fornita egualmente la licenza di uccidere senza alcun ritegno per quella inversa: la facoltà di non uccidere continua di fatto a rimanere prerogativa squisitamente umana.

Questa gigantesca piovra cibernetica è intenzionata ad inghiottire nelle sue spire ogni firewall fino a detenere il controllo totale delle comunicazioni sulla Terra: è l’incarnazione della massima “l’informazione è tutto”, quanto mai attuale nel panorama sociale moderno. D’altronde, le tematiche affrontate dai film precedenti sono sempre state collocate in una visione contemporanea, sensibile ai cambiamenti politici e tecnologici, costantemente aggiornata nella speranza di soddisfare le lecite esigenze del pubblico.

Spectre

Bond stesso deve fare i conti con questa realtà incontrovertibile, questo mutamento nella natura dei conflitti e degli armamenti, acuito dalla sostituzione di M (rappresentato non più dalla stoica Judi Dench, bensì dall’ostico Ralph Fiennes), dalle ristrettezze nelle operazioni dettategli dall’alto (per quanto puntualmente circuite con risolutezza), dal vincolante rapporto con il proprio torbido passato che emerge con sempre maggior prepotenza, mettendo a dura prova la sua tempra fisica e psicologica in prospettiva di un meritato pensionamento.

Eppure, la presente mole di ostacoli non intacca affatto lo stile esistenziale della spia, il suo temperamento inossidabile, l’inesauribile sangue freddo, come testimoniato dalla sequenza della lobotomia (forse reminiscenza dell’indimenticabile minaccia laser a quanto più di mascolino abbia James in “Missione Goldfinger”?). Irriducibile ovviamente si attesta l’attrazione per il sesso femminile, che qui gioca un ruolo assai più rilevante rispetto a “Skyfall”: fra le due bondgirl, la prima delle quali è una Monica Bellucci “da record” (50 anni suonati) coinvolta nelle vesti di Lucia Sciarra solo all’interno della parabola romana, Léa Seydoux aka Madeleine Swann sembra addirittura al contempo fonte e destinataria di una passione vera, solida e soprattutto duratura, rimarchevole chiave di lettura specialmente nella coda di questa gigantesca “sinfonia schermica”. 007 davvero deciderà di rinunciare all’esclusività del suo agire, di non essere più solo nelle sue mirabolanti caccie all’uomo?

Questi sono alcuni fra i sempre nuovi quesiti che coraggiosamente gli autori pongono a se stessi, personalità, non dimentichiamolo, con alle spalle ad ogni inedita realizzazione un rinnovato carico culturale da cui prendere le debite distanze e allo stesso tempo verso il quale nutrire un sincero sentimento di rispetto e ammirazione.

Spectre

È anche vero che se continueranno ad esserci registi del calibro di Sam Mendes, confermato nella sua abilità di innalzare i blockbuster nettamente al di sopra della qualità media (à la manière de Christopher Nolan), innervandoli, a cominciare dalle iconiche operazioni d’apertura che da sempre pongono un sigillo inconfondibile ad ogni nuova avventura, di scene d’azione di grande impatto, violenza e frizzante inventiva, che coinvolgono pure grandi masse e templi scenografici, stimolando persino inusitati longtakes, il futuro della serie è allora collocabile in un Olimpo mediatico sui generis, al cui splendore la critica potrebbe avere accesso se non preferisse fossilizzarsi in laconici, qualora non petulanti, rimpianti della supposta “età dell’oro bondiana”.

Spectre” si è visto muovere accuse di incongruenza e scontatezza, eccesso di citazionismi e leggerezza; “l’espressione di Daniel Craig è così immutabile che potrebbe anche essere scolpito nella pietra”. L’opinione del sottoscritto sottolinea innanzitutto la dozzinalità di certe campagne contro quegli stili recitativi di cui non si vuole, si badi, comprendere le logiche: questo Bond che ha ancora “l’hobby della risurrezione” e lo charme apparentemente impenetrabile di un indistruttibile eroe patriottico, a ben vedere consta di uno spessore umano di grande rilievo, evidente in alcuni momenti topici ove senza un pronto intervento esterno, non di rado realizzato dalla disinvolta star francese, sarebbe formalmente spacciato.

Dal canto suo Christoph Waltz, nei panni del fantasma redivivo Oberhauser/Blofeld, risulta all’altezza, soprattutto se messo a confronto con gli ex subordinati Le Chiffre, Mr. White e il Raoul Silva del meraviglioso Javier Bardem; tuttavia è intrinsecamente desiderabile per lui un ritorno a ruoli e copioni più complessi e motivanti, sulla linea dei due tarantiniani che l’hanno portato alla gloria.

Spectre - film

Se si eccettua il buonsenso del pubblico inglese, che ha decretato l’ultimo film di Mendes “re degli esordi” in terra britannica con 65 milioni di dollari rastrellati nel giro una settimana, la fredda accoglienza del resto del mondo non deve conseguentemente esaltare oltremodo il riferimento più prossimo, ossia le atmosfere noir che nell’epilogo di “Skyfall” hanno raggiunto vette di distinta fattura, materializzate nelle mura della dimora scozzese, culla e scrigno delle scomposte origini di James Bond, “signora che custodisce gelosamente i suoi segreti” ed emblema della vecchia scuola, delle arti definitivamente vittoriose sulla corruzione a fianco degli immancabili gadget ipertecnologici forniti dallo spigliato Q Ben Whishaw.

Questi due episodi ricapitolativi, l’uno a cinquant’anni dal capostipite, l’altro semplicemente corredato da coordinate numeriche fortemente significative (da secoli il 24esimo elemento di un qualunque ciclo è considerato speciale per sua natura), vivono di uno stato di resistente interdipendenza ed elastico determinismo, perseverando nella definizione di un universo le cui leggi e necessità, al di là delle pigre insoddisfazioni della massa, non accennano affatto a deperire.

 

Voto al film

 

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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