“Confessione” di Lev Tolstoj: i quattro modi di rapportarsi alla vita e la soluzione cattolica

“Io – artista, poeta – scrivevo, insegnavo senza sapere io stesso che cosa”.

 

Così Tolstoj descrive la propria giovinezza, nella quale la sua cultura, unita alla perdita della fede, lo aveva reso superbo e avido di guadagno.

L’unica sua fede era quella nel progresso, fede che si incrinò, per la prima volta, a Parigi, alla vista di un’esecuzione capitale, e la seconda volta in occasione della morte di suo fratello.

Circa cinque anni dopo il suo matrimonio, la crisi si esacerbò, divenendo più profonda: iniziò a domandarsi il senso di tutto, il senso della sua esistenza e del suo agire.

“La mia vita si arrestò. Io potevo respirare, mangiare, bere, dormire, non bere, non dormire; ma la vita non c’era, perché non c’erano desideri la cui soddisfazione mi sembrasse razionale” ; la vita gli apparve priva di senso, intrisa di nulla, un malvagio scherzo giocatogli da qualcuno.

Non riusciva ad attribuire alcun senso né ad ogni singolo suo atto né all’intera sua vita. Una (possibile) salvezza nell’arte?

Fino a quando la vita che vivevo non era la mia propria, bensì la vita degli altri che mi trasportava sulle sue onde, finché credetti che la vita avesse un senso […] i riflessi della vita, di qualsiasi genere fossero, nella poesia e nelle arti, mi procuravano gioia, ed era rallegrante per me guardare la vita in quello specchietto dell’arte; ma quando cominciai a cercare il senso della vita, quando avvertii l’esigenza di vivere la vita mia propria, quello specchietto mi divenne o inutile, superfluo e ridicolo, oppure tormentoso” .

Del resto, neppure la scienza gli forniva le risposte sul senso della vita, ambito che riguarda la filosofia speculativa, o metafisica, la quale, tuttavia, neppure essa poteva risolvere il suo dilemma esistenziale.

Dunque io andavo vagando per questa foresta delle scienze umane fra le radure delle scienze matematiche e sperimentali che mi aprivano orizzonti nitidi, ma tali che nella loro direzione non si potesse avvistare neppure una casa, e fra le tenebre delle scienze speculative, nelle quali finii per immergermi in un buio sempre più fitto, via via che avanzavo, finché mi convinsi del fatto che un’uscita non c’era e non poteva esserci” .

Dinanzi a noi, il nulla. Ma la volontà di vivere si ribella a questa risposta nichilista. Si è in costante bilico tra la volontà e il nulla.

Non riuscendo a trovare una spiegazione nella scienza, Tolstoj cominciò a cercarla nella vita: osservò che, dinanzi agli uomini intorno a lui, quattro vie si profilavano, quattro modi di rapportarsi alla vita.

La prima via è quella dell’ignoranza: non comprendere che la vita è male e non ha senso. La seconda è quella dell’epicureismo: approfittare del presente, di ciò che abbiamo qui ed ora, pur consci della situazione disperata della vita. La terza è quella della forza e dell’energia: consiste nel distruggere la vita, dopo aver compreso che la vita è un male e un non-senso. La quarta è quella della debolezza: continuare a trascinare la vita, pur comprendendone l’insensatezza, non avendo la forza sufficiente per porre fine alla vita.

Poi, Tolstoj si accorge dell’errore alla base del suo ragionamento.

Io domandavo: qual è il significato non temporale, non casuale, non spaziale della mia vita? E invece rispondevo a quest’altra domanda: qual è il significato temporale, casuale, spaziale, della mia vita? Il risultato fu che dopo un lungo lavorìo del pensiero, io risposi: nessuno” .

Comprese che non era possibile cercare nella conoscenza razionale una risposta alla sua domanda e che, per quanto irrazionali e mostruose fossero le risposte fornite dalla fede, esse potevano introdurre in ogni risposta il rapporto tra il finito e l’infinito, senza il quale non poteva darsi una risposta. Ogni individuo vivente, ammise Tolstoj, oltre alla conoscenza razionale possiede anche un’altra conoscenza, di natura irrazionale, ossia la fede, che offre la possibilità di vivere. La conoscenza razionale, dal canto suo, lo aveva indotto a considerare la vita come priva di senso.

La fede è la forza della vita. Se l’uomo vive, significa che in qualcosa crede”.

Sicché, dunque, Tolstoj fu pronto ad accettare qualsiasi fede, purché essa non avesse avuto come rovescio della medaglia una decisa negazione della ragione.

Dopo aver constatato negli intellettuali e nei teologi ortodossi una fede che ottenebrava la vita e contrastava con il vissuto, cominciò ad avvicinarsi alla fede delle persone semplici, dei monaci, dei pellegrini.

Contrariamente a ciò che vedevo nella nostra cerchia, dove tutta la vita trascorre nell’ozio, nei divertimenti e nella insoddisfazione per la vita, io vedevo che tutta la vita di quegli uomini trascorreva in una dura fatica e che essi erano meno scontenti della vita in confronto ai ricchi”  .

Dunque, la convinzione che la vita fosse una male era riferita soltanto alla sua vita, come comprese Tolstoj.

Compresi che, se volevo capire la vita e il suo senso, dovevo vivere non la vita del parassita, bensì la vita autentica e che, accettando il senso che ad essa l’umanità autentica attribuisce, dovevo prima fondermi con quella vita, e poi verificarlo” .

Tornò quindi alla fede in Dio, la sola che trasmette senso alla vita, una fede consapevolmente abbracciata. Rifiutò la vuotezza della vita degli intellettuali, guardando con fervente simpatia alla vita del semplice popolo lavoratore, illuminata dalla fede in Dio.

Il compito dell’uomo nella vita è di salvare la propria anima; per salvare la propria anima occorre vivere secondo la volontà di Dio e per vivere secondo la volontà di Dio bisogna rinnegare tutti i piaceri della vita, darsi da fare, umiliarsi, sopportare ed essere misericordiosi” .

Come evoluzione della sua ritrovata fede (unita, ricordiamo, allo scetticismo verso la dottrina religiosa di intellettuali e teologi), arrivò la contrapposizione alla Chiesa ortodossa; in particolare riguardo al rapporto dell’Ortodossia nei confronti di altre confessioni cristiane.

Quella dottrina che mi aveva promesso di unire tutti in un’unica fede e in un unico amore, quella dottrina stessa per bocca dei suoi migliori rappresentanti mi diceva che quelle erano tutte persone che si trovavano immerse nella menzogna e che ciò che dava loro la forza di vivere era la tentazione del diavolo e che noi soli eravamo in possesso dell’unica verità possibile”.

Smise dunque di dubitare, convincendosi pienamente che, nella conoscenza della fede cui aveva aderito, non tutto era verità. Bisogna dunque, concluse, esaminare tutto, sino ad essere condotti a ciò che è inevitabilmente inspiegabile, a causa dei limiti della ragione.

Confessione“. Una dialettica interiore. Il racconto del procedere di una crisi interiore condensato in poche pagine, evitando, in tal modo, di divenire una lagnante lamentazione di sé. Un’introspezione interiore in cui traspare una forza e un’esigenza dialettica di chiarezza e verità.

 

Written by Alberto Rossignoli

 

Bibliografia 

L. Tolstoj, “Confessione”, Gingko Edizioni, Bologna 2009.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *