Hampton Court e le sue storie di fantasmi e crudeltà sulla regina Catherine Howard

Considerato fin dall’inizio un vero e proprio palazzo reale, Hampton Court venne, in realtà, edificato quale sua residenza privata dal Lord Cancelliere di Enrico VIII, il vescovo Thomas Wolsey, figlio di un semplice macellaio che, con grande caparbietà e una totale assenza di scrupoli, era riuscito ad arricchirsi e a fare una straordinaria carriera religiosa e politica.

Vero arbitro e burattinaio della politica inglese per almeno un decennio, tra il 1518 e il 1529, invece di guadagnarsi il favore incondizionato del sovrano che serviva senza alcuna riserva, Wolsey se ne attirò l’invidia e la rabbia, dapprima costruendo il palazzo di Hampton Court – la più bella e sfarzosa tra le dimore nobiliari dell’epoca – poi rifiutandogli il “favore” di annullare il matrimonio con Caterina d’Aragona.

Perduta la benevolenza di Enrico VIII, tutto ormai preso da Oliver Cromwell, che gli aveva risolto il problema della moglie, il vescovo Wolsey tentò di riconquistare il re offrendogli il suo palazzo: e quando l’altro dette segno di gradirlo, si convinse di aver raggiunto il suo scopo. Si trattava, in realtà, soltanto di un’illusione, perché, quasi nello stesso momento in cui accettava quel dono, Enrico VIII convocava il Cancelliere a rispondere di un’accusa di tradimento.

Compreso che le cose si mettevano male, invece di recarsi a corte, da dove sarebbe poi stato probabilmente trasferito nella Torre di Londra e giustiziato, Wolsey fuggì a Leicester, città nella quale i suoi malanni lo costrinsero a fermarsi fino alla morte, avvenuta pochi mesi più tardi. Prima ancora che spirasse, intanto, Enrico VIII si era impadronito di Hampton Court, dove avrebbe, da allora in avanti, portato tutte le sue mogli e i suoi figli, costringendo la maggior parte di loro a subire crudeltà, capricci e bizzarrie.

Particolare, tra le altre, fu la storia di Catherine Howard, giovane cugina di Anna Bolena (seconda moglie del re), che, forzata a un matrimonio con un sovrano molto più anziano di lei, finì per innamorarsi di un giovane di corte, tal Thomas Culperer. Con quest’ultimo intrecciò una relazione che si fece sempre più intensa e non sfuggì agli occhi attenti degli altri componenti del seguito reale, i quali pensarono bene di avvertire Enrico VIII.

Questi, tornato una volta, all’improvviso, ad Hampton Court, sorprese sul fatto i due amanti e decise all’istante del loro destino: condannò a morte Culperer e segregò Catherine nelle sue stanze, con la proibizione assoluta di lasciarle.

Isterica, praticamente in carcere dopo aver vissuto un’infanzia e un’adolescenza libere e spensierate, la giovane donna puntò allora sull’avvenenza dei suoi 19 anni e, confidando di poter soggiogare Enrico VIII, escogitò un piano per incontrarlo e gettarsi ai suoi piedi. Sapendo che il re, ogni mattina, assisteva alla funzione religiosa in fondo al corridoio che passava proprio davanti alle sue stanze, decise che avrebbe tentato di eludere la sorveglianza delle guardie appostate fuori dalla sua porta per raggiungere di corsa la cappella. La trovò chiusa e cominciò quindi a tempestarla di pugni, piangendo e implorando il marito di perdonarla e permetterle delle spiegazioni. Impassibile, Enrico VIII assistette in silenzio alla disperazione di Catherine, finché arrivarono le guardie a riprenderla e riportarla indietro.

Poco dopo, il re dette ordine di chiuderla nella Torre, dove la donna avrebbe finito i suoi giorni a soli 20 anni, il 13 febbraio 1542.

Circa centocinquant’anni più tardi, il fantasma di Catherine Howard sarebbe stato visto per la prima volta lungo quel corridoio. Ma non sarebbe stato che dalla fine dell’Ottocento che le segnalazioni di visioni spettrali, di suoni di urla e pianti, di colpi e singhiozzi perfettamente in accordo con la triste vicenda di quella moglie di Enrico VIII, si sarebbero moltiplicate a dismisura, provenendo sia dai visitatori occasionali del palazzo, sia dal personale impiegato per la manutenzione dell’edificio.

Una compilazione delle sole testimonianze su quel fantasma relative al Novecento ammonta a diverse decine di casi, che hanno in comune la breve durata dell’apparizione: non più di pochissimi secondi, appena il tempo di scorgere la sagoma e i lineamenti generali della figura, di solito una “dama bianca”, ma non di osservarla in volto e riconoscerla davvero per l’immagine della giovane donna, il cui ritratto è tuttora appeso in una delle ali laterali del palazzo.

Un’altra presenza che, di tanto in tanto, è stata osservata in varie sale è quella di Sybil Penn, ovvero colei che si prese cura del figlio di Enrico VIII, Edward, rimasto orfano a pochi giorni dalla nascita per la morte della madre. Donna di grandi capacità e molto attaccata al suo compito di madre adottiva, questa governante abitò nel palazzo anche dopo la morte di Edoardo VI, perché la regina Elisabetta ne aveva un’alta stima e molti componenti della corte le si erano affezionati. Nel 1562 sia lei che la regina furono colpite dal vaiolo ma, mentre la sovrana guarì, Sybil Penn rimase vittima della malattia. Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di St. Mary, dove sarebbe rimasto fino agli anni Venti dell’Ottocento, quando l’edificio sacro fu demolito e le ossa di tutti coloro che vi erano stati sepolti finirono disperse.

Fu esattamente da quell’epoca – dice una leggenda – che cominciarono a susseguirsi testimonianze sulla comparsa, ad Hampton Court, di uno spettro femminile che chiedeva una sepoltura in terra consacrata.

Verso la fine del secolo, la famiglia Ponsonby, che risiedeva nelle stanze occupate un tempo da Sybil Penn, cominciò a percepire, di notte, il rumore di un arcolaio che girava ripetutamente e la cosa divenne talmente fastidiosa che si decise di abbattere la parete da cui proveniva il singolare rumore. Si scoprì così una camera completamente murata, che si ritenne essere il luogo ove l’antica governante trascorreva le sue giornate, e su un tavolo fu trovato un antico arcolaio dal perno consumato dall’uso.

Oltre che nel Corridoio infestato e nell’appartamento di Sybil Penn, comunque, visioni e impressioni di suoni e rumori sembra abbiano avuto luogo anche nelle Stanze di re Giorgio, lungo uno scalone (ma qui, ad apparire, sarebbe stata non una figura femminile, bensì quella di un cane) e in un cortile interno del palazzo, dove qualcuno disse di avere intravisto due cavalieri impagnati in un duello.

Non diversamente da quel che vale per altre località che sembrano essere frequentate da presenze invisibili e capricciose, anche in questo caso le anomalie e le stranezze sembrano concentrarsi in pochi ambienti, ovvero quelli che, secondo la tradizione, hanno ospitato eventi drammatici ed emotivamente ricchi. Se questo sia un effetto reale, però, o soltanto una distorsione dovuta alla volontà di identificare a posteriori gli episodi storici in grado di giustificare la comparsa dei fantasmi, è una questione tutt’altro che chiarita e che attende ancora di essere verificata.

 

Written by Alberto Rossignoli

 

Fonte

M. Biondi, “Misteriose presenze. Viaggio tra case infestate e luoghi maledetti”, Oscar Mondadori, Milano 2005

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *