La Scuola della Carità di Padova: un ciclo di dodici affreschi del Cinquecento illustra la vita della Vergine

A volte si fanno scoperte inaspettate, che lasciano un senso di soddisfazione e di appagamento. Preziosi tesori si possono nascondere ovunque, anche in luoghi della propria città che esulano dai normali itinerari artistici.

In un’antica via di Padova, la via San Francesco, ricca di palazzi d’epoca, al civico 61 si trova la Scuola della Carità. I padovani molto probabilmente conoscono poco tale edificio, poiché è situato sotto un portico e non sempre è aperto al pubblico. Quando hanno luogo le visite guidate, un cartello viene esposto all’esterno ed induce i passanti ad entrare.

Qui si trovano dei preziosi affreschi del Cinquecento di Dario Varotari, padre del celebre pittore Alessandro, detto “il Padovanino”. Un patrimonio artistico inestimabile, risorto ad antico splendore dopo un restauro avvenuto nel 2007. Le fonti riportano che la Scuola della carità, intesa come “riunione”, “assemblea”, è una delle più antiche confraternite laicali di Padova.

Amministrava i lasciti di coloro che destinavano parte dei propri averi in favore dei poveri e dei bisognosi. Ricordata fin dal XV secolo, in realtà pare essere più antica. Nel 1419 l’ente era provvisoriamente alloggiato presso l’ospedale della città, ma presto cambiò indirizzo per stabilirsi dove si trova attualmente. Le opere erano finanziate da Baldo Bonafari e Sibilia de Cetto, una coppia di coniugi, che alla morte lasciarono la loro casa alla Scuola della Carità.

Per rendere l’edificio adeguato al nuovo compito, furono aperte finestre, fu costruito uno splendido soffitto a cassettoni e furono decorate le pareti con un nuovo ciclo di affreschi illustranti i tratti salienti della vita della Vergine. Le pareti erano state in precedenza affrescate da un pittore ignoto, e tracce di queste vecchie decorazioni sono ancora visibili nella fascia sottostante i ritratti dei coniugi Bonafari, mecenati dell’opera.

Il ciclo del “Capitolo della Confraternita della Carità”, dipinto da Dario Varotari nel 1579, è l’ultimo complesso di affreschi eseguiti a Padova nel secolo XVI. I riquadri con episodi della vita della Vergine sono dodici. Un tredicesimo, più grande, dipinto sulla parete meridionale, contiene i ritratti dei coniugi Bonafari.

I colori intensi rivelano l’influsso veronese della cultura pittorica del Varotari, anche se sono rintracciabili riferimenti di origine veneziana, in particolare a Tiziano e Tintoretto. Si parte dalla “Cacciata di Gioacchino dal tempio” dove la figura allungata del gran sacerdote allontana l’infecondo futuro padre di Maria, per trovare poi “Gioacchino fra i pastori”, dove il Varotari dà una grande prova di essere un buon pittore di animali e paesaggi.

L’incontro di Gioacchino e Anna alla porta aurea”, nel pannello numero tre, fa trasparire una similitudine fra la figura di Gioacchino e le opere di Tiziano; mentre la donna a destra risente dell’influenza del Veronese. Singolare come esempi di pitture di ispirazioni differenti possano coesistere in uno stesso dipinto.

Nel quarto pannello troviamo “La natività della Vergine”, in cui l’equilibrio tra figure e oggetti sottolinea l’abilità del pittore come compositore d’interni. Protagonista de “La presentazione di Maria al Tempio” è la figura della Vergine giovinetta, in posa con “elegante svolazzo manieristico della mantella rosa”.

Nella parete di fondo, ecco il ritratto di Baldo e Sibilia Bonafari, interessante soprattutto per avere un riscontro su come vestissero i ricchi signori dell’epoca. Settimo affresco, “Presentazione della Vergine giovita”. Qui molte figure vengono inserite in un ambiente chiuso.

Dietro alla figura di San Giuseppe c’è un rudere di una costruzione romana, degno di particolare attenzione. Nell’ottavo affresco, “Il matrimonio della Vergine”, ritroviamo un gruppo dal quale si stacca una figura di donna all’estrema destra, dove si evince una certa libertà di schemi disegnativi.

Nono pannello per “L’Annunciazione”. Qui il Varotari disegna ambienti dell’epoca, anche se l’umidità ha danneggiato questo affresco in modo particolare. Al numero dieci, la “Visitazione”, dove una zona di luce, con il bel tempio allineato e la figura di san Giuseppe con l’asinello rappresentano la parte più riuscita. “La morte di San Giuseppe” è forse uno dei migliori dipinti della serie, dove i colori intensi restituiscono tutta la drammaticità del momento.

Infine, nell’”Assunzione”, la Vergine riappare recando il modulo allungato e sembra rifarsi al modello della pittura tosco-emiliana dell’epoca. Un “inventario” di influenze stilistiche, fra loro molto ben amalgamate. Una visita interessante che consigliamo a tutti.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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