“Le Trachinie”, tragedia di Sofocle: gli eroi non si sottraggono alla legge degli Dei

Le Trachinie” è tra le più antiche tragedie di Sofocle, colui che condusse la tragedia al suo massimo splendore. Paragonata per intensità di pathos e approfondimento psicologico all’Antigone e all’Aiace, fu rappresentata  tra il 438 e il 420. Il fatto che la prima parte della tragedia sia concentrata su una figura femminile, ne fa un’opera radicalmente originale, segno che le donne a quei tempi cominciavano a rivendicare uno spazio di libertà precedentemente precluso loro.

Ancora le donne sono le coreute, le donne di Trachis, in Tessaglia, dove si svolge la tragedia, che tratta l’episodio conclusivo della nota saga di Eracle: la sua morte procuratagli dalla moglie Deianira con una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, che l’eroe aveva ucciso.

Il mito è noto, ma profonde sono le modifiche apportate da quel genio di Sofocle, che rivoluzionò la tragedia inserendo il terzo attore (triteragonista) ,innalzando il numero dei coeruti da dodici a quindici e approfondendo con sensibilità precoce rispetto ai tempi la disamina psicologica dei personaggi.

Procediamo con ordine: l’inserimento del triteragonista conferiva alla rappresentazione un maggiore dinamismo, ampliandone l’aspetto drammatico, consentiva un fervido dibattito tra i diversi punti di vista incarnati dai protagonisti; ampliamento del coreo arricchiva la dimensione spettacolare e ad esso è inoltre consegnata la riflessione filosofico-psicologica sui fatti tragici rappresentati. La dinamica psicologica profondamente scandagliata fa di Sofocle un autore intelligente e modernissimo, di fronte al quale appaiono deboli tutti coloro che si siano avventurati nel  genere psicologico della letteratura mondiale.

La scena delle Trachinie è ambientata a Trachis, la cittadina della Tessaglia dove Eracle si trasferisce insieme alla moglie Deianira, promessa sposa di Acheloo (che Eracle uccise), dopo l’uccisione del centauro Nesso, che aveva tentato di insidiarla. La scena si apre con Deianira, in ansia fremente perché il marito è partito alla conquista dell’Ecalia e ancora non fa ritorno; la donna manda dunque il figlio Illo a cercarlo (evidenti sono i rimandi alla Telemachia omerica), ma presto giunge sull’isola un messo ad annunciare il ritorno dell’eroe. Egli è sano e salvo; Deianira ne gioisce, ma poi l’amara sorpresa: l’eroe porta con sé un folto  gruppo di prigionieri, tra cui Iole, la figlia del re d’Ecalia.

Deianira, impietosita dalle lacrime dei prigionieri, accoglie Iole in casa, ma presto viene a sapere che Eracle ne è innamorato e anzi ha espugnato la città per averla. I fatti sono noti, perché appartenenti interamente al mito, ma mentre in questo Deianira si presenta come una donna feroce e vendicativa, al pari di Medea, qui invece è una donna sofferente e delicata che non prova rancore né per il marito né per Iole, che anzi commisera in quanto prigioniera; il che modifica non poco la trama rispetto all’originale e fa di Deianira un’eroina affettuosa e fedele, che manda  ad Eracle una tunica trattata col sangue di Nesso, che, morendo le aveva detto che quel sangue era un filtro di amore che avrebbe reso Eracle a sé fedele per sempre.

Le cose vanno diversamente, segno che nulla può l’uomo contro il destino assegnatogli: ad Eracle era stato difatti predetto che sarebbe morto per mano di un morto (Nesso, appunto). Indossata la tunica, il corpo di Eracle va in brandelli, Deianira si uccide. Arriva sulla scena l’eroe che, benché in fin di vita, vuole vendicarsi della moglie, ma apprese le benevoli intenzioni di questa, pentito e consapevole che il suo destino di morte è decretato dalla Necessità divina, si dà la morte sul rogo, ma prima si fa promettere dal figlio che sposerà l’amata Iole.

La tragedia è tra le più intense che Sofocle abbia prodotto, perché fortissima e radicale è l’empatia che scatta negli spettatori con il personaggio di Deianira, che è la metafora della condizione umana limitata e schiacciata dalla volontà degli dei, che avevano  decretato per Eracle la morte. Nulla può l’uomo contro la malasorte. Deianira pone così fine ad una vita infelice e presenta momenti di riflessione malinconica sul destino delle donne:

“V’è fra gli uomini un detto antico molto/ che di nessuno tu potrai la vita/ conoscer mai, se fu felice o trista,/ prima che muoia. La mia vita, invece,/ pria di scendere all’Ade, io so quant’è/ misera e trista.”

La donna, profondamente consapevole che il destino dell’uomo non è chiaro se non dopo la morte (concetto ripreso da Solone nel testo erodoteo), sa anche che  uno particolare spettò a lei, prima sofferente perché promessa sposa all’odiato Acheloo, e poi innamorata pazza e tradita dal suo uomo, Eracle appunto. Il dramma della sua vita arriva all’ acme quando si rende conto che il suo progetto di vita è andato distrutto e che a nulla sono serviti i suoi sforzi per mutarlo. Nulla potendo contro la sorte avversa si dà la morte.

E ritorna la solitudine dell’eroe, tipica sofoclea, per cui muore da sola, abbandonata dallo stesso figlio amatissimo Illo, che l’accusa ingiustamente della morte del padre. E pur nella trasparente moralità di questa donna, un segreto si nasconde, un rapporto equivoco col centauro Nesso, con cui sembra aver contratto un foedus amoris, fino a vedersi consegnare il suo sangue, metafora questa della complessità indecifrabile della psiche umana, condizione alla quale certo l’eroina non si sottrae.

La morte di Eracle in modo indegno e doloroso, per mano di un morto, come l’oracolo aveva predetto, ribadisce ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, i limiti e la finitezza dell’uomo, che, anche quando è un eroe del calibro di Eracle, non può sottrarsi alla dura legge per cui sono gli dei a dirigere le sorti del mondo; di conseguenza gli spettatori della tragedia sappiano che a nulla vale lo stolto orgoglio degli uomini, essi nulla sono al cospetto degli dei. Questo il messaggio del religiosissimo Sofocle.

 

Written by Giovanna Albi

 

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