Gara letteraria di racconto breve e poesia “Dalla Svastica alla Bibbia”

Si crea un’imponente schiera di scribi sotto Shulgi. Si sviluppano molto le scuole scribali e la letteratura (scuola=edubba, casa delle tavolette, annessa al Tempio). Si crea una casta inattaccabile, inaccessibile ed indispensabile allo Stato. Calendari agricoli, proverbi con tradizione sapienziale, insegnamenti da cui si impara che tra due opposti non necessariamente uno è tutto il buono e uno tutto il male sono caratteristici e novità del periodo.”

 

Regolamento:

1. La Gara Letteraria Gratuita “Dalla Svastica alla Bibbia” è promossa dalla web-magazine “OublietteMagazine”, dall’autore Roberto Lirussi e dalla casa editrice Edizioni DrawUp nella Collana Oubliette. La gara letteraria è riservata ai maggiori di 16 anni. La gara è gratuita.

Il tema è libero.

 

2. Articolata in 2 sezioni:

A. Racconto breve (max. 30 righe)

B. Poesia (max. 50 versi)

 

3. Per la sezione A  si partecipa inserendo il proprio racconto sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, sezione alla quale si partecipa, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con racconti editi ed inediti.

Per la sezione B  si partecipa inserendo la propria poesia sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, sezione alla quale si partecipa, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite.

 

I racconti e le poesie senza nome, cognome, e dichiarazione di  accettazione del regolamento NON saranno pubblicati perché squalificati. Inoltre NON si partecipa via email ma nel modo sopra indicato.

 

Ogni concorrente potrà partecipare alle due sezioni  con un racconto e con una poesia. 

 

4. Premio:

N° 1 copia di “Dalla Svastica alla Bibbia”, saggio storico di Roberto Lirussi, edito nel giugno 2013 dalla casa editrice Edizioni DrawUp nella sottocollana “Oubliette”.

Saranno premiati i primi tre classificati.

 

5. La scadenza per l’invio dei racconti e delle poesie, come commento sotto questo stesso, bando è fissata per il 25 luglio 2013 a mezzanotte.

 

6.  Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da:

Alessia Mocci (Dott. in Lettere, redattrice e critico letterario)

Roberto Lirussi (Scrittore e Collaboratore Oubliette)

Rosario Tomarchio (Scrittore e Collaboratore Oubliette)

Cristina Biolcati (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)

Fiorella Carcereri (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)

Rebecca Mais (Collaboratrice Oubliette)

 

7. Il concorso non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.

 

8. Si esortano i concorrenti per un invio sollecito senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.

 

9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione per email: concorsooubliette@hotmail.it indicando nell’oggetto “info gara poetica” (NON si partecipa via email ma direttamente sotto il bando), oppure attraverso l’account Facebook:

http://www.facebook.com/profile.php?id=100002075267230

 

10. È possibile seguire l’andamento del concorso ricevendo via email tutte le notifiche con le nuove poesie e racconti brevi partecipanti alla Gara Letteraria; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvisami via e-mail”.

 

11. La partecipazione al Concorso implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.

 

94 pensieri su “Gara letteraria di racconto breve e poesia “Dalla Svastica alla Bibbia”

  1. Per Fabrizio: “Uno stupido, patetico bussare”
    La vera storia di Marinella.

    Era seduta sola, sulla valigia, in quella che appariva un’immensa piazza antistante al porto. Era tutta vestita di nero ed era ripiegata su se stessa. Il cielo era ancora plumbeo e una leggera pioggia non alleggeriva l’atmosfera, anzi si era alzato un vento freddo che la faceva turbinare.
    Lei, a tratti, sollevava lo sguardo al di sopra delle braccia incrociate sulle ginocchia e guardava verso la nave che l’aveva portata fin lì e che sarebbe ripartita la sera stessa.
    Un coro di migliaia di donne silenziose osservava dai palchi del cielo.
    A un tratto si alzò con fatica, prese la valigia e si diresse verso la nave.
    Il coro delle prefiche cominciò ad intonare un lamento. Lei non sentiva. Procedeva. Il vento le portò via il cappello che lei salutò con una breve occhiata. Arrivata sulla soglia del molo, di fronte alla nave, poggiò la valigia per terra e sfilò la cintura dal lungo piumino nero che la riparava, poi si sfilò il piumino che il vento portò subito via infangandolo sul cemento bagnato e sporco, si legò la valigia al polso. Il canto delle prefiche diveniva gradualmente più alto e più straziante. L’aria tutt’intorno ne era piena. Qualcuno, lontano, cercava l’origine di quel canto, ma nulla si poteva vedere né comprendere. Lei era già lontana da tutto e, giunta al limitare del molo, si lasciò andare, insieme alla valigia, avvolta nel vestito rosso che doveva essere una sorpresa. Le voci ululavano strazianti.
    Fu pescata tempo dopo. Non fu identificata.
    A causa del vestito rosso pensarono a una prostituta.
    Nessuno bussò mai alla sua porta perché il tempo si capovolse e un uomo ritornò nel ventre di sua madre per poter rinascere. Per non credere che si era messo un cappello bianco e un mantello rosso e aveva lasciato che una donna scivolasse via.

    Accetto il regolamento
    Teresa Anna Rita De Salvatore
    da “AMNIOS” diritti riservati
    sezione A

    1. PROVOCAZIONE
      (una nessuna centomila)

      Tra mille bandoli di seta
      e pietre laviche sepolte
      sabbie morte in un deserto
      cerchio racchiuso in un teorema
      che non trova la matassa
      per ricucire un libro a tema.
      Definizioni a un cruciverba
      in bianco e nero incasellate
      di acque chete tra canneti
      e di ninfee che si risvegliano
      al bacio lieve del ranocchio.

      Non c’è più favola nei sogni
      non è risveglio ma travaglio
      questo tranello che martella
      e inchioda schizzi alla cornice.
      Solo cimeli su un comò
      trofei esibiti e imbalsamati
      mostrano denti all’obiettivo
      e poi sorridono compunti
      in doppio petto con gilet.

      Sarà che il giorno si confonde
      alle ore scure della notte
      quando sul filo del mar Rosso
      si abbassa il sole all’orizzonte,
      e in una scatola di latta
      ci son bottoni da attaccare
      e fili a tinta da intrecciare
      in una cruna troppo stretta.

      Sarà che ormai io non ci credo
      e ogni mattina alla bilancia
      salgo con un piede solo
      e guardo il tempo lievitare,
      sarà che voglio provocare
      una valanga in mezzo al mare
      e tra le onde far fiorire
      gerani e cento ciclamini.

      Mimetizzarmi come geco
      o clown di giorno nel tendone
      rubo una lacrima al Pierrot
      e poi non dirti come sono
      quando mi guardo e mi ritrovo
      tra i quattro angoli racchiusi,
      in un poligono al bersaglio
      cento frecce e un solo centro.

      Maria Teresa Infante 22/05/2013
      @ tutti i diritti riervati
      Accetto il regolamento
      Sez B

      1. CONCHIGLIE

        Raccolta nel grembo

        di una grande conchiglia

        profumata ombra d’argento

        di lungi corridoi di sospiri e canti

        tra granelli bagnati

        ti cerco Donna

        ancestrale figlia del fuoco che incendiò l’acqua

        gioiello che prolunga la vita

        ad ornamento del carro

        lanciato a ferire

        divoranti demoni antichi.

        Pescatore di conchiglie

        ancor proteggi

        il segreto fertile di fecondità

        nel timido bacio

        della luna piena nascente.

        CristinaLuna

        Cristina Messi
        Accetto il regolamento
        Sez.B

    2. L’ inizio

      Amo l’inizio di ogni cosa,
      lo sguardo prima della carezza,
      le parole prima di un abbraccio.
      Il sussulto prima di un bacio,
      la tenerezza prima della passione.

      Amo il gesto omesso che poi esplode,
      l’entusiasmo prima dell’abitudine,
      l’idea prima del progetto,
      il sogno prima della realtà.

      Amo la notte prima dell’alba,
      la fatica prima del riposo,
      il sole prima del vento
      e la goccia prima del diluvio.

      Amo la prima parola di una lettera,
      il primo TI AMO,
      le prime note di una melodia.
      Amo i primi giorni d’estate
      E gli ultimi d’inverno.

      Amo la prima ora della giornata,
      il primo caffè,
      la prima doccia,
      il primo pensiero,
      amo la vita prima della morte.

      Amo il prima e non il dopo,
      amo l’incertezza che precede la sicurezza,
      amo la tensione prima della distensione.
      Amo tutto quello che è partenza,
      perché la speranza non ha mai un traguardo.

      Michela Salzillo
      08/05/2012
      Sez.B
      tutti i diritti riservati.
      Dichiaro di accettare il regolamento,autorizzo ,pertanto , il trattamento dei miei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003)

  2. ***M’incamminai leggendo…***
    Leggendo ho imparato a vivere le emozioni altrui che son diventate mie.
    Ho camminato lungo le alture andine e, nel deserto di Atacama, mi sono
    imbattuto nei sudamericani.
    Ho attraversato la route 66 a bordo di una Harley Davidson quando
    annusai le carte scritte da Kerouac, per finire nei sobborghi maleodoranti
    vissuti da Bukowshi.
    Mi fermai un attimo per tornare indietro ritrovandomi, d’un tratto, nei
    fumosi caffé parigini, trasudanti di accoliti pensatori esistenzialisti.
    E li’ parlai con Sartre e il suo castoro (n.d.a. Simone de Beauvoir)
    dissertando sul fine intrinseco dell’uomo, sulla natura grigia delle cose,
    su nausee collettive e pentimenti.
    Politica, tabù, cultura e privazioni, sesso libero e fumi artificiali.
    Lasciai quel mondo per divenire decadente e simbolista oltre La Manica.
    Incontrai Wilde, di notte, a spasso col suo ritratto fuorviante, leggiadro
    e tipico individuo, irriverente come si addice a colui che si staglia nella folla.
    Tornai alle mie origini, in un attimo.
    Nell’incantevole mia terra, Trinacria di cultura e di speranza, nel Kaos
    di sapore agrigentino, vidi Pirandello spuntare da una giara.
    Lo colsi alla ricerca di maschere volanti, personaggi inquieti
    e senza dogma che anelano autori promettenti
    la fama universale dell’eterno.

    (Da “Considerazione effimera sulla lettura” di Sebastiano Impal@-2013-Tutti i diritti riservati)
    sezione A

  3. L’amore è un temporale

    Fu cosi per caso, un giorno mi cercasti e io stupidamente non ti riconobbi, ero cosi incasinata per i fatti miei che ci mettemmo a parlare di religione e di vita di libri di poesie e come un temporale, dopo, arriva quel profumo che riempie l’aria di buono e cosi fu giorno per giorno incominciò la nostra storia fatta di lettura di poesia confidenze di scontri accesi e di giorni in cui sparivo perché troppo adirata nel sentire uno spocchioso come te, ma più avevamo scontri e più capivamo che c’era energia nell’aria proprio come un temporale estivo.
    Fu cosi che mi dissi tramite una frase della Fallaci che mi amavi un piccolo enigma che dovevo risolvere, mi sentì scoppiare il cuore come potevi dire o scrivere qualcosa di cosi forte e importante, se non mi avevi conosciuta che solo 30 anni prima.
    La curiosità venne a me sapere se sognavo o realmente provavo quel sentimento consumato scrivendoci e ore al telefono, e mentre le nostre vite colavano a picco ci amammo come due adolescenti attimi rubati che sembravano giorni, mai sazi di noi.
    Ma tutto ha un rovescio della medaglia
    non potevamo stare assieme, davvero anime nel vento destinate a non amarsi più.
    Tu come eri entrato nella mia vita con uno scritto cosi uscivi dalla mia vita con parole crudeli Parole scritte indelebili come lame affilate
    tagliano la carne e lo spirito
    le rileggo e muoio un’altra volta.
    Ma nulla faceva presagire per come ci fummo amati intensamente tre giorni prima.
    E cosi come donna rispettando la tua decisione, piansi e il giorno ci fu un temporale usci fuori all’aperto con il viso voltato al cielo facendomi mille domande senza mai ottenere una risposta e la pioggia si mischiò alle lacrime.
    Fu un bel temporale il nostro, un temporale estivo che lascia sempre quel sapore di buono.
    Ma non questa volta caro poeta.

    Accetto il regolamento
    urania scarpa tutti i diritti riservati
    sezione A

  4. lo monaco Rita / 28/06/2013

    L’orecchino
    ero decisa dovevo farlo,da molto ormai mancavo da casa, presi lauto e partii non volli pensarci su .altrimenti non sarei mai più tornata, da sei anni esule dal mio paese e dalla mia famiglia ,per un amore che ho dato ma che fu sbagliato,come la nascita di un bimbo nascosto per vergogna ,,una vecchia zia mi aiutò nel momento del parto ,,con gioia mi disse; meno male è nato morto, adesso puoi tornare a casa,
    casa quale! casa quella che ti chiude i battenti in faccia e ti lascia andare disperata?
    Andai via odiando me stessa e poi mia madre per la mia e la sua debolezza
    fuori dalla mia terra son vissuta per lunghi anni ,sei esattamente una vecchia amica mi fa sapere che mamma sta male, che fare! riprendo la vecchia valigia la spolvero ben,bene come a voler togliere il marchio ,l’odore di quel momento che mi porto via dalla mia casa; rivivo con la mente tutto questo mentre la macchina divora i chilometri che mi riportano a casa, la chiesa è la prima che vedo in lontananza poi la lunga strada alberata e in fondo l’angolo che porta a casa mia ,mi fermo un attimo dalla tasca metto fuori un orecchino era di mia madre ,li mise alle mie orecchie, quando lasciai la casa ,,me l’o ritrovo in mano uno solo l’altro si è perduto non so dove ,brucia in mano come una ferita mai chiusa ,lo metto al lobo e scendo a prendere il caffè nel bar
    accanto alla mia via ,una bimba si avvicina incuriosita dimmi signora qual’e il tuo nome’?al suo sguardo il cuore ebbe un tuffo,mi chiamo Gianna e tu piccolina??,mi guardo e sorrise mi chiamo Anna la mia nonna mi chiama Giorgina ,due lacrima scendevano da sole a rigarmi il viso ,Anna il nome di mia nonna, Giorgina la mia bambolina,no!!non può essere non deve essere !!quella bimba non può essere mia ,lei mi prende per mano e mi porta in una panchina ,,dice non piangere signora non più la mia nonna me lo diceva sempre aspetta tutti i giorni in quel bar ,e vedrai un giorno la tua mamma arriverà !e finalmente ti vedo mammina mia ,,la stringo forte al cuore con tanto amore,o! come vorrei che fosse vero ,,dimmi piccola le dissi piangendo come fai a dir che sono la tua mamma?non disse nulla ma nella sua manina come per magia c’era l’altro orecchino, ci avviammo in due verso casa ,nell’uscio la mia vecchia che mi aspetta ,stanca e felice mi stinge tra le braccia ,tutto quel rancore e andato via adesso in tre andremo per un’altra vita.

    accetto il regolamento
    sezione A

    1. E’ vita reale ti immedesimi nel personaggio e lo vivi con estrema apprensione
      molto bello complimenti…

      1. bellissima rita…. leggendo ci si immedesima per 5 minuti in qst soria che te la fa vivere come in prima persona…. complimenti… <3 kissss

  5. LACRIME DI PIOGGIA

    Una vecchia camminava per Via Nuova. Con passo lento e uno sguardo triste perso verso il basso, si trascinava dietro una grossa borsa marrone. Un po’ gobba e appesantita, era coperta da una pesante giacca scura allacciata in vita. Il cielo nero faceva presagire pioggia ma la vecchia non aveva ombrello. I suoi capelli arruffati, grigi e bianchi, le ricadevano lunghi ai lati, sulle orecchie, e il suo viso era scavato dal lungo passato che le aveva riservato tanti dolori. Questa vecchia una volta era stata una bellissima ragazza. Contesa dai più belli e agiati ragazzi della Città, aveva rubato il cuore a molti ma il suo l’aveva dato a un solo uomo, che l’aveva resa felice fino a quando non era passato a miglior vita. Quando attraversò Piazza La Marmora, lanciò un timido e pensieroso sguardo alla fontana e alla palazzina liberty. Un giorno di tanto tempo fa era lì che aveva conosciuto Alfredo. Quel giorno, cinquant’anni prima, lui era seduto proprio sui gradini di quella fontana. Lei percorreva spesso quelle strade perché al tempo abitava giusto nelle vicinanze. Mentre passava davanti alla vetrina della gioielleria, come per volere del Destino le era caduto il fazzoletto dalla tasca e lui, Alfredo, prontamente si era lanciato per raccoglierlo e restituirglielo. Da quel momento erano divenuti inseparabili. Finché morte non vi separi gli aveva detto il prete quando li aveva sposati. Appunto. E la morte, puntualmente, ci aveva pensato lei a separarli presto. Troppo presto. Tutta la vita vissuta pensando a questo grande amore perduto e durato troppo poco. Il suo unico grande amore. Lei aveva vissuto solo e soltanto per assicurarsi di perpetuare il ricordo del suo Alfredo, affinché gli altri sapessero di lui e non venisse mai scordato.
    Cominciò a piovere e le lacrime di Anna si confusero con le gocce di pioggia sul suo viso.

    Autore. Enrico M. Scano

    Dichiaro di accettare il Regolamento.
    sezione A

  6. IL PAESE

    Era stato davvero un gran bel film, insieme a tutta quella gente, in una piazza così grande. Esperienze così non le aveva mai vissute: al suo paese c’era un’unica sala in un unico sgangherato cinema, figurarsi eventi culturali di tale portata! L’unico “evento”, se così si poteva chiamare, che quel luogo aveva ospitato era stato un comizio di un democristiano che dal paese era riuscito a farsi notare e candidare al parlamento parecchi anni addietro. Ma lui non aveva assistito, non era ancora nato. Adesso, invece, era lì, in quella grande città, smisurata in confronto al Mondo Ordinario a cui era stato abituato da bambino. Era lì, da solo, contro l’Ombra, con le sue inscrollabili insicurezze a cercare di fare qualcosa, di togliersi di dosso quell’odore di mediocrità che si era portato dietro per così tanto tempo. Gli salì un conato di vergogna: quelli erano pensieri arroganti, lo riconosceva. Ma, cosa ci poteva fare? Nessuno gli aveva mai dato la possibilità di evadere da ciò che temeva: il non-fare. Sedere al bar, parlare di sport, guardare le ragazze, ingurgitare birre, una dietro l’altra, una, dietro l’altra. Non faceva per lui. Lui doveva fare, instancabile, mai cedere alla noia, spremersi fino alla goccia più acida del suo sudore. Aveva cambiato città per questo e per farlo si era appellato a tutta la sua volontà. I genitori e gli amici compresero. Ma non tutti: molti volevano che rimanesse. Gli dissero che non ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato un fallimento e sarebbe tornato umiliato dopo pochi mesi. Era già passato un anno, non aveva cambiato idea. Stava andando tutto nel migliore dei modi. Poteva contare su decine di nuove persone, tutte dannatamente interessanti, che gli stavano aprendo le porte della Conoscenza, quella vera. Quella fatta di sogni, ambizioni e speranze. Quel genere di Conoscenza che ti riempie la testa e te la fa librare in aria. Non era mai stato capace di sentirsi così. Si chiese perchè molti, pur avendo la possibilità, non avessero seguito il suo esempio. Perchè non avessero scelto di fuggire, lasciare tutto e scommettere su loro stessi. Evidentemente avevano paura delle sfide che li attendevano. No, lui aveva fatto la scelta giusta, finalmente poteva respirare, libero…
    Assorto nei suoi pensieri, non si rese conto che era arrivato a casa. Rincasò velocemente, doveva fare una cosa. Prese carta e penna, si sedette e cominciò a scrivere: “Era stato davvero un gran bel film, insieme a tutta quella gente, in una piazza così grande..”

    Autore: Andrea Tarquini

    Dichiaro di accettare il regolamento
    sezione A

  7. ” Entrando nel tuo giardino il profumo era indescrivibile,, i fiori sbocciati non ingannavano il tuo dolce essere,, lo splendore si rifletteva sulle nostre vite vogliose,, la tua voce come sirena di mare mi attrasse e il richiamo era tanto forte da confondermi ,, fugasti ogni dubbio e incantato da tanta ragion per vivere aspettai che mi aprissi il cuore,, tuo per sempre ”

    accetto il regolamento – sezione A

  8. All’inizio ci fu il rosso, sarebbero sopraggiunti altri colori successivamente ma penso che tutto ebbe inizio proprio col rosso.
    Ricordo che ce n’era dappertutto, ricopriva per gran parte tutto lo zerbino della doccia e il pavimento di mattonelle bianche. Le ditate di rosso erano sulla tendina, sul vetro dello specchio, sul lavello di ceramica bianca…
    Il rosso ha un odore, lo scoprii quel giorno che guardavo tutta la scena nascosto tra la porta del bagno e il muro, mentre mia madre e mia nonna erano intente a pulire tutto, il capo chino, sfregando con le spugne sulle macchie difficili da cancellare.
    Ma il rosso ha un odore , quell’odore simile alla ruggine sulle ringhiere dei balconi in terrazza, simile alla medicina che si prende quando si è anemici, ma la cosa più fastidiosa, è che il rosso non va più via, anche se ci sfreghi mille volte con una spugna, lui rimane, lascia quell’alone di ricordo, quella macchia permanente.
    Quando mia zia Luisa decise di morire nel suo rosso, io avevo solo sette anni.

    Autore. Vincenzo Restivo

    accetto il regolamento – sezione A

  9. claudia Piccinno
    sez A
    accetto il regolamento
    Una cuffia meravigliosa

    Sento che ho una storia da raccontare, una storia vera purtroppo e per fortuna!
    Un reportage tra i banchi di una scuola primaria della verde e ospitale bassa pianura emiliana.
    Sono una maestrina e scelgo di restarlo, nonostante una laurea in lingue straniere nel cassetto che solletica a volte vecchie ambizioni.
    Oggi è difficile fare l’insegnante, raccolgo la sfida giorno dopo giorno da vent’anni a questa parte.
    Userò nomi di fantasia per tutelare dei minori.
    SCONCERTO!
    Ecco cosa provai quel giorno.
    Erano i primi di dicembre, era freddo quel pomeriggio…
    Di lì a poco sarebbe suonata la campanella dell’uscita.
    Avevo la prima classe e chiamavo i bambini in coppia per aiutarli a vestirsi e a mettersi in fila.
    Sono una maestra chioccia, lo ammetto!
    Quando fu il turno di Laura e Layla, mentre finivo di allacciare il giubbino di Filippo, sento la prima rivolgersi all’altra con tono sprezzante:” Questa cuffia è così bella che non può essere tua!”
    Alzo lo sguardo, Layla ha già i lacrimoni.
    E’ nata a Bologna da genitori del Marocco, ma è italiana tanto quanto l’alto-atesina Laura, né più né meno.
    In classe ho un italo cinese, una cinesina, un’italo rumena…io stessa mi reputo straniera, sono una salentina trapiantata al nord..
    Ho conosciuto sulla mia pelle il pregiudizio dei montanari lombardi e ho letto per sei anni tutte le mattine gli slogan dell’allora lega nord sui cartelli stradali della Valsassina contro i terrun.
    Ho sofferto e non tollero che soffrano i bambini.
    Prendo Layla per mano e le allaccio la cuffia, ma la mia pena è per Laura, per l’aria che respira in casa sua.
    Le chiedo :” Perché la tua compagna non dovrebbe avere questa cuffia meravigliosa?”
    E Laura risponde candidamente :” Perché gli stranieri sono poveri o ladri!”
    Suona la campanella, ma non posso ignorare l’accaduto.
    Sgrido Laura e la invito a scusarsi con la compagna.
    Una volta fuori riferisco l’accaduto alla mamma di Laura e la prego di approfondire la conversazione con la figlia per sviscerare i pregiudizi che impediscono alla sua bambina di avere relazioni serene con le compagne di classe.
    Risultato?
    La sera stessa mi telefona il marito, vuole un colloquio con urgenza.
    Li ricevo in coppia il giorno dopo.
    L’arroganza non m’intimorisce.
    Smonto con candore le loro implicite teorie sulla superiorità della razza ariana.
    Demolisco ogni preconcetto sul gemellaggio tra censo ed estetica.
    Vanno via con la coda tra le gambe.
    Si avvicina il giorno della recita di Natale.
    Partecipano tutti, cattolici e non.
    I bambini danno il massimo.
    A fine spettacolo gli alunni fanno gli auguri nei vari dialetti regionali e nelle lingue dei genitori.
    Layla e Laura si tengono per mano, la prima saluta in arabo, l’altra in tedesco.
    Qualcuno forse non ha ancora incassato il colpo, io sono felice!

  10. “La poesia è il romanzo di chi ha paura di non avere abbastanza tempo per dire tutto.”

    “Chi sei?”
    – Mi risulta difficile rispondere, da quando ti ho veduta non sono più in grado di distinguermi. Potrei dirti chi sono stato nelle mie vite precedenti : pilota di un aereo mai decollato, venditore ambulante di occhiali da sole in un mondo di ciechi, lavavetri a un semaforo sempreverde, funambolo in un circo privo di gravità, venditore di ombrelli ad Arica, custode sull’isola di Tristan de Cuhna, vivaista nel deserto del Lut, venditore di gelati a Vostok e ancora sono stato una periferia, la fine di una cerimonia, stella cadente mai atterrata, un’equazione irrisolta, schiuma di onde in bonaccia, stazione di un treno priva di binari. Oh mio Dio, se mi guardi così forse ci riesco a dirti cosa sento di essere ora che ti ho veduta.
    Io sono una parte di te, tornata ad abitarti.
    E tu, tu chi sei?-
    “L’unica cosa che so e’ come imbiondiscono i castagni : l’acne ramata compare sui fili di fine settembre e dice uomo l’autunno. Gli uvaggi adolescenti ed eccitati di darsi in fiale di sangue tintinnanti sulle tavole piene. Non ho esperienza di grande resistenza o di vie cementate da passaggi veloci. Sono ciò che pur cosparso di mare già asciuga ed ho meno memoria dell’onda che del vento.
    Ti ho cercato senza trovarti e ora ti trovo, in questo luogo, senza averti cercato. Queste piccole abrasioni di emozione che compaiono sulla mia pelle invernale sono testimoni inconfutabili del mio scalciare dentro. Il rifugio di tutte le mie parole è stato violato e ora non so, non lo so se avrò il coraggio di tornare qui, dove tu alberghi da qualche manciata di sempre.

    autori: Emilia Filocamo & Luca Gamberini – tratto da ” Due mani” (work in progress)

    sezione A accettiamo regolamento

  11. Roberta De Tomi
    Sez. A
    Accetto il regolamento

    “L’ultima notte delle illusioni”

    Alzo gli occhi al cielo. Una lacrima dorata lo solca e allora piango, facendomi accarezzare dal vento, unica certezza in quel giardino di solitudine. Respiro il battito del mio cuore, ricaccio indietro ogni paura.
    Qualcosa si struscia contro le mie gambe. Fusa: Gully, il certosino, richiama la mia attenzione. Ha fame. Gli do quello che vuole: crocchette di pollo e acqua. Ho sempre dato agli altri quello che loro volevano. Non ho mai ascoltato me stessa. E ho fallito.
    Sono una fallita. Alcuni mi dicono che non è vero, perché il mondo gira così e la disoccupazione giovanile è giunta a livelli storici. Ma il cuore mi dice…
    Torno in giardino. Il vento tace, le stelle illuminano i cocci delle illusioni infrante.
    E’ passata una settimana dalla prova fallita. Rivedo Angelo che mi sorride. “Ho visto il tuo impegno, – mi dice- ma non sei portata per fare la segretaria.Tu devi essere libera”.
    Già. Devo essere libera di esplorare la realtà per incastonarla in parole che profumano di verità. L’ho capito solo ora, anzi no, l’avevo capito da tempo, ma avevo paura ad ammetterlo, perché credevo che fosse meglio un lavoro sicuro. Le illusioni sono sofà morbidi su cui adagiarsi. L’unico modo per svegliarsi, è cadere. E decidere.
    Non ho nemmeno più bisogno di Lui, che va e viene, come un’onda di mare. Poche pare mentali, la verità è che… non gli piaccio abbastanza. Lo dice anche il tipo di quel film. L’amore arriva, ti riempie, ma non di bugie. Deve lasciarti vivere, deve essere vita, sole, verità.
    Ancora, le fusa di Gully. Lo prendo in braccio e lo porto nella stanza, dove lo adagio nel suo angolino. Io mi abbandono sul letto, la valigia, fatta, davanti a me.
    Mi sveglia l’alba, un sorriso di luce che mi contagia. Gully salta sulla mia pancia. Sa tutto. I gatti lo sentono. E lo sanno. E’ giunto il momento.
    “E’ arrivato il momento di accarezzare le mie passioni. Senza troppe illusioni”.

  12. AnnaRita Furcas
    sezione B
    dichiaro di accettare il regolamento.

    SEI LUCE:

    Ho riempito
    i miei occhi di sabbia
    il mio cuore di pietre
    la mia anima di sale
    per seppellire il tuo ricordo…
    ma vivi
    negli angoli più estremi
    del mio Essere.
    La tua assenza
    è presente,
    il tuo nome
    esplode silenzioso
    come urlo muto
    che scuote l’oblio
    verso il quale vorrei scivolare…
    ma non posso
    perchè in quel buio
    sei luce.

    1. Lirica sublime che percorre le sensazioni interiori dettate da un amore perduto.
      Bravissima e complimenti per quello che mi hai trasmesso
      Costanza Lai

      1. cara Costanza, grazie di cuore per il tuo importante intervento. Mi basta già questo per dire che ho vinto.

  13. Si andava per mari, ogni località era irripetibile, e nonostante le onde, le nuvole o il sereno, il vento faceva la sua comparsa, seguendo ritmi tutti suoi.
    Se erano presenti le ricce palle marine, a manifestare disagio erano proprio le più esagitate, quelle che sapendo di esistere, avevano deciso d’essere.
    Non era un disagio nei loro riguardi, figuriamoci, era piuttosto un atteggiamento irriguardoso nei confronti del mare, che potendo puntare alla perfezione, si lasciava invece andare al suo contrario, e in fondo, si manifestava proprio così.
    Se c’era la sabbia, doveva essere di quelle che non si appiccicavano troppo, di quelle che quando ti sdrai sotto il Sole cocente, quando ti muovi in preda ai contorsionismi mentali, si sentono i granelli sfrigolare tra loro e ti ricordano che comunque vada, sarà un successo.
    Nelle spiagge, quando si entra nel grande liquido amniotico blu, nostro eterno battesimo, all’inizio si può temere il freddo, ma sempre quando si esce, ci si ringrazia di aver avuto il coraggio di seguire il rito fino in fondo, benedetti dall’incontro con l’universo.
    Nella sabbia ci sono le arselle e per trovarle è di fondamentale importanza cercarle. Bisognerebbe cucinarle, perché di norma quando ci sono gli umani, la natura si può trasformare prendendo una via anche cancerogena.
    Quando invece ci sono gli scogli, solo se si ha la fortuna di trovarli incontaminati, si possono trovare le cozze, attaccate alla loro maniera tra loro e alla pietra, loro sorgente di vita, come gli scultori che senza, non avrebbero senso.
    I colori cambiano, le temperature anche, i giochi pure. Non c’è bisogno dei trampolini, basta una balena che dopo il tuffo ci ingoi e ci salvi dagli squali, che circostanti non attendevano altro.
    Il sorriso sbagliato al momento giusto.
    I tuoni esistono quando ci son le nuvole, soprattutto.
    Andare al mare con i lampi è l’esperienza che a volte manca, e quando la chitarra che avevamo appresso per allietare i sospiri, bagnandosi, ci rimprovererà, tutto riacquisterà il suo significato.
    Solo il vento non si comprende neanche allo specchio.

    sezione A
    dichiaro di accettare il regolamento.

  14. Liberaci dal male

    Milano, addì 7 settembre 1576
    «Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa» dichiarò Piero Offredi, battendosi il petto, in ginocchio sulla paglia sparsa sul pavimento della cella, che odorava di urina e paura.
    Giacinto Olmi, il suo inquisitore, ritto di fronte a lui come un cerbero a guardia degli inferi, tracciò nell’aria il divino simbolo della croce: «Dio onnipotente abbia pietà di te, perdoni i tuoi peccati e ti conduca alla vita eterna.»
    «Amen» rispose Piero chinando la testa, e si segnò. Per avere salva la pelle avrebbe confessato qualunque cosa. Era convinto che chiunque avrebbe fatto altrettanto dopo essere passato per le mani dei suoi aguzzini. I primi tratti di corda avevano fatto affiorare alle labbra i nomi dei suoi complici. E quelli che non ricordava gli erano stati suggeriti dal frate. Un segretario civile li aveva poi annotati su pergamena; la stessa che l’inquisitore stava rileggendo compiaciuto.
    «Che dobbiamo fare con lui?» chiesero i carcerieri.
    «Portatelo via» sentenziò l’inquisitore accompagnando la frase con un gesto sprezzante. «A me non serve più.»
    Il cuore di Piero perse un battito, e di colpo gli parve di sprofondare. Strisciando come un cane cercò di afferrare la mano del frate per implorarlo. «Perdonate, Eccellentissimo, ma i nostri accordi… non erano questi…»
    «Di quali accordi vai cianciando?»
    «I nomi che ho fatto, in cambio della mia salvezza.»
    Giacinto Olmi lo fissò con un sorriso impossibile da sostenere: «E così è stato. Hai avuto modo di salvare la tua anima. Ma il tuo corpo eretico dovrà essere bruciato.»
    «No, vi prego! Eccellenza! Vi prego!»
    L’inquisitore si coprì il capo con il cappuccio mentre le guardie, sorde alle sue urla disperate, lo trascinavano via.

    Accetto il regolamento – sezione A

  15. Luca Villani

    Sezione B

    Dichiaro di accettare il regolamento.

    ISTINTO DI VITA

    Tra le stanze del dubbio
    va correndo l’istinto,
    vede un sogno dipinto
    sopra il muro del pianto.

    E brancola nel buio,
    non è molto convinto.
    Vaga in un labirinto,
    guarda oltre il recinto.

    Tocca a lui, tocca ferro.
    Mentre affila il coltello,
    incrociando le dita
    si prepara al duello.

  16. Un’esperienza ingannevole

    Avevo chiuso gli occhi per non vedere lo sciame umano che saliva la scala del piacere quel piacere infingardamente illusorio che s’accende nei nostri nervi per evadere da presenze dolorose. Li riapersi e come un pollo che ha fame e si getta nell’unico chicco di grano per inghiottirlo, d’un balzo salii la scala ed entrai.
    La “vergine” fanciulla che mi si avvicinò aveva una vestaglietta leggera come un velo, aperta sul davanti e chiusa con una cinta alla vita dalla quale debordava il bel seno giovane e una gamba mollemente arrendevole fino alla coscia d’un bel colore chiaro. Io non avvezzo a quelle cerimonie preliminari, quando si sedette sulle mie ginocchia avrei voluto fuggire ma lei ammaestrata dall’esperienza sempre “ verginale” del suo mestiere non estemporaneo, mi prese la mano e mi accompagnò nel suo rifugio segreto. Or cosa posso dire della mia confusione iniziale se non che la mia bella compagna fu così lesta coi suoi modi gentili a togliermi il vestito della timidezza per mettermi a mio agio nell’anfratto che già sentivo mio come un rifugio da un possibile naufragio? Regnai nell’orlo del piacere per alcuni secondi, poi svuotato alla radice, fui quasi deluso di quel che rimaneva: un ricordo fuggevole, intenso, ma finito come il gusto di un cono di gelato desiderato.
    La giovane donna come un lavoratore che finite le sue ore se ne torna a casa, mi condusse alle scale e mi salutò.
    Ritornando a casa, seduto sul sedile del Torpedone, ripensai a quell’attimo di “amore” che tutti chiamano amore con la maiuscola sulla a, per me l’amore stava rintanato nella mia anima, l’avevo già conosciuto anche se vissuto soltanto nella mia mente attraverso i sentimenti. L’amore era ed è, il piacere di tenere la mano di chi si ama nella tua, di guardarla negli occhi e sentire che lei e te vi appartenete, due metà che si attraggono come due parti di una noce che forma un tutt’uno, con quella necessità esosa di cercare le sue labbra per trasmettergli il cuore. L’amore è il non poter fare a meno di lei, è il cibo primario per la nutrizione dei sentimenti, non c’è nessun’altra cosa più importante
    Al di fuori di lei. Chi ama davvero sa che il sesso è importante, ma prima di arrivare a quel piacere sommo, ci sono molte altre emozioni che ti può offrire il partner per ricambiare ed essere davvero felici.

    Accetto il regolamento e quel che ne segue, cordialità (sez. A)

  17. Silvia Calzolari

    Sezione B

    Dichiaro di accettare il regolamento.

    NUNCA MAS

    Fumo nero
    travestito di bianco
    trascinato da vento
    di fiume d’argento
    bene-dice
    bene-detto
    potente
    in gioia di gente
    come delirio servente.
    Lago di teste sorridenti
    in profondità di fede
    di purezza cieca ri-nascente
    d’immensa piazza di pietra
    appesa a magica-finestra
    in città di smeraldo
    come fosse paradiso.
    Fumo nero
    connivente
    inquina torrenti languenti
    amputando vite perdenti
    in distanzatlantica
    come niente
    come ovunque
    intoccabile come sempre.
    Lago di sangue
    in fosse putrefatte
    di stivali in marcia
    fra braccia di vestibuie tradenti
    di perenne dominio
    nell’odio spacciato per amore
    nella codardia di sostegno dolore.
    Prega folla
    senza ricordo
    disperato disperso
    depredato polverizzato
    lacerando anime sparite
    di morti ancora vive.
    NUNCA MAS
    non perdonerà.

    Silvia Calzolari

  18. Capolinea (di Raffaele Marra)

    La fermata del bus è quasi deserta, colpa del caldo, colpa della crisi mondiale, colpa della nuova orbita terrestre che cancella il futuro.
    «Se trovo quel bastardo di Stock lo squaglio prima che lo faccia il Sole.»
    Adam Stock, camuffato, torna con lo sguardo al ragazzo che si agita nervoso accanto a sé. Uno studente universitario, ipotizza. Studi che non andranno a termine. Decide di non commentare; non è altro che un passeggero che aspetta il prossimo.
    Un bus cigolante, lamiera arroventata nell’arancio del giorno, accosta: il ragazzo sale a capo chino e si lascia trasportare verso un luogo qualunque, nell’immenso capolinea che è ormai il Pianeta.
    Adam aspetta il prossimo. Nel silenzio, nell’abbandono.
    Molti hanno accettato il suo “fallimento”. Altri, invece, vorrebbero ucciderlo.
    Un meteorite colpisce la Terra, ne devia il moto di rivoluzione. Uno scienziato propone l’unica soluzione. Tutte le centrali del Pianeta convogliano la loro energia nel Progetto: una immensa reazione di propulsione in un punto stabilito del Globo per controbilanciare la deviazione subita. Calcoli errati: la Terra cadrà nel Sole tra 269 giorni.
    Stock ha fallito, dicono. Lo scienziato è costretto a nascondersi.
    Adesso guarda il cielo color rame senza uccelli.
    Doveva essere il Salvatore del Mondo.
    La Luce gli ha insegnato come fare, e lui ha fatto buoni calcoli.
    Le reazioni nucleari del Sole, grazie alla massa della Terra, saranno riequlibrate: Ganimede, satellite di Giove, tornerà a ricevere la giusta quantità di energia vitale. Le microcellule che lo popolano potranno evolversi e, con esse, il Mondo avrà nuovamente un futuro.
    Adam Stock lascia che un altro bus scorra lasciandolo solo, pensoso.
    Talvolta è necessario fare dei sacrifici, talvolta i sacrifici sono dolorosi, talvolta terribili.
    Ma il Mondo, grazie a questo sacrificio, ha un nuovo futuro.
    E Stock, il Salvatore del Mondo, attende sereno il prossimo.

    Raffaele Marra – sezione A
    Dichiaro di accettare il regolamento.

  19. Sole

    Sole che ti nascondi in mezzo all’onde,

    portati via con te le mie incertezze;

    portati via con te le mie amarezze.

    Fa’ che questo tramonto non mi annulli,

    Fa’ che mi dia il sorriso che mi manca,

    e mi porti via da questa vita stanca.
    .

    Elettra Vidili
    sezione B.
    Accetto di osservare il Regolamento.

  20. ELENA: UN SOGNO E UNA VITA
    SEZIONE A

    Elena,ragazza di 25 anni e studentessa presso la facoltà di medicina,ha sempre desiderato fin dall infanzia di partecipare a sanremo e ad amici. Allora un giorno decide di fare il provino per amici come cantante insieme ad altri 300 ragazzi e la presero.. Per lei fu un momento di notevole commozione e gioia…fu presa per la sua grinta e volontà. La sua carriera ad amici fu brillante nonostante la sua timidezza.. Stupí tutti i professori,da quelli del canto a quelli del ballo,visto che,anche in questa disciplina era molto portata. Arriva il finale e si trova a battersi con un altro suo compagno,escono le carte ed ecco la notizia: elena vincitrice dell’ottava puntata di amici.
    La folla era entusiasta,i professori molto soddisfatti. Dopo un pò di mesi inizia il festival di sanremo e lei si presenta con una canzone parlante della sua vita,dei suoi amori e delusioni…ecco arrivare il primo serale… Era molto agitata che si dimenticò anche le parole e dovette riniziare a cantare. L’ultima sera si volle presentare come ospite per non ricadere nel problema avuto il giorno prima. Lei cosi non vinse nulla,neanche la categoria giovani e si rese conto che sanremo e amici erano due posti differenti. La sua riservatezza,agitazione l hanno bloccata sul momento più bello della sua vita,ma usci da sanremo a testa alta pensando comunque che uno dei suoi sogni l’aveva realizzato e ha capito che nella vita non tutto si può avere..

    Accetto il regolamento.
    JESSICA BALDASSARRE 11/ 07/ 2013

  21. ARI di Graziano Gismondi

    Ari ci teneva molto a quel viaggio.
    Aveva sperato da tempo di poterlo vincere alla lotteria.
    Era leale, svolgeva con scrupolo i suoi compiti, sempre disponibile verso il prossimo perché era sicura che, prima o poi, il destino l’avrebbe ripagata dei suoi sacrifici facendole vincere il premio.
    La legge non affermava forse di accettare il volere dell’autorità, di non contrarre debiti con alcuno, di seguire la retta via senza mai farsi tentare da facili scorciatoie ?
    La sua esistenza era consacrata a questi principi: aveva sempre avuto una condotta esemplare ed era compiaciuta da tutto ciò.
    Finalmente arrivò il tempo dell’estrazione dei premi e si ritrovò in piazza tra la folla raccolta nella speranza della vittoria.
    Iniziarono con i soliti preamboli, celebrando la fortuna di essere tra coloro che potevano vincere quella meravigliosa opportunità e poi, dopo un crescendo di emozioni, arrivò il momento tanto atteso.
    Quando sentì pronunciare il suo nome quasi non credette alla sorte: sicuramente se l’era meritata, ma adesso avrebbe dovuto proseguire da sola verso un cammino affascinante ma sconosciuto.
    La portarono via dalla ressa ed un assistente disse che le sarebbe stato vicino fino alla fine del viaggio, fino al suo rientro.
    La conduceva con tocco sicuro, dandole coraggio, e lei non riusciva a lasciare quella presa così tranquillizzante: un punto fermo nell’infinito.
    Infine rassicurata, lasciò da parte i timori e si avviò verso il suo destino.
    Ari vide la luce del sole in una calda mattina di agosto e con un vagito iniziò la sua vita terrena.
    Solo la sua manina era rimasta dall’altra parte stretta a quella del suo angelo custode.

    SEZIONE A
    Accetto il regolamento del concorso

  22. TRAMONTO di Graziano Gismondi

    Quando il sole depone il vigore
    sul mare si dipinge cocente,
    al tramonto si accompagna alla luna
    che nel cielo si propone nascente.
    Così un uomo abbandona la vita
    e al suo posto un neonato accende
    la speranza nell’eterna diatriba
    tra la vita e la morte imminente.
    La natura procede dalla luce alla notte
    come dio che gioca con la vita e la morte,
    l’uomo assiste impotente e supino
    al mistero che gli passa vicino.

    SEZIONE B
    Accetto il regolamento del concorso

  23. IL RUMORE DISTURBA

    Mi hanno detto che devo sparare
    tutte le parole che ho.
    Perché la gente la devi colpire
    altrimenti resti deserto senza mappa

    Ma il sangue mi fa paura.
    e tengo la mano sulla bocca
    a precauzione e rimedio
    di parole senza silenziatore

    Al momento giusto
    e questa volta senza errori
    sussurro o urlo
    si mescoleranno al destino di chi resta

    o va via senza scarpe
    nell’apparenza di un colpo sordo

    Attrice di un film muto
    lasciate ora parlare gli occhi
    velati da una gioia
    che è di chi la sa vedere.

    perché ciò che si dice, rimane.
    Esattamente dentro.

    Grazia Albanese
    sezione B.
    Accetto di osservare il Regolamento.

  24. Anche Hitler prendeva in braccio i bambini.

    Sono le apparenze che ci fregano (e parecchio).
    Lasciamo che gli occhi, anticamera dell’inferno,
    ci guidino ed ogni volta la scena
    allettante ci possiede ed esausta
    all’angolo d’una strada si siede
    finché: “Avanti il prossimo! ”
    Eccolo il moto perpetuo
    che precede l’Apocalisse.

    E’ un bordello: dilettanti allo sbaraglio,
    lupi affamati ci gettiamo sulla preda;
    e non si contano (ma stonati cantano)
    i luoghi comuni affollatissimi e che nessuno
    (ma guarda un po’) di frequentare ammette.

    Leggende metropolitane, voci di corridoio
    che anche i sordi bramano ascoltare:
    – Tutti i neonati sono belli… –
    – Si stava meglio quando… –
    – Ah, le mezze stagioni… –
    E dai e dai ma in realtà prendi soltanto
    (…e cantonate, quante!).

    Innamorati di realtà distorte,
    irrigiditi cobra tra la terra e il flauto
    beviamo d’ogni incanto il nettare.
    Incauti vagabondi del Dharma,
    angeli di desolazione, sulla strada
    dell’inganno ci lasciamo irretire.

    Ci salveremo forse da Babele?
    Elvis è vivo? Risorse Cristo?
    Domande, compagne d’una vita.

    Immagini ingannevoli: la bandiera americana
    buca la pelle della luna trent’anni dopo
    l’idilliaco quadretto del bambino in braccio
    ad Hitler (angeli versus demoni).

    Dittatori, donne infoiate, missionari:
    portatori d’acqua anche se mai
    nessuno dissalerà o svuoterà il mare,
    loro (noi) portan (portiamo)
    l’acqua al proprio
    (proprio al nostro) mulino
    e chi ci va, si sa, s’infarina.

    da: Polvere di poesia nella clessidra della Storia (ediz. Carta e Penna – Torino 2013)
    accetto il regolamento, sezione B

  25. Aria
    —————

    I fagioli sorgente
    del divino olezzante tramonto,
    aroma capriccioso di mezzogiorno,
    in vita ama sperimentare.

    Sotto vento le scrofe
    d’umane spoglie
    sfamate,
    ipocrita freno di se stesse
    e del coraggio d’un foro santificatore.

    Verso l’alto
    il caldo attira il curioso
    di nauseabondi vapori,
    leggiadra liberazione dal passato sgonfio,
    aleggia soave

    corrotto divenire
    umano,

    pacifico sfogo.

    ————–
    sezione B accetto.

  26. DOMENICA ALLO STADIO.
    Sto in fila ai tornelli. Tra bandiere azzurre. Fuori dall’isola magica che cattura cuore e membra. Sono stato invitato e mi sono accodato con una certa dose di curiosità,. Mi reputo un semitifoso. Il calcio mi è sempre piaciuto. Da ragazzo giocavo. Mi piace vedere belle partite e, soprattutto, bei gol. E così è iniziata l’avventura domenicale a Firenze, allo stadio dove oggi arriva il Napoli.
    Raggiungere il capoluogo toscano è per noi un’odissea: sveglia alle 5,30, dopo due ore di sonno rubate alla serata-nottata al circolino dove si va a ballare il liscio; traghetto, auto, sosta all’autogrill per colazione e bisogni; infine, Firenze, grigia e fredda.
    Circondati da gruppi di tifosi viola, raggiungiamo a piedi lo stadio. Ai tornelli dobbiamo lasciare le cinture dei pantaloni, perché “possono essere un’arma”, ci dicono. Prima del fischio d’inizio, previsto alle 12,30, chiacchieriamo con i “tifosi”, quelli veri, quelli che si fanno centinaia di km ogni due settimane per seguire la squadra che, annunciano con enfasi, “quest’anno va veramente forte!”. Dicono di avere un solo amore, il Napoli, e un solo odio, la Juve, la sempre favorita, la più forte e la più… fortunata, grazie a strane coincidenze-sviste arbitrali.
    La partita si gioca con ritmo lento. Gli occhi sono tutti sul matador, il capocannoniere Cavani, colui che fa sognare la città perennemente in ginocchio. E’ vero, non è il solo, ci sono altri giocatori-beniamino, ma lui è il simbolo del riscatto. Come lo fu il più grande di tutti i tempi, Diego Maradona. Ed è proprio il colpo di testa di Cavani che consente al Napoli di pareggiare. E’ un tripudio: urla, abbracci, lacrime, sventolio di bandiere e drappi. Poi la partita termina. L’uscita dallo stadio è laboriosa: ci trattengono per motivi di sicurezza e possiamo uscire solo dopo gli altri. Nell’attesa il tifoso si trasforma. E’ al telefonino che emerge quanto allo stadio è oscurato dalla passione: la tenerezza per la moglie, per i figli, le parole gentili in un dialetto che le rende dense e immediate. Sono i veri affetti che emergono, quasi a compensare l’energia che è fluita durante la (passiva ma non troppo) performance sportiva.
    Ma domani è già commento e di nuovo attesa e speranze che caricano l’intimo che sarà pronto ad esplodere nel prossimo match.
    Per me, però, è diverso. Sì, perché sono un semitifoso. Io già penso a domani. Ora sono davvero stanco. E, per fortuna, domani sono libero dal lavoro. E sarò affidato ad altre speranze…
    Autore: Nunzio Marotti
    Sezione A
    Dichiaro di accettare il Regolamento

  27. L’inganno…

    I Signori del Tempo lanciarono i dadi
    e il Gioco ebbe inizio…
    Immane, una cascata di acqua sommerse il mondo…
    Sodoma e Gomorra scomparvero tra lingue di fuoco
    e l’infelice Salomè rise, delirante, fissando
    gli occhi ciechi del Battista…
    Consumandosi nel rogo delle sue illusioni
    l’umanità implorante alzò gli occhi ad una croce
    e un sogno di immortalità rese lieve il dolore, la fame e la sete…
    Voraci, nell’arena, le belve acquattate artigliarono l’aria
    pregustando l’infame banchetto…
    L’incauta Pandora sollevò il coperchio e un’orda selvaggia
    si riversò sul mondo indifeso facendone scempio…
    La Furia, con urla rabbiose, si avventò sulla inerme Rassegnazione
    dilaniandola con zanne possenti e artigli affilati….
    I vincitori si dissetarono col sangue dei vinti
    e l’Olocausto ebbe i suoi martiri
    …Vittime sacrificali sull’altare del Nulla…
    Nell’aria immota il Dolore urlò i suoi silenzi
    e la Speranza pianse lacrime di impotente cordoglio…
    Ciechi, i piccoli topi continuano la folle corsa
    nel labirinto della propria agonia…

    Autrice: Anna Montella
    Sezione B
    Dichiaro di accettare il regolamento

  28. ONEIROS

    L’Olimpo era in subbuglio: Le dee del Fato avevano interrotto il proprio lavoro e sulla Terra il tempo si era fermato. Cloto, che tesseva lo stame della vita, e Atropo (la più anziana delle tre), che aveva il compito di reciderlo nel momento prefissato, guardavano preoccupate la sorella Lachesi che, anziché attendere alle proprie occupazioni, ovvero distribuire a ciascuno la giusta Sorte, si torceva le mani con lo sguardo perso nel vuoto. Il problema era davvero di quelli grossi; infatti Atropo, al momento di recidere il filo della vita di un omino che abitava tutto solo nei boschi, si era resa conto che in realtà il poveretto non aveva mai realmente vissuto. Semplicemente, al momento della sua nascita, distratta da quello sfacciato di Eros che le svolazzava intorno con le sue alucce dorate, Lachesi aveva dimenticato di assegnargli il suo Destino.
    Ed ora, per riparare, non era rimasto che lo spazio di una notte. Gli dei erano tutti li che si guardavano l’un l’altro senza sapere come risolvere il problema (tranne Eros che aveva preferito tenersi a prudente distanza), quando si fece avanti Thànatos (la Morte) che, con il faccino innocente di fanciullo e i suoi riccioli d’oro, propose con la freddezza che gli era consueta di occuparsene subito e personalmente. Lachesi, al sentirlo, emise un gemito di disapprovazione e Thànatos si allontanò offeso ed imbronciato. Spes (la Speranza) mormorava parole di conforto, mentre Zeus accigliato, misurava il salone a grandi passi, non lasciando presagire nulla di buono. A quel punto Hypnos, il dio del Sonno, che si era tenuto in disparte guardando corrucciato e pensieroso la scena, decise di intervenire con una proposta che, date le circostanze, sembrò a tutti la soluzione migliore. Poiché le regole dell’Universo non consentivano ad un essere mortale di vivere più di una vita nell’arco di una sola esistenza, l’omino del bosco, immerso in un sonno intessuto con trama sottile , avrebbe vissuto nello spazio di una notte quella vita a cui aveva diritto e che gli era stata negata.
    …e fu così che nacquero gli Oneiros, i Sogni, tessuti con l’argento delle stelle, con perle di lacrime e di rimpianto e cristalli di desiderio.
    Essi, bellissimi ed evanescenti, presero dimora nel Palazzo del Silenzio, sul fiume dell’Oblio e da allora, ogni notte, fanno visita agli uomini consentendo loro di viaggiare in una dimensione irreale senza limiti di spazio e di tempo, dove è possibile realizzare desideri inconfessabili e vivere non una, ma mille vite diverse. Oppure, chissà!? Forse questa è soltanto una favola e le cose sono andate in tutt’altra maniera.

    Autrice: Anna Montella
    Sezione A
    Dichiaro di accettare il regolamento

  29. Diafana sei per me

    Un velo
    una patina, un alone.
    Un grigiore
    eri.

    Ma
    da lontano
    la tua anima divenne nitida
    per me.
    Trasparente quale sfera di cristallo
    in cui scrutato era il nostro futuro.

    Lo vidi.
    Chiaro
    evidente.
    Dolce.

    Un amore
    era il tempo avvenire.

    Fui io allora a perdere la vista?
    Fosti tu a nasconderti?
    Calò il sipario e noi,
    poveri attori stanchi,
    diventammo invisibili
    l’uno all’altra.
    Insensati che si mossero in direzioni
    opposte.

    Eppure
    ora so che torni.
    Ti ho vista.
    La sfera è intatta.
    Diafana sei per me.

    AUTORE: Giuseppe Varriale

    DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    SEZIONE B

  30. “Schegge”

    Io so cosa provano
    e cosa pensano
    le bombe
    quando esplodendo
    vanno in migliaia di schegge
    …un universo che si moltiplica
    in miliardi di frammenti
    che implodono di luce e calore
    e salendo
    si piantano nel cielo…ferendolo
    poi ricadono nel silenzio
    del terreno sottostante
    …bruciati e soli

    accetto il regolamento
    sezione B

  31. Il bianco e il nero

    Che bello il mondo insieme
    bianco e nero,
    sapere che esiste davvero,
    lontano, un’altra realtà,
    di rosse terre e altri cieli,
    primitivi felici
    che ballano fra i colori
    e che conoscono altri sapori
    amori e dolori.
    Accarezzati dall’ombra
    mai stanca, ora nera, ora bianca
    che scopre in un moto perpetuo
    le due metà dell’azzurro astro
    dividendolo in due netti colori
    e insegnando che siamo
    fatti degli stessi umori.
    In un minuto soltanto
    vedere il fuoco tornare
    dopo aver accompagnato di luce
    altre terre lontane
    a noi sconosciute
    e come una mamma eterna
    che tutti i figli accarezza,
    ritorna ad abbracciare la sua prole
    ovunque si trovi…
    ma questa è la vita
    nè bianco, nè nero,
    solo il grande mistero
    del nostro mondo
    mai nostro per intero.

    Sezione B Accetto il regolamento

  32. Guardo un vuoto di luce,
    mi appare il monastero.
    Dentro,
    trovai la pace, l’oblio delle ferite,
    del tempo.
    Là c’eravamo, insieme,
    noi col piccolo cane,
    silenziosi,
    sull’erba del Subasio,
    a respirare Dio,
    l’innocenza di Anime indomate.
    E le colombe bianche,
    sul muretto,
    attiguo al Paradiso.
    Ignari di sventure future,
    senza presagio alcuno di tempesta,
    movevano due cuori innamorati
    in un palpito unisono
    di promesse future.
    Ma la terra tremava insieme a noi.
    Rimasero macerie,
    memorie senza tempo,
    senza storia,
    morte dentro la mente
    come lapidi,
    a ricordo di eroi!

    Nicola Andreassi 13 giugno 2012

    Copyright 2012 Nicola Andreassi
    tutti i diritti riservati
    accetto il regolamento

  33. Le cose che io solo so di te
    (con tutto il male, che però non dico…)

    I fremiti che hai quando ti addormenti
    nell’ansia in cui il tuo cuore spesso inciampa,
    il ridere che fai nel dire “bœh?”
    nel tuo dialetto misto – di frontiera;

    il tuo dimenticarti tutto aperto –
    cassetti porte sogni braccia e cuore,
    la frangia spettinata dall’amore
    e il ravviarla subito – arrossendo;

    i tuoi gilé annodati alla vita
    e i maglioncini a collo sempre alto
    per timore di essere scoperta,
    nel pudore dell’essere ammirata;

    il tuo dàrmiti intera in ogni stretta,
    le tue mani come ali nel parlarmi,
    i tuoi gesti d’uccello – il passo-volo,
    la musica che fai quando ti muovi;

    la tua voce che accoglie terra e cielo,
    il tuo sfuggirti e rincorrerti in versi,
    il timido non esserti all’altezza,
    come una bimba che non riesce a reggersi;

    il profumo di pane dei capelli,
    il latte dei tuoi seni – miele estivo,
    la bionda origine della tua pelle
    negli esili sorrisi che elargivi;

    l’Oriente che hai negli angoli degli occhi
    e il Nord che soffia azzurro dalle iridi,
    la bocca languida – sensuale e ròsea
    e il tuo bacio – viaggio oltre le stelle;

    le vette degli zigomi e delle anche
    e la valle dell’Eden del tuo ventre,
    il prender la mia vita nella tua
    come si mette carne nella carne;

    il tuo sentire estremo – travolgente,
    il tuo amare tutti – come odiarli,
    i tremori segreti di famiglia,
    la gioia insuperabile dei figli;

    il tuo adorare il mistero di Proust,
    il tuo scolpirti in me nelle carezze,
    l’essere indescrivibile che ho amato
    e che ora in ombra di memoria vive.

    Ulisse Fiolo – sez. B (con una poesia inedita) – dichiaro d’accettare il regolamento.

  34. Daniela Schirru
    Sezione B – Poesia –
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

    … Le Questioni della Vita …

    Quante parole nascono dal cuore
    e quante vengono buttate al vento
    perché prive di senso?
    Quante persone ascoltano
    e comprendono il senso di queste parole,
    quante emozioni nascono
    ogni volta che esprimiamo i nostri sentimenti
    a coloro che amiamo?
    Quante cose vorremo imparare,
    quante vite vanno e vengono
    nel mondo?
    Quanta felicità e tristezza
    vedremo ancora?
    Cambierà mai qualcosa
    o cambieremo noi?
    Saremo mai consapevoli
    di ciò che siamo,
    di ciò che cerchiamo,
    di ciò che vorremo essere
    di dove andremo?
    O continueremo a sentirci
    incapaci di amare,
    incapaci di vivere,
    incapaci di credere
    in noi stessi,
    incapaci di esprimerci
    con parole nostre?
    O ancora continueremo a sentirci
    come burattini manovrati
    da mani invisibili,
    andando in cerca di noi stessi,
    del nostro domani,
    finché non troveremo le risposte
    a tutti questi perché.

    Daniela, 14.settembre.2004

  35. Marina Lovato
    Sezione B – Poesia –
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

    ISTANTE DI POESIA
    Con pelle di pallida luna,
    profumata di meringa al limone,
    sta seduta all’ombra di un’alta betulla,
    dalle verdi foglie di un tiepido giugno,
    in compagnia di grandi autori e poeti
    raccogliendo in poche righe
    passato, presente e futuro.

  36. Entra con me

    Entra con me
    – senza pesi d’amore –
    dentro l’indimenticato maniero
    aperto sul bianco amido dei tuoi occhi
    sconfinati come il margine erboso
    sopra il quale scivola il passo.

    In controluce,
    un ventaglio di sole accompagna lo sguardo
    fin sotto la vecchia terrazza
    rimasta lì,
    quasi a sigillo di un acqueo tempo
    il cui sommesso gocciolìo
    ancora mi consuma.

    Nel silenzio delle stanze semi oscure di regalità
    il tenersi stretti
    – a fronte di un dolore –
    scioglie il cielo
    che ricade sulle nostre labbra sfarinandosi quasi
    come le ombre smerlate
    su l’antica pietra.

    Accetto il regolamento
    sezione B

  37. Walter Niederegger
    Sezione B – Poesia –
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

    Restiamo umani! (A Vittorio Arrigoni … un uomo che è voluto restare umano)

    Piovono ancora
    gocce d’acciaio
    sui bimbi
    intorno al tempio,
    si squarciano le carni
    inneggiando a un Dio
    che non vede,
    la presunzione
    di un miserevole uomo
    che spreca la sua ragione
    uccidendo un mondo intero.
    Eppure val la pena di gridare
    Restiamo umani!
    Perché verrà
    un momento di stasi
    a questo sistemico caos,
    perché dovrà pur prevalere
    una ragione vera,
    quella del senso
    di un’umanità fraterna,
    di un comune interesse
    per un domani lieto.
    Restiamo umani!

  38. Tamara Vittoria Mussio – Sezione B – Accetto i termini del regolamento.

    PADRE

    Dammi le tue mani
    sporche di fango.
    Siedi qui accanto.
    Un po’ d’acqua,
    qualcosa da mangiare,
    un sorriso strappato,
    un bacio rubato.
    Montagna instabile,
    pericolosa e franabile,
    imponente e maestosa.
    Antica roccia, salda,
    per chi la ama,
    temibile,
    per chi non ma conosce.
    La mia Montagna.
    Rifugio sicuro.
    Tempio sacro.

  39. – Eccomi –

    Era lì che le piaceva andare, quando lo stress cittadino le saturava i polmoni ed il via vai dei pensieri le ingolfava il cervello. Il solito posto che l’aveva vista tante volte perdersi in quel cielo di altri mondi, quel paesaggio statico, eppure denso di insospettabili declinazioni. Il grigio della roccia viva che rendeva il muschio e l’erba vicina un contrasto quasi insopportabile. Il ruscelletto che cadeva in rivoli curiosi e sfacciati, aveva scavato la pietra manifestando la caparbietà inutile ed apparentemente improduttiva, delle forze naturali. Tutto rimaneva immoto lì, e lei poteva ancora sentire l’eco delle sue grida di fanciulla, lanciate verso il niente, per il solo gusto di dare movimento alla quiete che pure tanto amava. E godeva dello sbattere di ali indispettito degli uccellini, sorpresi a sonnecchiare. Ora era una donna matura, ma in quello spazio di mondo la sua essenza non aveva età; avvertiva forte la vigorosa e cocciuta volontà di esistere della sua anima, sempre uguale a sé stessa: affascinante, misteriosa, immortale. Amava la sensazione di invincibilità che provava contemplando il suo spirito e sapeva con certezza che la vita d’attorno la osservava con ammirazione. Ed allora, come un camaleonte vanitoso, si rotolava nell’erba sfidando il verde, il rosso dei papaveri, il giallo delle margheritine, a fare di più e meglio. Tacendo dialogava con la terra, e quante verità aveva appreso negli anni; storie di uomini, viaggiatori del tempo, che avevano incrociato i suoi occhi in pellegrinaggi di fortuna. Lì tutto era permesso ed il vento, a volte, le frugava le tasche piene di foto e pensieri futuri: lui, lei, gli altri, lo stesso sorriso rivolto all’obiettivo. Quel giorno, brividi di freddo la scuotevano ma aveva fretta d’apprendere l’ultima lezione. Si mise in ascolto coi sensi allertati, pronti a captare il cambiamento. e si distese sotto il solito albero che, come stizzito per non averla potuto accogliere nel suo abito migliore fatto di fronde voluttuose ed appariscenti, la copriva appena. Ma a lei non importava, era lì e questo le bastava. Il sole la scorse da lontano e si avvicinò incuriosito. Tutto, attorno a sé, parve organizzarsi alla bene e meglio; stese, dunque, le braccia lungo i fianchi, le mani affondate nella terra, i capelli sparsi a ventaglio, gli occhi socchiusi, le lunghe ciglia a sostenere con dolcezza le lacrime. Sorrise di paura e fretta. “Sono pronta” disse piano.
    Il cielo cadde all’indietro e schiere di angeli danzarono felici.

    Annarita Campagnolo – Sez. A
    Accetto il regolamento

  40. Esco. Non so quanti passi percorrerò. Ma esco.
    “Si, si. Si, si, d’accordo, vai.”
    Capisci? Se non lo facessi, rimarrei chiuso negli spazi del mio ego, tra le sue erbacce avvolgenti che mi tolgono la voglia.
    Solo le distanze tra la mia coscienza e la mia oscurità, conoscono le risposte.
    Devo uscire, senza lasciare traccia di quel che si sta affacciando, adesso. Pensieri informi che cercano di possedere la mia volontà, che stonano con quel che voi sapete.
    Non posso lasciarli fare. Fuori troverò il modo di dimenticarli, e tornando troverò il modo di perdonarmi.
    Da quando ho scoperto che “fare” è meglio che “non fare”, posso “disfare” in santa pace, posso occupare la mia mente con alibi migliori dell’ozio ghiotto e cannibale che strazia di depressioni umani che potendo apporrebbero sigilli altroché validi a questo mondo e alle loro vite. Non voglio essere come loro. Loro, che dicono di non volere nulla, hanno ragione. Voglio il torto, seppure. Mi porrò degli obiettivi, banalmente, magari saranno irraggiungibili, piccolo trucco della mente. Non importa dove passerò, né dove arriverò. Questo nessuno lo sa.
    Sono uscito. Mi ricordo la canzone…”La locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e cadere.”
    Dunque cado, nell’oblio e nella scoperta, nella scoperta e nell’oblio, da anni.
    “Ah si?”
    TI giuro, è un’altra cosa. E’ il solo modo di vincere la depressione, quello di agire.
    Lo so, vorresti dirmi che non riesci, che per te la depressione non è come per gli altri, lo sento che me lo stai dicendo, anche se non lo pronunci.
    “E cosa fai andando?” mi chiedi arricchito dell’unico sarcasmo che conosci, quello contro te stesso.
    Sorrido. E rispondo che andando costruisco navi in bottiglia, aggiusto macchine da scrivere, fotografo albe e tramonti, nuoto per 50 minuti.
    Ma forse a te arrivano soltanto i miei saluti di commiato.

    Alessio Barettini
    Sez. A
    Accetto il regolamento

  41. Futuro che mastichi parole a metà,
    radici di scenari che indovinano i poeti,
    raccontaci di odori che assomigliano
    a quei desideri che alcuni uomini indicarono,
    di pace, umiltà e fraterna coerenza.

    Ai ciechi lascia che luce illumini gli angoli
    e mescola le carte che offri, come da copione.

    Umanità che cerchi risposte da secoli,
    scorgi ancora nella tua intelligenza
    le vere ragioni che chiedono spazio,
    e lascia i disegni dei falsi profeti,
    mancanti di totale unità.

    Futuro, apri i tuoi confini.
    Che i limiti siano solo proprietà di dio.

    Alessio Barettini

    Sez. B

    Accetto il regolamento

  42. – Così sia –

    Non siedo alla destra
    né mi trovi dietro
    i discorsi

    Intingo in calici

    ma nego l’evidenza
    e la bellezza
    mi appartiene
    appena

    che di soluzioni
    è pieno l’avvenire
    ma non l’oggi
    non ieri
    quando razzolavo
    bene e male

    Non lesino parole
    ma a denti stretti
    anche se la lingua
    batte
    evoco
    carezze su carezze
    e dipingo storie
    e memorie
    che poi dimentico
    col pane quotidiano

    E così sia…

    Annarita Campagnolo – sez B
    Accetto il regolamento

  43. “In memoria di…”

    Quando nel quattordici febbraio del 2060 la guerra finì, era il giorno di San Valentino. Stranamente, per quanto il mondo fosse andato a rotoli durante quei dodici anni esasperanti, il tempo continuava, inesorabile e ancora vivo e vitale, ad andare avanti. Anche le feste si susseguivano, lasciando solo cuori sconfortati o, nei ranghi più alti della politica e dell’esercito, mugugni spazientiti.
    Quel quattordici febbraio, allora, passò inavvertito: la gente era oramai incapace di gioire. «Dodici anni. Ma ci pensi?» – ci si chiedeva tra veterani. E “dodici anni, ma ci credi?” era ciò che mi domandavo continuamente. Non che non credessi alla guerra atomica: chi avrebbe mai potuto!? Forse, ma oramai è passato troppo tempo per ricordarlo, forse non credevo alla pace. Del resto nessuno ci credeva. E allora cosa non credevo? Non lo so più.
    So solo che all’epoca, per quanto fosse stato duro resistere ai bombardamenti, vivere tra uomini e cose contaminate, era ancora possibile una minima illusione: quel quattordici febbraio, giorno della fine della guerra, lo prometteva: era ancora possibile l’amore. Non avevamo dimenticato tutto.
    Io, dopo tutto, ero innamorato. Ricordo che quell’amore, così assopito durante i duri combattimenti e i periodi di stenti, era rinato con veemenza subito dopo l’annuncio della fine del conflitto. Quando la televisione annunciò: “La Guerra è finita. Unione dei Democratici Est e Repubblica dell’Ovest Mondiale hanno appena firmato l’armistizio a Glasgow”, la prima cosa a venirmi in mente fu un nome proprio: Maria.
    Era la prima volta che lo pronunciavo, dopo almeno un decennio. Come avevo potuto dimenticare la sua importanza per la mia vita? Non riuscii a spiegarmelo; o, meglio, non me lo chiesi. Sentii solo l’eterna morsa di quel sentimento e corsi da Maria.

    Arrivai alla porta della casa da lei abitata dodici anni prima. Era crollata. Un senso di angoscia si impossessò di me: possibile che, dopo tanta sofferenza, altre sciagure dovessero subissarmi? Ma qualcosa attirò la mia attenzione: una frase scritta sull’unico muro ancora in piedi. “Ricordi il nostro colore, amore mio? Cercami lì dove avrò lasciato le sue tracce e mi troverai”.
    All’epoca, quando regalai il pastello – “il nostro colore” – a Maria, non era facile trovarne. Questi non erano stati vietati, ma non venivano più prodotti e il motivo di ciò era la nuova politica del nostro presidente, tutta volta all’inaridimento della vita, alla creazione di un’esistenza grigia. Era dunque davvero poco probabile trovare dei colori. Per questo quando, durante un lavoro come antiquario (il mio lavoro prima della guerra), trovai il pastello, non esitai un attimo a decidere di regalarlo a Maria. Da quel giorno il nostro colore è la tinta di quel pastello: il rosso. Era dunque facile trovare il mio amore: bastava seguire il nostro colore. Mi misi subito in cammino.
    Dovetti appurare, dopo ore di ricerche, che niente di rosso era nei paraggi. Non solo non erano presenti segni di pastello, ma nemmeno i tetti delle case, i segnali di pericolo, le ciliegie. Nulla era rosso. Non sapevo cosa pensare. Iniziai a chiedere, come un forsennato, ad altri reduci se loro lo vedessero. Tutti, indiscriminatamente, mi dissero che non vedevano nulla di quel colore. Ero nauseato dalla vita. Tutto mi era stato negato: la pace, la serenità, l’amicizia. L’amore. Eppure continuai a cercare.

    Mesi dopo arrivò la chiamata per la prima visita medica per reduci. Completamente svuotato mi trascinai al campo dove si tenevano gli esami. Quando arrivò il mio turno entrai come una furia dal medico. «Dove sono i miei colori?» – gridai – «Dov’è il mio rosso?». Subito dopo scoppiai a piangere: non sopportavo più una vita così deludente. Il dottore aspettò la fine di quello sfogo, per me infinito, e mi disse che, alla fine, il presidente era riuscito in un terzo del suo intento: la guerra atomica non aveva spazzato via la visione dei colori, ma aveva comunque distrutto, in tutti coloro che vi avevano partecipato, i coni responsabili della ricezione delle onde lunghe della luce: quelle che ci permettono di vedere il rosso. Questo era tutto. Potevo andare? Sì, potevo. E andai.

    Ed eccomi qui, remengo ed esule del mondo – del mondo così come lo intendevo – ancora sulle tracce del mio rosso, ossia del mio amore e di me stesso.

    AUTORE: Giuseppe Varriale

    Accetto il regolamento

    Sezione A

  44. “Un Tuffo Al Cuore”
    di Giovanni Beani

    Un tuffo al cuore! Si dice così no? Quando vedi una persona o un luogo, quando un semplice odore penetra nelle narici, quando un suono recondito si insinua tra le pieghe delle orecchie, insomma quando qualcosa scatena dentro di te un’emozione così forte e improvvisa da fare vibrare l’anima stessa. Ecco, ora che sono ritornato qui, quest’odore pungente di salmastro, il sole che si tuffa nel mare laggiù all’orizzonte, la brezza autunnale che mi penetra sotto i vestiti e percorre tutta la pelle… sono il tuffo al mio cuore. Il sentire del corpo altro non è che la miccia che accende la mente e la fa esplodere in vecchi, ma vividi, ricordi. Ho infatti ancora, sotto i piedi, la sensazione di gioia e di dolore della sabbia che tappezza la spiaggia della Versilia e che scottava al solleone di quell’agosto. Un agosto di 40 anni fa, quando ero solo un ragazzino di 13 anni e la vita iniziava a mostrarmisi in nuovi aspetti. E lei era lì, davanti a me, una piccola giovane donna dalla pelle abbronzata e dai lunghi e sinuosi capelli scuri. Era seduta sul pattino come un’ignara dea dell’olimpo. I suoi grandi occhi, neri come la notte, sembravano scavarmi dentro, ma evidentemente non riuscivano a leggere quello che io stesso ancora non avevo compreso e non sono poi riuscito a spiegarle… mai! Cos’è in fondo l’amore? Attrazione fisica? Coinvolgimento mentale? Egoismo? Difficile rispondere. La nostra anima, spirito o mente che sia, è ingabbiata dentro un corpo fatto di carne, di ossa e di nervi. Le emozioni sono della mente, ma sono anche del corpo. E, a volte, il corpo ci va stretto, a volte è addirittura sbagliato. Già… sbagliato! Come, forse, è sbagliata quella faccia mascolina di una donna sola di 53 anni che mi sta guardando nello specchio che ora ho di fronte, la mia faccia!

    AUTORE: Giovanni Beani
    DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO
    SEZIONE A

  45. ” Svelami il tuo amore ”

    L’intimo dei tuoi pensieri

    mi distrugge,

    i tuoi occhi distaccati

    nei momenti di batticuore

    smembrano le mie ultime certezze.

    E mi percuoto l’anima

    con la punta della mia angoscia.

    Lascia che io entri a passo lento

    nei tuoi pensieri,

    senza ostilità e senza paura,

    lasciami navigare dolcemente.

    Spianami la strada impervia

    affinché io possa trovare riparo

    nelle tetre notti che dedico a te,

    alla ricerca del tuo sorriso,

    del tuo amore.

    Porti via i miei sonni più dolci

    senza renderti conto

    di quanto ho bisogno di sapere se ci sei,

    nella mia vita,

    nel mio cammino.

    Sei qui per me o per esplorare nuovi volti,

    nuovi voci,

    nuovi sensazioni?

    Imbrigliami,

    incatenami in questa strada faticosa

    che mi porta a te,

    che fa respirare le mie giornate,

    che fa tremare la mia voce.

    Voglio solo la verità,

    se mi ami o mi abbandonerai

    come una barca arenata

    su un’isola deserta,

    in un posto che nessuno potrà mai salvarmi.

    Non lasciare che io mi abbandoni

    nelle selve di queste lunghe notti.

    Non accontentarmi con carezze

    che hanno timore di giacere sul mio corpo.

    Regalami il segreto

    per conoscere il tuo amore

    o liberami da queste catene

    che stringono forte i miei polsi.

    Autore: Maria Francesca Petrungaro
    Sezione B
    Accetto il regolamento

  46. Passeggio in te

    Passeggio fra i confini che delimitano i nostri passi.
    Sconfino nelle orme create dal tuo vagare,
    smarrendomi sulla riva del nostro calore.
    Oceani di pietra vulcanica riscaldano i mari ove bramo navigare
    fino gli avvallamenti abissali che ammirano i nostri cuori.
    Un passo dopo t’intravedo nel crepuscolo dell’imbrunire
    angolo fatato laddove anche se offuscato il sol pensier tuo fa ammutolire.
    Percorro il viottolo con cupidigia con la costernazione
    di non trovarti allatta a me, nella serra dei miei aspiri più reconditi.
    E’ sera, il buio cela il margine che divide un sottile refolo di luce
    dalla fiamma bollente del tuo essere splendente.
    Passeggio nella notte, le tenebre mi circondano…
    Ti vedo mentre sorridi… E’ giorno.

    AUTORE: Bartolomeo Capuano

    Accetto il regolamento

    Sezione B

  47. ore: 0.00

    La sera del 24 dicembre 1914 all’improvviso fu silenzio. Jhon Satherland aveva vent’anni e la guerra ne aveva disegnati almeno dieci di più sul suo volto. Gli occhi avevano visto molte atrocità, avevano visto morire. Tom, il suo compagno di viaggio era morto, il primo giorno di trincea. Guerra lampo la chiamavano.Così era stato per morire. Silenzio, solo silenzio e poi una voce nemica aveva intonato un canto. A cinquanta metri da lui un soldato tedesco cantava il Natale. Natale, è vero, non ci pensava Jhon al Natale, eppure ancora lo scorso anno suo padre gli aveva fatto trovare sotto l’albero il golf azzurro polvere con cui era partito.
    La voce, proseguiva il canto seguita da un coro prima sommesso e poi gioioso.
    “Merry Christmas, la cantavamo in coro in famiglia, mio padre al pianoforte e noi in calde pantofole intorno a lui. Nel 1908 Mio fratello Joy aveva sei anni e la voce squillante che a cusa di un dente mancante, ogni tanto faceva un fischio curioso. Mia sorella, Mandy, non voleva cantare, chissà perché non le piaceva il Natale. Ricordo che mamma non riuscì quasi mai a farla sorridere. Aveva paura di tutte quelle luci e non voleva che il bambinello stesse in una stalla. Spesso lo metteva a riposare nella culletta del suo bambolotto più caro, sotto la copertina. Beh, anch’io non ho mai apprezzato più di tanto il Natale, la cosa più fastidiosa era il continuo rimbrottare dei miei: Metti a posto che potrebbe venire qualcuno, che poi tra l’altro, non arrivava mai, quando suonavano alla porta c’era sempre una zia, un’amica o chissà chi. Che scocciatura. Ho aspettato qualcuno per tutta la mia vita.Se non fosse stato per i dolci di mamma, che tra l’altro non si potevano toccare fino al giorno di Natale, sarebbe stato solo una scocciatura. Mia madre… sembra di sentirla anche adesso: Jhon, per favore apparecchia la tavola! Jhon, attento a Joi , non fargli male con le palle di neve; Jhon, sei grande aiuta papà a spargere il sale che si scivola! (quanto mi manca). Cantare poi non era certo la mia più grande aspirazione. Suonare, ecco questo sì che mi piaceva. Mi piaceva suonare e dipingere, dipingere il rosso dei papaveri in primavera… come quelli che Tom ha sulla sua giubba. Dipingerò ancora il colore della morte?”

    accetto il regolamento sezione: A
    autore Patrizia Stefanelli

  48. Sina Mazzei
    SEZIONE B
    accetto il regolamento
    POESIA
    L’albero della mia vita

    Pellegrina,
    con un cuore in viaggio
    e un bianco sazio,
    vagabonda ed esule
    come una straniera
    emigro fino ai bordi della mia coscienza,
    terra sconosciuta senza bisacce
    in cerca di una patria.
    Tra i suoi campi di grano
    pieni di biondi miraggi
    me ne assumo tutte le fatiche
    e verso l’espiazione
    delle colpe senza una condanna
    errando vado
    per consacrare una vita che da inferma
    ha vissuto i suoi giorni senza amare.
    La mia vita senza copricapo.
    Alla fine c’è un incontro,
    sotto l’acero più alto della mia collina:
    mio padre,
    l’albero della mia vita

  49. Sezione A
    Sina Mazzei
    accetto il regolamento
    Ultimo capitolo
    de “Un vuoto da decidere”
    brano tratto dal medesimo romanzo

    “Sono il tuo papà. Semplicemente, vieni Lucida, la mamma, stanotte…è andata via…non c’è più…la morte fredda ce l’ha portata via per sempre!” dall’altra parte del telefonino piangendo a singhiozzi smorzati, interrotti, a volte, da un certo contegno forzato che un padre si dà per infondere coraggio ai suoi figli. Il cielo le crollò addosso e la musica che sentiva quando era accanto alla sua mamma, la inchiodò ad un muro. Raccolse tutte le lacrime che aveva e le versò sulle spalle del mondo: in un attimo diventò figlia nel dolore e mamma di sé e del mondo. Il senso del distacco, stavolta, urlò nel suo petto, più forte degli altri e lo sentirono gli uccelli, la luna, i grilli, le acque, gli stormi dei bambini e le nuvole. Quando Lucida vide la sua mamma, con un sorriso flebile ancora intatto sulle labbra sottili, si avvicinò al suo fianco e cominciò ad accarezzarle le mani bianche per trapassarle tutto il calore del suo corpo di figlia che non aveva saputo darle. Era stato un dicembre, freddo, insensibile e cattivo anche lui. Non aveva capito niente che non doveva permettersi di portarsela via insieme ai suoi giorni grigi ed aspri perché quelli della sua mamma erano stati pieni di mitezza e non potevano appartenergli, nel gelo dell’inverno. La sua mamma meritava di morire tra le rose, accompagnata dai primi, tiepidi, dolci raggi di sole come erano stati tutti i suoi baci. Strappargliela dalle mani, mentre la portavano via, fu come svuotarle le viscere custodite gelosamente nelle mura della sua casa. Il vuoto tuonò nella pancia e nello stomaco, perfino nelle unghie poi salì al petto e in gola su una scala scivolosa. Era bella nel suo pallore di seta esaltato dal blu, in tinta, del suo tailleur di lino. Quelli che seguirono furono giorni di deserto, il più eloquente, il più forte, il più profondo e misterioso di qualsiasi sostegno umano, nel quale non rincorse nulla e rovistò in se stessa e tra le vecchie foto. Nei cassetti pieni di effetti personali della madre, si trattenne ancora un po’, ora che il suo ricordo era vivo più che mai. Suo padre si aggirava per casa trasecolato e come un fantasma incapace di reagire, serrato nel suo dolore. Lucida ricercò nella mente le immagini che voleva conservare della sua mamma mentre parlava e parlò tanto con Dio. Si ci ritrovò senza sollecitazione alcuna dell’anima, come una cosa del tutto abituale, senza neanche sorprendersi, come se gli interessi di Dio fossero i suoi. Raccolse i suoi frammenti: non era di se stessa: non lo era stata mai, non era più figlia della sua mamma, né sentiva più di appartenere a quel paese, senza le sue viscere. Non era nemmeno del mondo, ancora. Di una sola cosa era sicura: era del suo vuoto ovunque si trovasse e nessuna traccia umana avrebbe potuto imprimerci un segno vitale; era la sua identità, il suo modo di essere, il suo linguaggio segreto. La sua anima sola con Dio, l’unico vero amore che potesse disinnescare il suo vuoto divenuto ormai la loro stanza d’incontro dove non aveva più timore di nascondersi: lì smetteva di essere troppo di se stessa pur essendo veramente se stessa, nulla nel tutto. Una bellissima anima bianca. Il suo vuoto aveva assunto sembianze diverse: poteva contare su un Compagno che dolcemente lo avrebbe educato a sopravvivere. Congiunse le mani e si raccolse in preghiera.

  50. Sezione B
    accetto il regolamento
    Sina Mazzei
    Poesia

    L’albero della mia vita

    Pellegrina,
    con un cuore in viaggio
    e un bianco sazio,
    vagabonda ed esule
    come una straniera
    emigro fino ai bordi della mia coscienza,
    terra sconosciuta senza bisacce,
    in cerca di una patria.
    Tra i suoi campi di grano
    pieni di biondi miraggi
    me ne assumo tutte le fatiche
    e verso l’espiazione
    delle colpe senza una condanna
    errando vado
    per consacrare una vita che da inferma
    ha vissuto i suoi giorni senza amare.
    La mia vita senza copricapo.
    Alla fine c’è un incontro,
    sotto l’acero più alto della mia collina:
    mio padre,
    l’albero della mia vita

  51. Pensa Sal, pensa!

    Non avevo nessuna intenzione di far finire le cose a quel modo. Ho visto Robert che, entrato nella sala, si era messo a riordinare i candelieri di plex. Non c’era bisogno di sistemare alcunché nella sala e comunque non è mai stato compito suo mettere le mani lì dentro.
    Era nervoso e agitato, i candelieri continuavano a cadergli dalle mani, non mi sembrò il caso di farglielo notare, oltretutto ero troppo occupato per conto mio: tre cadaveri attendevano le mie attenzioni, e anche se non si lamentavano avevo tutta l’intenzione di finire in fretta e andarmene.
    Quando l’ultimo dei commessi ha lasciato l’agenzia e siamo rimasti soli, Robert ha smesso di trafficare sullo scaffale e mi si è avvicinato, Devo parlarti, ha detto con voce esitante.
    Ero lì che sistemavo le mani di tale Freddy Malcom che non volevano saperne di restare al proprio posto, ho deciso di legarle con il rosario e buonanotte. Non mi sono neanche girato, ho detto, Che vuoi Robert?, e ho continuato a fare il mio lavoro, abbastanza distratto da non accorgermi che quel che voleva dirmi era abbastanza importante. Ha detto che lui e Tea avevano parlato a lungo e che avevano deciso che fosse lui ad informarmi. Lui e Tea cosa? Non ho detto nulla. Ho solo aspettato che continuasse. Prima di tutto voglio dirti che mi dispiace amico, non volevamo che accadesse. Non pensare che non abbiamo valutato la situazione prima di arrivare a questa conclusione. Lei ti vuole bene Sal, e sono certo che anche tu….Cosa cazzo vuoi dirmi Robert? So benissimo cosa proviamo uno per l’altra io e mia moglie, non ho bisogno che tu me lo ricordi. Il fatto è che io e Tea ci amiamo Sal. Se Freddy Malcom si fosse alzato e avesse cominciato a ballare il tip tap non sarei stato così sorpreso. Al massimo gli avrei chiesto dove trovasse l’energia a novantadue anni suonati. Credo che il sangue abbia smesso di circolarmi nelle vene e si sia fermato al semaforo del cuore. Sono diventato sordo e muto. Ma che cazzo stava dicendo? Perché adesso avevo la sensazione di averlo sempre sospettato? La rabbia mi è cresciuta dentro come un onda e quando non sono riuscito a contenerla ho cominciato a urlare. Non ricordo una sola parola di ciò che ho detto. Non ricordo più neanche la faccia di Robert, avevo un milione di pugni nelle mani e piedi pieni di calci che ho scaricato su di lui. Non si difendeva nemmeno il bastardo. E se l’ha fatto io non me ne sono accorto. Ho visto il candeliere di rame che stava lì vicino alla cassa e un attimo dopo lo tenevo in mano. L’immagine successiva… è quella di Robert steso sul pavimento. Che era morto non ho avuto dubbi, non c’è modo di sbagliarmi su queste cose. L’ho sistemato in una cassa nel magazzino sul retro. Io, un necroforo, ho un cadavere che mi avanza, uno di troppo insomma, farlo sparire però non sarà facile. Pensa Sal, pensa. Troverai una via di fuga…

    (SEZIONE A)
    Lella Pintus
    dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso e autorizzo al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003)

  52. Forse sono arrivato troppo tardi

    L’acustica del locale era pessima e sono andato via.
    Avevo bevuto troppo, il mio cervello nuotava nel vino.
    La mia auto… Giuro che non c’era nel parcheggio.
    Mi sono avviato a piedi verso casa.
    Inciampavo continuamente in me stesso.
    Ho pisciato contro un palo della luce e non sono riuscito a centrarlo.
    Era ora di puttane.
    Statue mezze nude sui marciapiedi del viale.
    Una di loro ha guardato la mia merce inservibile.
    Ho biascicato un invito che non si è allontanato dai miei denti.
    E mentre il vino si diluiva nell’aria ho ripreso a camminare, sempre più in fretta.
    Senza sapere come mi sono trovato sotto casa.
    Cazzo, le chiavi erano in macchina.
    Per questo sono andato da lei.
    Ho cercato il coraggio per suonare il campanello persino dentro le tasche della giacca.
    Quando l’ho trovato stava albeggiando.
    Quando lei ha aperto ero ormai sobrio.
    Al citofono le ho detto
    – Scusa se ti ho svegliata!
    – Sparisci! – Mi ha risposto un tizio.

    Forse sono arrivato troppo tardi.

    Accetto i termini e le condizioni del concorso e autorizzo al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003)
    Lella Pintus
    Sezione B

  53. DOVE IL DOLORE SI UNISCE AL PIANTO-

    Avrei voluto non conoscerti,figlio,
    figlio di un amore cercato,trovato,
    vissuto, sbagliato!
    Di te ora mi restano solo i tuoi occhi,
    li credevo veri, li pensavo sinceri.
    I tuoi occhi che han beffeggiato il cuore,
    derisa la vita appena iniziata e falsa,
    schiaffeggiato l’amore gettato in pasto
    al pianto, al silenzio, all’abbandono
    incompreso e strano e senza senso.
    Eppure stringesti le tremule mani
    che offrivano carezze e infinite dolcezze
    e baciasti le labbra palpitanti e tremanti
    e calde dense del suo amore
    e della tua finta passione e abbracciasti
    quel corpicino ricco di fiducioso amore
    e di speranze nuove.
    Eppure anche tu tremasti a quell’abbraccio
    sincero e vero ch’era puro e infinito,
    come il suo amore che hai finito ad ogni costo,
    incurante del tempo della gioia infinita,finita
    insieme alle tue parole e alle carezze beffarde
    e menzognere.
    Eppure tu la cercasti e la trovasti
    e,sapendo,conoscendo tutto il dolore passato,
    illudesti quegli occhi che fin troppo avean pianto
    e trapassasti ancora il cuore già trafitto ,
    della cattiveria più intensa per ucciderla
    ancora e ancora …
    Dove il dolore si unisce al pianto
    più forte è il riscatto,più intensa la forza,
    più tenace il silenzio che la lama trafigge e
    rende muto il cuore e lacera ancora le carni
    e ancora sanguina sulle ferite
    e ancora RENDE PIU’ FORTI!

    AUTORE Maria Teresa Manta
    Sez. B
    Accetto il regolamento

  54. Daniela Schirru
    Seziona A – Racconto breve –
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

    Paradies Bild

    Il cielo era terso, e io mi sentivo persa in un labirinto di idee ed emozioni: non riuscivo a trovare l’ispirazione giusta per scrivere, così decisi di lasciare andare i miei sogni e i miei sentimenti facendomi travolgere da note di musica. E ritmo fu, con la musica si spalancarono le porte del sogno. Iniziai a immaginare un luogo lontano da questa terra, di vivere in questo paradiso di sogni. Tante persone intorno a me. Tutto era pronto per un nuovo viaggio attraverso il mondo, ma nessuno voleva credere di aver avuto questa opportunità. Eravamo così entusiasti. Decidemmo di incontrarci in un parco. Volevamo affrontare le nostre paure, i nostri desideri più grandi prima di partire per questo lungo viaggio, ma allo stesso tempo eravamo convinti che era solo un’utopia, un sogno che non si sarebbe mai realizzato. Tuttavia, quello che stavamo per affrontare era tutto vero. Sarebbe stato un viaggio di sogni, di mistero, di grande avventura, di speranza e di ricerca: durante il volo, ognuno di noi si chiese quali luoghi avremo visitato, in quali posti ci saremo fermati, perché non saremo scesi tutti insieme nello stesso luogo, ma avremo viaggiato oltre il tempo e lo spazio nello stesso aereo, ma con diverse destinazioni, in diverse epoche. Solo il pilota sapeva dove ognuno di noi si doveva fermare, sapeva chi doveva scendere, in quale luogo. Eravamo tutti al settimo cielo: perché questo viaggio ci avrebbe permesso di conoscerci meglio, per fare in modo che le nostre strade non si sarebbero mai divise, dopo quest’avventura, e che ci saremo ritrovati giorno dopo giorno, ovunque saremo andati, cosa avremo fatto. Improvvisamente, l’aereo si fermò, e solo un gruppo di cinque persone scesero: si era arrivati alla prima destinazione, mentre il resto avrebbe proseguito fino a un altro aeroporto, per poi riunirsi nel volo di rientro, qualche tempo dopo. A Monaco visitammo la città: sono stati giorni intensi, alla scoperta del passato della città, della nostra identità, cercando di cogliere il senso della vita passata, e cercando di rivivere quelle immagini del passato come un viaggio nel tempo. Finché dopo tre giorni, ci trovammo catapultati in un’altra dimensione, un altro tempo: eravamo a Lubecca, durante il periodo di Thomas Mann! Eravamo increduli: non avevamo ancora capito cosa stava succedendo, e com’era potuto succedere di trovarci in un’altra epoca. L’ultima settimana di questa strana avventura ci ritrovammo a Berlino. Eravamo durante il periodo in cui Hitler si stava impossessando del governo tedesco e di li a poco sarebbero iniziate le opere di distruzione della popolazione mondiale, cercammo in ogni modo di impedire tutto questo. E fummo vincitori di questo, finché l’aereo che ci aveva accompagnato non ci riprese con sé e noi ci ritrovammo dove avevamo lasciato il primo gruppo. Eravamo degli eroi, avevamo cambiato la storia, salvato vite innocenti, ricostruito la città e visto sorgere nuovi mondi, portando il tutto verso una nuova strada ricca di futuro, di immagini. Immagino la fine di un sogno con gli occhi bagnati di lacrime e un enorme desiderio di fuggire da questa realtà di assuefazione e indifferenza, per ritrovarmi in un posto senza pregiudizi, dove trasformare questo sogno in realtà.

  55. Sez. B
    Accetto il regolamento

    Ora

    di Giusy Carofiglio

    Aveva un altare disperato scelto per fuggire dalle nenie
    e gli occhi addosso di vipere infuriate tra veleni setosi e avidi
    non le apparteneva il vuoto era sorriso, e denti lucenti
    consumati masticando le mascelle. Severa e impetuosa
    restava a testa alta, con ogni fiato d’orgoglio
    non le apparteneva l’esilio, ma la solitudine
    sacra e pura come un ruscello tra montagne maestose.
    Recitava preghiere dissacrate di una chiesa vuota
    e le croci in un circolo infuocato
    vibravano di una musica serena e triste
    era la sua vita nella storia, era la storia che gridava vita
    e gli angeli, gli angeli avevano ali d’argento
    e scintillavano, laddove arrivassero credenze piene di fede stravolta
    com’incessante scavare con le mani, unghie sporche di un sangue d’oro
    e l’alba si affrettava a sorgere sulle lacrime, dove il sole splendeva arcobaleno
    tra un sorriso astratto e confuso, sempre giudicato.

    Ora, lunghe vesti bianche dalla purezza rara le sfiorano i fianchi
    slpendente anima dai capelli rossi, a piedi scalzi non teme il tempo
    poiché l’invisibile all’uomo, è un peccato fatto d’amore
    per amore

  56. Ma(d)re

    Ti vengo a cercare
    al mattino
    mentre i miei occhi si riempiono
    delle tue onde
    amorevoli,
    dolci,
    spumose come dolci
    carezze di meringa…

    Ti cerco alla sera,
    mentre il Mondo
    impegnato nella frenesia
    dimentica una domenica
    di vent’anni fa
    quando salutasti la vita
    e me
    senza un saluto
    nel frastuono
    che diventa
    sordo silenzio…

    Ma(d)re
    dimmi allora
    quanto dovrò aspettare,
    perché le onde
    mi riportino a te
    perché quell’onda
    che pare un abbraccio
    mi renda la pace
    e ti restituisca al Paradiso…

    In punta di piedi
    nel silenzio
    andrò via,
    perché la sabbia, spostandosi,
    non ti svegli,
    ed un giorno smetterò
    di cercarti
    come si cercano le ossessioni…

    Maria Giuseppina Moro

    Sezione B

    Dichiaro di accettare incondizionatamente il Regolamento della presente Gara Letteraria

  57. Quando non ci sei

    Quando non sei con me,
    durante i miei lunghi silenzi,
    sento i tuoi passi nella mente.

    Vedo la tua immagine
    riflessa nell’acqua del lago,
    mentre il vento soffia
    nei tuoi capelli.

    Liberati del mio pensiero
    se ti fa male.
    Buttalo nell’acqua del mare
    in modo che l’onde
    lo portano a largo.

    In silenzio piangerò
    la sera prima di addormentarmi,
    e se nei miei sogni
    ti vedrò piangere,
    ti accarezzerò il cuore
    coi miei pensieri.

    Ma io non ti lascerò sola,
    nelle mie preghiere
    ti porto con me.

    Sezione B
    Accetto il regolamento

  58. — PARTECIPAZIONE CONCLUSA — TRA UNA DECINA DI GIORNI SARANNO PUBBLICATI I FINALISTI ED I VINCITORI DELLA GARA LETTERARIA — IN BOCCA ALLA GIURIA (SPERANDO CHE NON CREPI :D )

  59. GARA CHIUSA CON 67 (!!!) PARTECIPANTI ! Grazie infinite ed un abbraccio a TUTTI! Roberto

  60. Alcuni concorsi on line sono a scopo di lucro…..e si vergognano di ammetterlo apertamente……è solo la soddisfazione che conta anche senza premio o promesse di pubblicazioni varie che sono solo oasi nel deserto :-)

  61. Come l’altra volta faccio una figuraccia ma chiedo ancora: sono usciti i nomi dei finalisti e dei vincitori? Grazie Tamara

    1. Tamara, non appena usciranno saranno pubblicati anche qui su questo gruppo. Ci scusiamo per l’attesa, ma siamo in estate ed è normale che ci sia qualche ritardo. Si ripete che i vincitori e finalisti saranno avvertiti via email.

  62. Grazie scusate se ho disturbato non era per far fretta ma ho avuto problemi. Non mi lasciava aprire le e-mail di oubilette magazine perché me le segnalava come infette e quindi non potevo vedere nulla. Grazie per la cortesia.

    1. Non c’è alcun problema, non è un disturbo :D
      Non ho ben capito il problema con l’email. Non c’è nulla di infetto, od almeno è la prima segnalazione che riceviamo.

      1. Nemmeno a me era mai capitato ma la scorsa settimana, ogni volta che cercavo di aprire il sito per vedere i commenti mi bloccava la pagina dicendo che ce’era un Malawere e che non potevo entrare.. Poi ieri sera ho ripulito il pc e le mail ed è ripartito.. Magari era un problema del mio pc ma mi sarebbe dispiaciuto non riuscire più ad entrare.

      2. Forse sì, era un problema di pulitura del pc, alcune volte capita di aver scaricato qualcosa senza saperlo :D eheheheh

        Domani saranno pubblicati i vincitori ed i finalisti. Intanto ti consiglio questo nuovo concorso:

        http://oubliettemagazine.com/2013/08/04/gara-letteraria-gratuita-cero-una-volta-e-altri-racconti/

        E la nostra quarta edizione in scadenza per fine settembre:

        http://oubliettemagazine.com/2013/04/23/proroga-della-quarta-edizione-del-concorso-nazionale-letterario-oubliette-04/

  63. Grazie mille, è stata una bella soddisfazione, che mi ha dato la carica per continuare a crederci…. Scrivere per me è conoscere a fondo me stessa nel mondo….Mio padre ha vinto ancora come vince tutti i giorni nella sua malattia….Un abbraccio a tutti voi

      1. Grazie mille per la sportività. Siete entrati nel mood delle gare letterarie, sono infatti momenti di conversazione artistica e non dovrebbero essere solo mere partecipazioni per vincere. E’ bello vincere, nessuno lo nega, ma è meglio ingrandire le proprie amicizie con coloro che hanno le stesse passioni! Momenti di conoscenza fuori da Facebook :D :D

        Ti lascio anche il link del nostro nuovo concorso:

        http://oubliettemagazine.com/2013/08/04/gara-letteraria-gratuita-cero-una-volta-e-altri-racconti/

        E della Quarta Edizione del Concorso Nazionale Letterario Oubliette:

        http://oubliettemagazine.com/2013/04/23/proroga-della-quarta-edizione-del-concorso-nazionale-letterario-oubliette-04/

  64. Complimenti a tutti. E’ sempre arricchimento condividere emozioni. In questo la scrittura è tesoro. Bravi tutti :)

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