Città abbandonate: Hashima, l’isola fantasma del Giappone

L’isola di Hashima, sperduta tra le 505 isole disabitate della prefettura di Nagasaki, in Giappone, è un luogo spettrale ed affascinante, meta di insolito turismo avventuroso ed alternativo.

È chiamata anche Gunkanjima, che significa nave da guerra, per via dell’aspetto che assume il suo profilo sul letto dell’oceano: un’isola grigia e decadente, circondata da un grande muro di cemento e i cui edifici, prossimi al collasso, vanno a delineare la forma di una specie di grande corazzata. Negli anni Cinquanta fu il posto più densamente popolato al mondo, oggi è diventata una città fantasma, un luogo completamente abbandonato a se stesso, visitato dai turisti come testimonianza di una lontana archeologia industriale che vive solo di memorie.

Dal mare infatti si vede una piattaforma, di origine artificiale, costruita in cemento armato, con tanti edifici decadenti, e non si riesce ad immaginare che fino a soli 40 anni fa, quest’isola ospitava 5000 persone, su uno sperone di roccia di 400 metri per 140. Questa misteriosa struttura fu costruita sopra un’importante miniera di carbone di proprietà della Mitsubishi che, nel periodo compreso tra il 1887 ed il 1974, contribuiva notevolmente a rifornire di energia la città di Nagasaki, ad una sola ora di navigazione.

Era un polo minerario talmente importante che decisero di costruire centinaia di appartamenti per i minatori, con scuole, ospedali, palestre, cinema, bar, ristoranti e 25 negozi per le rispettive famiglie. Furono anche edificati i primi palazzi in cemento armato della storia del Giappone, alcuni anche a 9 piani, per difendersi dai frequenti tifoni che si abbattono su queste zone.
Nel 1959 l’isola di Hashima arrivò ad avere la più alta densità di popolazione mai registrata al mondo: ben 3450 abitanti per km2.

Gli appartamenti erano simili alle celle dei monaci, piccoli e soffocanti, e gli abitanti erano divisi per caste. Minatori non sposati nei monolocali, minatori sposati e con famiglia, nei bilocali con bagno e cucina in comune. Personale amministrativo e insegnanti potevano godere del privilegio di avere un bagno privato, mentre solo a colui che dirigeva la miniera spettava il diritto ad una casa indipendente. La sopravvivenza di Hashima dipendeva interamente dai rifornimenti via terra e se un tifone si abbatteva sull’isola, i suoi abitanti dovevano cercare di sopravvivere per giorni in attesa della prossima nave cargo.

Nel periodo di massima attività l’isola produceva 410.000 tonnellate di carbone all’anno, una produzione intensa che andava però a discapito della vita umana. Per questo motivo nella miniera vennero impiegati prigionieri coreani e cinesi, costretti a lavorare a turni massacranti. Molti di loro persero la vita a causa della fame e delle scarse condizioni igieniche. In tanti tentarono la fuga dall’isola a nuoto.

L’isola di Hashima fu abbandonata dopo che il petrolio iniziò a sostituire il carbone come fonte di energia. Dal 1974, come abbiamo detto, Gunkanjima è una città fantasma.

Nonostante sia stato luogo di sofferenza, di stenti e di morte, Hashima rappresenta un importante pezzo di storia del Giappone, per il suo sviluppo industriale post bellico. Oggi l’isola è una sorta di cimitero di edifici decadenti, pericolanti e destinati al crollo, ma proprio per il suo fascino spettrale è meta di appassionati di esplorazione urbana e di cineasti. È stata infatti set di film quali Battle Royale II, Requiem nel 2003 e Inception nel 2010, e del videoclip My Lonely Town della rock band giapponese B’z. Nel 2009 è comparsa anche in un episodio del documentario della BBC Life After People. Nel 2012 ha rappresentato uno dei set del ventitreesimo film di spionaggio della serie 007 Skyfall.

Per oltre 30 anni è stato proibito l’attracco e l’avvicinamento all’isola, per ragioni di sicurezza, pena il carcere e l’immediato allontanamento dal territorio di Nagasaki.
Nel 2005 fu concesso ad alcuni giornalisti di accedere al territorio evacuato e da allora tutto il mondo è venuto a conoscenza dell’esistenza di questo luogo incredibile. Il 22 aprile del 2009 una parte di isola è stata riaperta alle visite, anche se a causa delle condizioni del mare, è possibile accedervi solo per 160 giorni l’anno.

Il tour dura circa 45 minuti, e si possono osservare le rovine da tre diverse ubicazioni, tenendo gli edifici più pericolosi fuori dalla portata dei turisti.

Una visita senza dubbio suggestiva, in mare aperto, a bordo di quella che appare come un’enorme corazzata, e che in realtà fu luogo di rinascita industriale, dopo la bomba che il 6 agosto 1945 rase al suolo una popolazione intera. Ma era solo un’illusione: non era la rinascita.

E adesso, rovine e abbandono sono ovunque, a testimoniare che l’uomo non può forzare l’andamento delle cose. Qualunque forma di sfruttamento viene vissuto come una detenzione e prima o poi ci si ribella, si fugge e rimane… Hashima, anche detta Gunkanjima, una città fantasma.

 

Written by Cristina Biolcati

 

http://youtu.be/q81oeEzPPHU

 

 

7 pensieri su “Città abbandonate: Hashima, l’isola fantasma del Giappone

  1. Ciao, sono Maddalena e mi trovo a nagasaki in questo momento, a pochi chilometri da questa bellissima isola ma purtroppo non c’e’ nulla di affascinante a causa del governo giapponese che non permette di visitarla se non in una sola stradina transennata. ad un prezzo altissimo. Sono da due mesi in Giappone per turismo e oggi ho avuto l’ennesima delusione da parte del Giappone che non sa viversi le cose che ha. l’isola deve essere bellissima ma loro organizzano dei tour organizzati che costano moltissimo e che ti permettono di vedere solo due miseri angoli di tutta l’isola. Hanno le observation area ovvero dei quadrati di cemento recintati da cui puoi osservare. qui in giappone mi sento sempre in gabbia, puoi solo andare nelle aree delimitate e non c’e’ mai spazio per la curiosita’ e la scoperta di cose uniche. persino al mare non puoi nuotare libero se non nelle swimming area.
    capisco il rispetto delle norme di sicurezza ma hanno rovinato tutto il fascino misterioso che c’e’ dietro questa isola. Io amo fotografare ma l’idea di andare li’ e trovarmi chiusa in 100 metri di percorso transennato mi ha fatto passare la voglia di andarci. Non e’ possibile fare foto, girare, scoprire angoli nascosti ne’ fare una foto che dietro non abbia una transenna. che pena!

    1. Maddalena grazie mille per aver condiviso con noi la tua esperienza. E’ fantastico aver corrispondenza da tutte le parti del mondo :)
      Sai che la frase “non sa godersi le cose che ha” mi ricorda però una frase che si dice un po’ di tutti i popoli. Per es. in Sardegna, isola nella quale vivo, niente è messo in luce, anzi chiudono antichissime necropoli con il cemento, figurati come stiamo!

  2. Una testimonianza interessantissima! Una realtà che noi, qui, neanche immaginiamo. Grazie a Maddalena per avere arricchito la nostra conoscenza sul Giappone

  3. Sono sempre stato affascinato dai luoghi abbandonati, questo però è davvero un sito fuori dal comune. Sarei interessato a visitarlo, anche se mi rendo conto che lo stato di degrado oramai lo ha reso di assoluta pericolosità. Immagino che la vita a Hashima sia stata terribilmente alienante, un’autentica Alcatraz senza guardie né sbarre ma con la stessa pressione psicologica. Sarebbe interessante sapere, rintracciando gli ex abitanti, come fosse la vita pratica e quali strategie utilizzassero per evitare di uscire di senno. E’ pur vero che si trattava di giapponesi, per giunta dipendenti da una delle zaibatsu più potenti del paese e, tutt’ora, del mondo, e che, quindi, prendessero la loro esistenza su quell’isola in modo diverso da come avrebbero fatto degli occidentali o altri asiatici, e, infatti, i cinesi e i coreani scappavano a nuoto e morivano in mare, ma si trattava di manodopera schiavizzata e deportata. Immagino inoltre che vi fossero anche problemi di pura sopravvivenza fisica, quali l’approvvigionamento alimentare, idrico e energetico, le cure mediche, le comunicazioni con la terraferma, vista la frequenza, in zona, dei tifoni. Forse esiste qualche testo, in Giappone, che ne parla, se qualcuno ne conosce titolo e editore lo scriva. Ringrazio per aver ospitato il mio scritto sul sito. Andrea

    1. Andrea hai sollevato una questione molto interessante. Io personalmente purtroppo non conosco nessun testo che possa permetterci di capire meglio l’esistenza di quest’isola ed il suo rapporto con gli essere umani, ma ho fiducia! Qualcuno ci aiuterà di sicuro!

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