“Senza Rete”: poesie di Fiorella Carcereri – recensione di Francesca Lettieri

A seguito di una pubblicazione di aforismi ed una di racconti, Senza Rete di Fiorella Carcereri (2012, edizioni Ensemble) rappresenta la prima raccolta lirica dell’autrice, vincitrice del premio “Matteo Blasi” 2012.

L’opera si articola in due sezioni che stabiliscono una netta cesura all’interno di un sofferto percorso emotivo.

“Tu ed io” è la prima di queste sezioni; al suo interno vige un senso di staticità. Due soli protagonisti, pensieri che si sovrappongono soffocandosi, versi estremamente brevi che lasciano il lettore sospeso in un limbo di dubbi e di tormento.

Componimenti che l’autrice rivolge a se stessa, ritrovatasi sola, dopo un amore svanito. Una frazione di vita mareggiata di lacuna in lacuna nel tenue tentativo di colmare il vacuo abisso squarciato nel cuore.

“Era naturale/ respirarti/ e dimenticare/ tutto il male.” – tratto da: Solo tu ed io 

La sezione successiva si intitola: “Io e il resto”. Con un sospiro di sollievo lo sguardo si alza a captare la realtà circostante, percependo luoghi, figure e nuovi personaggi. Anche l’interlocutore cambia, il discorso assume un’intonazione da exemplum e la crescita della protagonista si svela come il primo volo di una crisalide uscita dal bozzolo.

“Ad ogni stagione,/ si cambia pelle,/ stato d’animo,/ modo di pensare.” – tratto da: Pazienza

L’unitarietà del complesso dei componimenti è garantita da un girotondo di elementi costanti. Questi, se nella prima sezione vengono appena sfumati, sbocciano ripetitivamente nella seconda, segnando più e più primavere che sanciscono la rinascita di una donna e la sua ripartenza, come la prima donna fra tutte, come Eva.

Troviamo il tempo, arcaicizzato e riportato alle antiche distinzioni greche, kronos e kairos e così espanso e compresso in fede a leggi qualitative e non scientifiche. Mesi, settimane, battiti di ciglia.

Troviamo gli spazi, misurati da un occhio che corre per lunghe distese di paesaggi freddi e splendidi con un’accezione prettamente naturalista che trasuda intenso amore per un pianeta sofferente.

Troviamo interessanti intonazioni polemiche accostate a pirandelliane presenze di maschere e palcoscenici che si mescolano alle forme sensibili in una visione indefinita.

Troviamo climax continui di un predominante elemento, l’acqua, disposto in ogni sua forma a segnare le ferite e l’animo dell’autrice, talvolta goccia a goccia, talvolta vere e proprie onde che si rifrangono sulla riva portando rancore, speranza, voglia di ricominciare e si rimescolano e si spargono su tutta la superficie.

Troviamo, a riscaldare il tutto, una morbida, devota, dolce femminilità che impreziosisce la parola come zucchero a velo su di una torta.

Un’ingenuità che echeggia Emily Dickinson, una riflessione amorosa che supera l’ostacolo dell’età (tema anch’esso sfiorato nella silloge) facendosi vibrazione che corre ad abbracciare le più molli titubanze prevertiane e le più sagge ed oculate maturità.

 

Written by Francesca Lettieri

 

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