Intervista di Carina Spurio a Fabio Petrella ed al suo “Dove non arrivano i sentieri”

Dopo “Cronache di un cittadino qualunque” (Evoè Edizioni, 2011) Fabio Petrella ritorna con un nuovo romanzo dal titolo: “Dove non arrivano i sentieri” Palumbi Edizioni pp.144. Tra fantasia e realtà, il giovane autore trae ispirazione dai racconti degli anziani che da sempre conservano e preservano cultura e tradizioni.

Ricostruisce un luogo, Poggio Umbricchio, una frazione del Comune di Crognaleto in provincia di Teramo, poggiato su uno sperone di roccia nel territorio dei Monti della Laga. Il protagonista di una delle sue storie è Vincenzo, un pastore nato agli inizi degli anni venti dello scorso secolo che emigra di America in cerca di fortuna e per sfuggire alla miseria.

Vincenzo ritorna nella sua terra ormai anziano, si parla ancora di esodo come ai suoi tempi, questa volta non per tentare la fortuna ma per avere la possibilità di un lavoro non precario ed un esistenza almeno dignitosa …

È la ciclicità della Storia che interviene. Come i nostri nonni/ genitori parecchi anni fa, oggi tocca alle nuove generazioni affrontare e scontare la realtà; in un Paese la cui semina è danneggiata da piante infestanti l’unica soluzione è l’esilio volontario (o forse è meglio dire coatto, visto che la migrazione è indirettamente imposta dall’avversità della situazione politica).

Con l’avventura di Vincenzo, che fugge per miseria e disperazione, ho voluto tracciare un paragone con il presente, che scorre sotto gli occhi dei giovani come acqua sotto i ponti senza trascinare nulla con sé.
Se “Cronache di un cittadino qualunque” affrontava la realtà con acidità e sarcasmo, “Dove non arrivano i sentieri” lo fa con nostalgia e rassegnazione, proiettandoci in un’epoca felice ma perduta.

Poggio Umbricchio, grumo di case nella solitudine vasta e selvaggia della Laga, è descritto un po’ come l’Arcadia classica: una terra fatta di declivi impervi abitati esclusivamente da pastori e greggi; un luogo lontano e inesplorato dove vivere con serenità, distante dal trambusto e dall’alienazione delle città.

 

C.S.: Quanto è importante custodire il racconto dell’anziano, in un tempo in cui l’oralità si è trasferita nella mani che picchiano sulla tastiera del pc?

Fabio Petrella: In un mondo che ha digitalizzato anche le proprie radici, l’oralità ha le ore contate come una razza in estinzione. Il tramandarsi continuerà per via telematica, ma le meccaniche facciali e le espressioni taciute degli anziani, chiusi nel fascino del vernacolo invocato, saranno per sempre perdute; a meno che non si possa imbottigliare le loro vite in una grossa damigiana e fruirne anche fra cent’anni.
Purtroppo il mondo ci porta a dimenticare le cose troppo in fretta. Per fortuna ci sono ancora molti nostalgici a tenere in vita le memorie del passato.

 

C.S.: Poggio Umbricchio, oggi come in passato, ha conservato il rischio di uno spopolamento ormai divenuto realtà. So che la cosa ti indigna molto …

Fabio Petrella: M’indigna e mi getta nello sconforto. Il borgo vive un’esistenza transumante: gode a pieno dell’estate e si cheta con la luna di settembre, quando gli spettri della solitudine tornano ad aleggiare tra le sue vie color antrace. Purtroppo lo spopolamento è andato già troppo oltre per porvi rimedio, ma confido nella non irreversibilità del fenomeno. C’è il rischio che il paese diventi esclusivamente una meta turistica (in parte già lo è); ma una comunità non può vivere a strattoni. Il guaio principale è il lavoro. La gente è fuggita via in un contagio generale, in cerca di sostentamento. Senza lavoro la montagna muore. E in un quadro politico-sociale come quello attuale è ancora più drammatico, ahimè, sperare nel risveglio dei paesi. Ma non dobbiamo abbandonare mai l’idea di un “ritorno”. La ruota, di solito, gira.

 

C.S.: Nel romanzo hai inserito anche racconti intrisi di mistero: “cronache da non prendere sul serio, anche se nelle leggende, è risaputo, c’è sempre un fondo di verità.” Racconta …

Fabio Petrella: In tutti paesi si racconta dei poteri del libro nero, delle streghe che presidiano i crocicchi, dei fantasmi di assassinati in cerca di rivalsa, di leggendari tesori nascosti in chissà quale antro inaccessibile e di maledizioni temute e non rivelate. Sin da piccolo sono rimasto suggestionato da questa tipologia di storie – a ben vedere basate sui topoi della narrazione – che ancora oggi, nonostante il progresso e lo smantellamento di tutti i misteri, i vecchi ancora sussurrano a mezza bocca nemmeno fossero agenti del controspionaggio russo. In “Dove non arrivano i sentieri” ne ho raccontate e rielaborate un paio tra quelle che mi affascinavano di più; ma ho un grosso bacino narrativo da cui attingere, e chissà se un giorno non mi venga voglia di trascriverne ancora. Conoscendomi, penso proprio di sì.

 

C.S.: Hai presentato il tuo nuovo romanzo nel grembo del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga il 20 e il 21 Ottobre 2012, in occasione della 7^ festa della castagna “Lu ‘Nzite”, (il marrone di Senarica nel dialetto locale), organizzata dalla Pro Loco di Senarica, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Crognaleto, il Consorzio BIM Vomano-Tordino e la Camera di Commercio di Teramo …

Fabio Petrella: Una gran bella giornata e una grossa emozione. Presentare “Dove non arrivano i sentieri” – che se non erro è il primo romanzo ambientato nell’alta valle del Vomano – nel cuore del comprensorio, e alla presenza di personaggi e un pubblico di prestigio, è stato sicuramente un successo e una soddisfazione. Per questo motivo, devo necessariamente ringraziare il sindaco di Crognaleto Giuseppe D’Alonzo e il presidente della pro loco di Senarica, il dott. Sebastian Maiocco. Un ringraziamento speciale va alla comunità e alla pro loco di Poggio Umbricchio – e al suo inossidabile presidente Secondo Di Pietro – che hanno creduto in me affidandomi il compito onorevole di trascrivere parte della nostra storia, seppur romanzata.

 

C.S.: Fabio, Dove non arrivano i sentieri?

Fabio Petrella: In un luogo inviolabile, dove riposano le confederazioni dell’anima; probabilmente, seppur nessuno poi conosca effettivamente l’ubicazione, è uno spazio in quota, stretto tra vertiginose pareti verticali e lontano dalla civiltà. Alla fine dei sentieri si erge il nostro rifugio personale, e, a ben vedere, non è consigliabile tracciarne il percorso; la cosa importante è crederci, perché se non si ha fede nella sua esistenza non si mostrerà mai, nemmeno a chi è a guardia delle sue porte.

 

Written by Carina Spurio

 

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