Gara gratuita di Poesia e Racconti brevi “Toccare il cielo”

Regolamento:

1. La Gara di Poesia e Racconti brevi “Toccare il cielo” è promossa dalla web-magazine “OublietteMagazine” e dall’autore Cossa Carmelo.  La gara è riservata ai maggiori di 16 anni. La gara di poesia e racconti brevi è gratuita. Tema libero.

2. Articolata in 2 sezione:

A. Poesia (no limite di versi)

B. Racconti brevi (massimo una pagina di word)

 

3. Per la sezione A e sezione B si partecipa inserendo la propria poesia o racconto sotto forma di commento sotto questo stesso bando indicando nome, cognome, sezione alla quale si partecipa, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite, e con racconti editi ed inediti.

 

Le poesie ed i racconti brevi senza nome, cognome, sezione alla quale si partecipa e dichiarazione di  accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate.

 

Ogni concorrente può partecipare con una sola poesia e con un solo racconto. Ogni concorrente può partecipare ad entrambe le sezioni (A e B).

 

4. Premio:

N° 1 copia di “Toccare il cielo”, romanzo di Carmelo Cossa (2012, Robin Edizioni)

  Saranno premiati i primi tre classificati per ognuna delle sezioni.

 

5. La scadenza per l’invio delle poesie, come commento sotto questo stesso, bando è fissata per il 5 novembre 2012.

 

6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da:

Alessia Mocci (Dott. in Lettere, redattrice e critico letterario)

Rebecca Mais (Collaboratrice Oubliette)

Fiorella Carcereri (Poeta)

Luca Gamberini (Poeta)

Nino Fazio (Collaboratore Oubliette)

Giuseppe Giulio (Collaboratore Oubliette)

Luca Allegrini (Pittore)

 

7. Il concorso non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.

 

8. Si esortano i concorrenti per un invio sollecito senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.

 

9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione per email:concorsooubliette@hotmail.it indicando nell’oggetto “info gara poetica” (NON si partecipa via email ma direttamente sotto il bando), oppure attraverso l’account Facebook:

http://www.facebook.com/profile.php?id=100002075267230

 

10. La partecipazione al Concorso implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.

 

Info autore:

http://www.facebook.com/groups/249803251765527/

http://www.carmelocossa.com/index.php?pageid=124&pagina=rassegna_stampa&sezione=libri_poesie&libroID=3&fb_source=message

 

 

233 pensieri su “Gara gratuita di Poesia e Racconti brevi “Toccare il cielo”

  1. Con il presente, io Corti Raffaello, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
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    Il colore dei sogni
    Omaggio al Maestro Giorgio Morandi

    Di fronte a me una pagina bianca, è un assoluto, potrebbe contenere il tutto e il nulla. Traspare dal suo candore la nuda forza del tempo, l’opprimente peso dei ricordi. Mi osserva, e dal suo silenzio giungono urla che mi costringono ad impugnare la penna, affinché su di essa si crei quel contrasto cromatico di pensieri che mette in risalto nere tracce di vita su bianco sfondo di speranza.
    Socchiudo gli occhi, e cerco di penetrare quel candore come un artista di fronte alla sua tela.
    D’improvviso un tintinnio di vetri mi risveglia dal mio torpore, mentre un pennello dalla punta intrisa di bianco, si avvicina minaccioso al mio viso.
    Dopo il primo attimo di smarrimento, compresi di essere dentro un quadro, di fronte a me la figura di Giorgio Morandi che, con cura, sistema i suoi vasetti e le sue bottiglie per riportarne la fragile anima di vetro sulla grezza tela.
    Mi sento uno spirito perso tra le ombre leggere del colore e le sapienti mani del Maestro. Non posso restare, devo fuggire, uscire, spingermi oltre il perimetro mentale dell’Artista e della sua opera. Attendo che il Maestro si riposi un attimo mentre l’olio asciuga. Lui è qui di fronte a me, immobile, assorto, perso nei suoi colorati pensieri, nelle sue forme che ancora devono nascere e giacciono silenti tra le sue mani.
    Ne approfitto, esco dall’ombra della bottiglietta esagonale, a Lui tanto cara, e mi avventuro sul piano immaginario, dove sospese vivono le sue creature. È un attimo, perdo l’equilibrio e comincio a scivolare lentamente verso il bordo inferiore della cornice, mentre le mie dita lasciano graffi di colore indefinito.
    Ormai in preda al panico, urlo e mi agito, macchiando la tela, ma quando ormai avevo perso le speranze, ecco un tocco delicato di pennello seguito da un leggero brontolio del Maestro, che mi vede come una goccia che cola.
    Sono così catapultato dal fondo bianco della base, verso l’area superiore dell’opera, e mi ritrovo il corpo avvolto da un delicato colore avorio. Bella sensazione, peccato che soffra di vertigini, devo trovare il modo di ritornare sui vasetti, o almeno tentare di posarmi su quella scatolina ocra che mi piace molto, ma che vista da quassù sembra così lontana.
    Decido di affrontare le mie paure, e inizio la discesa aggrappandomi a campiture sporgenti di colore. È un viaggio metafisico, passo dopo passo su sdrucciolevoli azzurri, bianchi opachi, grigie ombre che tracciano profili come luce radente di primo mattino, ed eccomi infine di nuovo sul tavolo tra le adorate figure del Maestro.
    Devo pensare, cerco quindi un luogo in cui sedere e riposarmi, ecco, mi appoggerò a quella slanciata e bianca bottiglia che fa da contrappunto al vaso blu dello sfondo. Mi raggomitolo in cerca di quiete, mentre sento i passi del Maestro che si allontana. L’odore della pittura a olio, la confusione mentale, lo stress, tutto contribuisce a farmi scivolare in un sonno leggero. Sento le membra del corpo rilassarsi e la mia schiena abbandonarsi al sostegno della bianca bottiglia; d’un tratto il Caos !! Il mio peso, seppure infinitesimale come un tocco di colore, è sufficiente a rovesciare la bottiglia, che con effetto domino trascina con sé ogni cosa.
    È un delirio: cocci di colore sparsi su tutta la tela, macchie bianche, blu, ocra, si fondono in un disordine primordiale trattenuto solo dai bordi della cornice. Inizio a sbraitare: “ Ma cosa hai fatto … come hai potuto essere così imbecille?”. Non mi do pace e cerco di raccogliere e raggruppare quanto più possibile, prima che il Maestro ritorni. Ma è un lavoro inutile, brandelli di colore si appiccicano alle mani, ormai l’opera altro non è che una informe massa di astratti colori, una poesia straziata, un cielo senza più azzurro. Vorrei morire !!
    Mi aggrappo al collo affusolato della bottiglia bianca e, come naufrago rassegnato alla morte, mi lascio trasportare su quel mare di colori assenti, in balia di quelle ombre delicate che più non sono, se non la tragica raffigurazione della mia disperazione.
    Il mattino mi colse di sorpresa, un raggio di sole dalle persiane socchiuse sul giardino, tagliò la tela come una lama calda illuminando ciò che restava di quel mare morto.
    Sento dei passi, il Maestro apre la porta dello studio, il viso sereno e disteso in un leggero sorriso, sino a quando, giunto di fronte al quadro, rimane inorridito, bloccato, una statua di sale senza più parole.
    Io nascosto dietro i cocci bianchi della bottiglia lo osservavo, vorrei urlare le mie scuse, ma le mie mani che battono violentemente sulla tela, non producono alcun suono.
    Morandi esamina i suoi modelli, allineati e trasparenti come nuvole di primavera. Senza scomporsi, con una piccola lacrima che gli solca il viso, prende i pennelli, la sua tavolozza e ricomincia di nuovo, coprendo il suo dolore sulla tela con un bianco manto di colore, primitiva forma di sudario.
    E dal quel fondo nuovo, comincia a ridare vita al suo sogno e alle sue meravigliose visioni.
    Il telefono squilla violento e inopportuno, mi risveglio di soprassalto e apro gli occhi, di fronte a me la pagina bianca mi sorride, già sa che la storia è compiuta e attende con garbo che il mio tratto nero scivoli dolce sul candore dei nostri sogni.

    1. Io, Infante Maria Teresa , prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento

      OLTRE IL RIMPIANTO

      Pensieri inginocchiati
      chiedono perdono,
      hanno abortito e ucciso
      un battito nel petto;
      un’emozione nuova
      cercava la sua culla,
      in fretta soffocata
      nella sua veste bianca.
      Se esiste penitenza
      stanotte la pretende
      e cento ave maria
      non placano il rimorso.

      Sepolto è il mio tormento tra valli e piane antiche,
      dove ho lasciato il cuore ed ho piantato un fiore ;
      e un bacio rubo al grigio di una fotografia
      di negativo anfratto.
      E’ assenza che fa male, è brivido mai nato,
      è sale sulla piaga tra le mie mani vuote.

      Ed urlo il verbo al vento, schiaffeggio la marea
      che tronfia nella sera mi irride col suo sputo.
      Tra alghe ormai spirate tra le deserte baie
      cerco di ricucirmi la pelle nel tramonto
      e un’asola si schiude nella mia giacca stretta
      e un raggio prepotente affonda una stoccata.

      E’ alba che si affaccia
      sul molo della notte,
      è speme che riaccende
      lampioni in un deserto,
      e sterro il cuore mio ,
      spazzolo terra antica,
      un paio di scarpe nuove,
      lo porto a spasso dove
      sotto la coltre bianca
      rinasce ancora un fiore.

      M.T.I.

    2. Con la presente, io Maria Grazia Vai, invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

      TORNAMI

      Sotto a un pruno
      la vita sarebbe cresciuta ancora
      L’amore avrebbe scostato i rami
      e tu qui, dentro me
      a volermi ancora fra le tue gambe
      come uno sguardo infilzato
      tra i fili d’erba della tua mano

      Ti sfiorai le parole
      e divenni la bocca che sfama la sete
      La notte che illumina l’acqua
      delle tue attese
      M’insegnasti la gioia
      ed ebbi fame di nostalgia
      come certi risvegli di notte
      -improvvisi-

      Come pioggia nei cieli d’Agosto
      certi odori
      hanno ancora i colori forti
      di quell’attimo che cambia le cose.
      Quello in cui l’aria si fa tormento
      e voce
      di qualcosa che accadendo
      lascia ogni altrove.

      Lasciandoci appesi
      -come stranieri in cerca di una bandiera-
      dove le foglie gemmano
      anche d’inverno,
      tutto quello che non trovano
      dentro i cancelli del cuore
      -o i rami secchi
      di un mattino d’Estate

      dove attendo ogni sera l’alba del tuo ritorno.

    3. Con la presente, io Teresa Milluzzo, invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

      Il mendicante d’amore

      Dammi le tue mani per sentirne il calore
      e non sarò sola.

      Mendico anche per una singola carezza
      desiderosa di quell’antico sentimento
      che non vorremmo mai spento.

      Nell’anima o nel cuore
      sempre acceso,
      palpitante di gesti teneri d’amore;
      gentili come i riflessi su freddi vetri
      di un giorno invernale.

      Chiedo la tua bocca come sigillo
      per ogni parola non detta,
      testimone solo il silenzio,
      dove le parole si perdono
      e non hanno senso.

      Fiati, solo fiati e silenzi;
      voglia estrema di un desiderio proibito
      mai sfiorito;
      ramo spezzato, violentemente straziato
      da una forza impetuosa
      che non trova senso o ragione.

      Una prigione,
      di sensi repressi, chiusi in nome del candore,
      ricordo dell’onore del bianco virgineo,
      come latte di capra munto
      e bevuto in un solo sorso.

      Sul mio corpo i segni del rimpianto,
      tormentato da giuste sentenze
      o da nobili illusioni?

    4. con la presente invio la poesia per partecipare alla sez A e accetto le condizioni previste nel bando.

      ci salutammo un anno fa frettolosamente,
      non sapevamo che il destino ci avrebbe separato…
      troppo sicuri,
      troppo ostinati nella battaglia della vita.
      Dimenticammo facilmente gli anni passati insieme,le gioie,i dolori…
      sono qui a piangere e
      a ricordarti fratello mio

      1. io sottoscritta dichiaro di accettare il regolamento e di partecipare alla sezione A de concorso…

        Mi piaceva sentire la mia risata nella notte con te.
        Mi piaceva tenere per me i diversi timbri di voce,
        che nascondevano dolore,
        che liberavano gioia,
        che dipingevano il silenzio di un vuoto allegro.
        Mi piaceva la forma delle labbra che assumevi
        quando mi avvicinavo a te,
        preda e padrona sedotta,
        impigliata tra le gabbie di un respiro mai interrotto.
        Mi piaceva il verso delle fossette,
        lune di carne in mezzo al viso,
        roseo confine oltre il baratro,
        cuscino di fiori appena colti.
        Mi piacevano le risate dopo l’amore,
        e anche prima di colpire la tua anima.
        Mi piaceva il silenzio nelle mani
        e il calore con cui stringevi le dita.
        In un buio amico,
        in sorrisi mai spenti,
        in cicatrici mai chiuse… c’eri tu !
        Mi piaceva ancora che sorridevi,
        un crepuscolo sul mare calmo…

    5. IO Anna Alfano partecipo alla sezione A
      DICHIARO DIACCETTARE IL REGOLAMENTO

      Luna
      Nel tuo pieno splendore
      Penetri nelle visceri della terra
      Svegliando semi dormienti
      Tu luna che scrivi la storia
      Complice del sole giochi la notte e il giorno
      Scandendo l’ora e minuti affili i ritmi della terra
      L’uomo ti guarda gestendo un ansia di sopravvivenza
      Tu luna che cali e cresci non a caso il sole fa da padrone
      Modifica il tuo aspetto ti rende triste e gaia
      Insieme senza inchiostro scrivete la nostra storia
      le nuvole il vento,la pioggia, fanno da messere
      mentre l’umano gira il volto chiudendo l’uscio al buio
      cambi la tua forma di falce aspettando il sole
      con I suoi raggi dorati mostra la tua pienezza
      mentre l’umano semina e raccoglie
      la terra ti ringrazia per la tua luce partorendo fiori e frutti.
      La donna concepisce con la tua forza
      I vigneti alla tua parola per mosti da brindare,
      con te alziamo il calice e brindiamo
      a te ringraziamo per l’emozione che ci dai.

    6. io moreno centa, chiedo di iscrivere la mia poesia nella sez A
      DICHIARO DI ACCETTARE I TERMINI DI REGOLAMENTO

      Folla di ricordi

      Accordi inebrianti
      nel’infinita vetrina del mare
      tra gocce di stelle
      e bianche spume

      Pulviscoli cristallini
      emergono
      nello strappo del vento
      incipriando l’orizzonte.

      Schegge di pensiero
      danzano
      ornando il diadema
      dorato dell’alba.

      Nel vento
      sento il respiro
      che si specchia
      cullandosi sulle increspate onde,

      una folla di ricordi
      preme al petto
      una rosa bianca,
      tingendola di rosso.

      Sotto lo sguardo
      di un sole
      passante.

      Moreno Centa

    7. Accetto il regolamento e autorizzo il trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003
      Filippo Salvatore Ganci

      Un poeta

      Lasciate

      Che l’acqua scorra sulla pelle

      come il tempo che passa

      e le stagioni mi scordano

      In una stanza segreta.

      Io non so chi ero

      voi lo saprete domani

      Addio negata realtà

      cercata nell’anima buia

      scrivo la luce catturata

      dal mio cielo in tempesta

      non piangete voi…

      sorridete!

      Io sono finalmente

      quello che volevo

      Un poeta!

    8. UNA STORIA DA RACCONTARE

      raccontami una storia,

      io non so che dire,

      vorrei ascoltarti

      guardandoti negli occhi

      vorrei lenire il tuo dolore

      farti cancellare il passatol

      vedere il sorriso sul tuo volto.

      Io non so parlarti d’amore,

      descrivere un sentimento

      ma vorrei la felicità

      nel tuo cuore

      che ha sofferto e soffre,

      farti dimenticare quel giorno.

      la lotta tua per vivere,

      i sogni tuoi distrutti

      e il tuo silenzio

      mentre nella tua testa

      rimbomba la violenza.

      Racconta questa storia

      parlarne ti farà bene

      sfogarti e piangere

      t’asciugherò le lacrime

      anche se non ho un fazzoletto.

      DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    9. Campi

      Le parole d’amore
      tenere
      ondeggiano
      come campi di grano
      papaveri e fiordalisi
      sono i baci
      che mi hai dato
      nel silenzio della notte
      il movimento ondivago
      dei nostri corpi
      ha disegnato
      paesaggi di sogno
      come dune nel deserto
      argentate dalla luna.

      (maria pina santoro)
      accetto il regolamento – sez. A

    10. io Anna Alfano invio il racconto breve per la sezione B inoltre
      dichiaro di accettare i termini del regolamento

      IL TORMENTO PER LA PACE PERDUTA
      In questa notte uggiosa, tutto mi tace attorno, riesco appena a vivere qui.
      Stanotte non sentivo la fatica di esistere
      la mia vita non ha senso,la calma sta sopra ogni cosa
      Ci sono le mie ombre lungo gli spigoli diafani,
      ci sono le mie memorie lontane, i miei riscatti vinti,
      le discordie represse,il mio futuro saturo delle tue bestemmie
      Sono stanca, non ha più senso cercare altro.
      Adesso sono nel mio tempo. Mi cerco m’interrogo
      dove potrei essere?ormai le mie scelte mi hanno imprigionata
      non mi ritroverò mai più, perché sono come polvere al vento,
      mi sento un fantasma indesiderato, scelta per soffrire
      mentre avevo la mia pace.
      Ti ho detto si,unico mio desiderio amarti ed essere amata.
      Purtroppo mi sono accorta che per te sono solo un sordo rimbombo,
      che vibra sotto le stelle coperte da occulte tenebre,.
      Osservo il tuo sonno vedo i fantasmi, le tue voglie impossibili.
      Il tuo volto sereno nei rari momenti della notte.
      Convivi con un diabete che danza nel tuo corpo senza darti tregua.. ecco il mio tormento, il saperti soffrire,
      Ogni tuo passo l’ho accompagni con le imprecazioni per la mancanza di stabilità che brucia la tua voglia di vivere
      Stasera mi sento sola con le tenebre, sono quella che a notte si ritrova immersa nella speranza di un giorno diverso.
      Fisso la finestra immagino un’alba serena pregando Dio imploro la nostra pace.
      Ecco Io sono di queste notti silenziose, sono il viandante della mia acerba età.
      Spesso la forza del mio petto sconfina oltre il perdurarsi delle emozioni e cerca di esplodere nei suoi tormenti estremi.
      Quando tutto si erge a possibile stralcio di esistenza amorfa.
      Allora come un’onda ignota sento l’angoscia aggredirmi, una sensazione occulta sembra straripare nel nulla i miei sogni.
      Stasera mi sento più vicino al cielo e sento invadermi di stelle senza luci ma un vaga speranza fende l’aria.
      per sventrarmi nell’ignoto contro una maestosità perpetua.. la tua inesorabile voglia di bestemmie e imprecazioni violentano la mia voglia di esistere non passo giorno che la croce del mattino non mi privi della serenità perduta
      A sera raccolgo le mie forze per curarti, lottando contro occulti fantasmi abbraccio le tue croci.
      Ecco la mia inutile esistenza unico riscatto prendermi cura di te alleviando le piaghe del tuo corpo.
      Mentre tutto ciò che ti circonda è amorfo e inquieto la tua anima vacilla tra il bene e il male
      Mentre ti sorreggo senza porgere la guancia al muro del pianto.
      Annullando tutti i miei sogni che tu uomo egoista per il tuo soffrire hai soffocato.
      I tuoi mali ti rendono cieco esplodi come un uragano senza curarti delle ferite inferte.
      Mentre ti osservo nei momenti di quiete vorrei fermare il tempo
      Ma ciò mi è negato basta un niente per seppellire la mia pace.

    11. Racconto Gotico
      Alse portava la sciagura dentro. Il suo odio profondo per il genere umano e la vuotezza di sé, l’aveva sperimentata ormai in molti modi. Si avviò verso lo studio del dottor Santini. Sentiva dentro i latrati della “bestia” che da anni la divorava dal di dentro: un ghigno si disegnò sulla sua faccia arrogante e segnata dall’orrore del tempo. “Libererò i cani”-pensò- e questo pensiero risuonò forte e metallico nell’aria pungente del mattino. Si avviò, stringendosi nello striminzito cappotto,ormai troppo liso per coprirla davvero ma da cui non si separava mai, neppure quando il caldo pesava sulla sua pelle e lei non lo sentiva.
      Guardò il cielo. Uno stuolo di corvi, nero come l’orrore che sentiva dentro, si levò nell’aria. Il loro gracchiare ferì le sue orecchie. “ Sono come me , pensò… sono come me! E io sono come loro: anche io mi nutro delle carogne degli altri, quelli che svuoto dal di dentro, quelli in cui mi nascondo perché mi diano la forma che non ho!”. Pensava questo mentre si dirigeva verso lo studio dello psichiatra che da anni, ormai, cercava di dare un senso al suo esistere. “ anch’io come i corvi,distruggo i raccolti che altri pazientemente hanno piantato, che amorevolmente curano… il mio cibo è la rabbia,il mio cibo è la vendetta, il mio cibo sono i residui della vita degli altri, quelli che spio ogni giorno ormai da anni,dalle finestre o mentre cammino per strada”. Si, pensò, sono come loro … e guardò i corvi che volteggiavano nel cielo.
      “non ho sostanza se non quella che rubo dalla vita degli altri”… all’improvviso la sua immagine riflessa nel vetro di una finestra la ridestò dal rimestio dei suoi pensieri.
      Inorridì, le sembrò che dalla sua imagine si materializzasse una muta di cani rabbiosi, latranti… come impazzita dinanzi all’orrore che per la prima volta, dopo anni, vedeva riflessa nell’immagine di sé.
      “E’ la mia nemesi” si disse, scrollando le spalle… il cancello della clinica psichiatrica dove l’aspettava il dottor Santini, si aprì con un cigolio funesto…

    12. Con il presente, io Carmen Pistoia, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
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      IL CIECO E LA FANCIULLA

      Ogni giorno,Omar un non vedente,si recava al porto per la sua solita passeggiata pomeridiana. Sedeva sulla panchina e ascoltava la voce del mare. Un giorno il suo udito catturò un suono diverso,sembrava un lamento,come se qualcuno stesse piangendo. Fece attenzione,e grazie al suo sviluppato senso dell’udito dovuto alla cecità,capì che si trattava di una ragazza. Lei non parlava, rimaneva nel silenzio e piangeva. Omar ascoltava il suo pianto e penava. Riusciva persino ad immaginare i tratti del volto della fanciulla,ne vedeva gli occhi,il carnato chiaro come la luna,i lineamenti delicati,ma soprattutto le lacrime copiose che versava ogni giorno. Ogni pomeriggio,Omar rimaneva ad ascoltarla e imparava qualcosa di lei,e lo faceva semplicemente ascoltando in silenzio la voce della sua anima mescoltata con le onde del mare.
      Trascorsero mesi prima che Omar riuscisse a prendere coraggio e avvicinarsi alla fanciulla,ma un pomeriggio,stanco della pena che udiva nel cuore di quella ragazza decise di farsi avanti e parlarle.
      Le sedette accanto e le disse: “non si è mai veramente soli piccola,c’è chi ci ascolta nel silenzio e comprende il nostro animo. Perdonami se ho origliato i tuoi pensieri,ma ero li e la voce del tuo cuore ha bussato prepotentemente al mio. Ti ascolto da mesi,ho compreso la tua solitudine,la profondità dei tuoi pensieri che non trova casa in nessuno,e son rimasto qui in silenzio a far compagnia alla tua anima affinchè potesse scorgermi. Ricorda piccola,spesso la vera cecità è dentro noi e non ci permette di vedere che in realtà non siamo mai davvero soli. Prova a guardare il mondo attraverso i miei occhi,e se vorrai,sarai in grado di catturare sfumature di colori che mai hai potuto vedere prima d’ora. Ora asciuga le tue lacrime,afferra la mia mano e prova a camminare con me,sentirai pian piano i suoni che ti circondano avvolgerti e mai più sola sarai “.

    13. Emanuela Di Caprio – sezione A – Accetto il regolamento
      Vorrei

      Vorrei, per farmi amare
      capelli di seta
      e occhi azzurro mare,
      e un gelido sorriso strafottente,
      sicura d’essere già vincente.
      Vorrei ora tornar sottile
      come a vent’anni,
      e a te offrire la mia bellezza
      nella sera andata persa
      come una dolce brezza,
      che all’improvviso
      si allontana,
      vorrei avere una pelle d’alabastro,
      ballare a piedi nudi sulla pista
      di una rotonda sul mare,
      e correre nell’acqua d’inchiostro,
      vorrei la grazia ormai sfuggita
      come sabbia tra le dita.
      Ed essere di pizzo vestita,
      come una peccatrice
      lasciva e capace
      di dare insaziabili emozioni
      e abbracciarti dolcemente
      ma sicura e bella
      come nella tua mente
      una donna dipingi.

    14. Emanuela Di Caprio
      Sezione B Dichiaro di accettare il regolamento

      NELLE’ERA DIGITALE

      Nell’era digitale ti adoro e ti amo sullo schermo di un computer, languida ti ammiro nel tuo incarnato fatto di pixel, mai stanca ti cerco, senza far rumore mi appari, piatto e sfuggente sempre uguale senza dire mai niente. Inanimato ti accolgo nelle mie braccia, così ti sento infinitamente mio e tu continui a illuminare le mie notti con l’artificio del calcolatore, mai stanca ti voglio, così, inerte per sempre.
      Lo so, sei di tutti gli utenti, me non senti il mio amore correre nella rete? I tuoi occhi mi guardano e mentre fai altre cose il tuo avatar mi tiene compagnia, mi ama, mi corteggia, mi fa sentire regina. Inconsapevolmente sei mio, come la luna regna sulla notte, tu appari mostrando sempre una meravigliosa e splendida faccia, mi illumini e mi scaldi, mi fai sognare altre notti passate, altre notti illuminate, altre lune lontane, ballate sulle rotonde del mare, dolci estati proibite, di storie d’amore finite.
      Ora mi accontento del tuo viso virtuale, scopro a volte una ruga in più, stai invecchiando, sei bello e altero, un viso da guerriero, il tuo sguardo suadente mi penetra spudorato, quasi ammiccando mi prometti avventure di fuoco, ma solo per poco. Poi ritorni come sempre finto e spento, mi pento, di averti guardato e ammirato in silenzio, solo un’immagine on line…
      Ora allargo la tua immagine, i tuoi occhi si fanno più vicini, ormai formati da soli quadratini d’un grigio strano, ti amo! Entro in un pixel quadrato, mi sento parte d te, m’inebrio della tua assenza e godo della tua finta presenza. Mi ami abbracciandomi, il cursore trema emozionato, mai così ti sei dato, quanti meravigliosi bit e byte ti hanno concepito! Ora sei mio, ti metterò nel mio archivio e sarai mio per sempre! Ogni volta che vorrò ti richiamerò dalla mia memoria e ti ammirerò, forse ti stamperò, prenderò quel foglio e me lo stringerò al petto, lo bacerò e lo bagnerò con lacrime vere.
      Adesso amami, circondami con il tuo sorriso fermo e sempre uguale, sento le tue grandi mani prendermi la vita, chiudo gli occhi, è una gioia infinita, ignoro cosa sia la vera vita, questa ormai è la mia, ti vorrei portare via e sottrarti alla visione del mondo intero, ti vorrei ora con me, sento il tuo abbraccio finalmente, penetri con violenza nei miei pensieri, sei audace, ti sento ora così vicino, mi ami davvero.

  2. Il Gabbiano

    Il gabbiano
    imita
    per burla
    l’umana voce.
    Io emulo
    il volo suo
    con il volto serio
    e le mani trepidanti.

    Poesia pubblicata nel libro “I segreti delle orchidee” di Mara Giglio (distribuzione La Feltrinelli ed ilmiolibro.it).
    Copyright del testo “Il Gabbiano”: Mara Giglio. E’ vietata qualsiasi riproduzione di questa poesia senza l’autorizzazione dell’autrice. Mara Giglio chiede di partecipare al concorso di Poesia “Toccare il cielo – sezione A”. Ne accetta il regolamento ed autorizza il trattamento dei propri dati personali ai sensi del D.lgs. 196/2003

  3. Stat ua di sale
    Sanguinava nel suo abbraccio
    lei… statua di sale,
    senza liquefarsi.
    Mutilata nel desiderio,
    bloccata dalla paura,
    inibita dalla coscienza,
    sorda a un gemito
    che si strozzava
    prima che lei credesse
    di averlo udito.
    Odono forse le statue di sale?
    Sentono la paura di liquefarsi.
    Ha temuto dunque!
    Ha scelto d’essere
    molo d’ormeggio,
    tacita ancora di un imprevisto,
    senza occhi, né orecchie, né mani.
    Le è rimasto appiccicato
    il calco del suo abbraccio,
    lei torta e lui teglia,
    lui fiume e lei alveo.

    poesia di Claudia Piccinno,edita da Aletti 2011 in “La sfinge e il Pierrot”
    Si chiede di iscrivere la poesia alla sezione A e si accetta il regolamento del presente concorso.

  4. Io sottoscritta Rosi Guerino accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A

    LA RAGAZZA E IL CANE

    Antichi ululati mi par udire,
    provenienti da remoti tempi,
    Branchi ordinati disperdono disordinati greggi
    e l’essere umano lo chiamò LUPO.
    Da quel lontano seme evolse
    quel prezioso compagno che è il cane.
    Fedele, amorevole, servile, giocoso,
    innumerevoli i pregi per chi
    abbandoniamo, sezioniamo, maciulliamo
    in nome della bestia UOMO.
    Tu che attendi giorni per una carezza,
    ad alcuni di noi basta un attimo
    per distrugger la tua vita.
    Mi piace pensare che assisi al chiaro di luna
    una ragazza ed un cane vicini,
    fantastichino su amori e antichi richiami.

  5. SEZIONE A

    Io sottoscritto, COLACRAI DAVIDE ROCCO, accetto il regolamento della presente gara poetica.

    E vide la sua luce un angelo

    Lambiva il suo ventre gonfio
    del seme della terra con uno stelo
    di fieno una madre e su un cielo
    orlato di preghiere si affacciava
    con i suoi occhi di mare

    era il canto liliale di un fiore di
    camelia al vento l’attesa

    un’altalena di nuvola verso sogni
    umidi d’anima e il Signore lassù

    era il bandolo aulente di una
    eternità proteso verso l’aurora
    di un germoglio.

    Era l’attesa di una madre che
    alitava tra ciuffi d’erba lontani dal
    ciglio dove delle foglie dei meli si
    disegnava l’argento.

    E dal ventre di carne di vita
    al fiato commosso del cuore di
    madre
    sulla scia dei semi di sogni e
    preghiere
    in un giorno profumato di sangue e
    di vino vecchio
    al canto di un nuovo risveglio del
    tempo
    al tremolare del ramo del giorno
    vide la sua luce un angelo.

  6. Maurizio Spreghini sez. A .. Accetto i termini del concorso

    UN SOGNO PER L’ANIMA

    Un sogno,
    in un attimo dove tutto
    rimane nella semplicità dell’essere,
    e laddove ognuno appare e non appartiene …

    A nessuno è data l’opportunità,
    scalfendo con effimeri spergiuri
    la consistenza dell’essere ,
    varcando la soglia del desio proprio..

    Tutto taccia,
    nell’attimo in cui ogni anima
    libera dal corpo naviga,
    fluttuando nel mar del proprio Io …

    Incontri notturni dove solo le tenebre ci accompagnano… Solcando argini ancora pronti a germogliar ….

  7. Leonardo Cantoro – Sezione A – ACCETTO IL REGOLAMENTO

    CIELO

    Oh cielo! Tu che come me
    cambi forma in ogni istante,
    che oggi sei sereno
    ma di nuvole ne hai tante.

    C’è silenzio in questa stanza
    dove nulla ha più importanza,
    è una notte come tante
    ma tu sei sempre più distante.

    Solo la pioggia fa rumore
    è una gran consolazione,
    come una canzone
    che da sfogo all’emozione.

    *** …Sono il vento che sussurra è non parla,
    il sole che irradia e riscalda,
    la luna che nel buio è sola
    ma ammirabile ad ogni persona!***

    Oh cielo! Tu che sei immenso
    come lo è poi l’universo,
    ricoperto di puntini
    dal colore giallo intenso.

    Illumina il mio viso
    come fossi in paradiso,
    insegnandomi una strada
    da seguir comunque vada.

    E mentre aspetto che ritorni
    i pensieri si fan storni
    che chiassosi volano via
    rattristendo la mente mia.

  8. Autore: Lella Pintus – Partecipante per la Sezione B – Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso-
    Titolo: Verrà la morte
    *****
    ..ispirato alla storia d’amore tra Cesare Pavese e Constance Dowling, attrice di Holliwood.
    *****

    Constance apre gli occhi allo sbattere della porta e subito li richiude rassegnata.
    – Solo un altro che fugge – Il suo letto non è riuscito a trattenere neanche lui oltre le prime luci dell’alba.

    Anche lei è fuggita; da braccia strette come catene, da corde di lenzuola che hanno lasciato solchi sulla sua pelle.
    Lei fuggì un pomeriggio progettato in giorni d’asfissia. Nella valigia impolverata da mesi di inutilizzo, sistemò le sue vestaglie di seta, gli abiti perfetti per il sogno che avrebbe realizzato altrove, non in quella cittadina di provincia, non nell’ora d’aria che Cesare le concedeva, tra un abbraccio e l’altro.
    Solo due righe su un foglio troppo grande che lasciò sul tavolo all’ingresso, all’ombra delle rose che lui le aveva regalato la sera prima.
    Uscì senza voltarsi, inconsapevole, non potendo immaginare che in seguito, in quella stanza, ci sarebbe ritornata ogni notte, con il carico del rimorso, molto più pesante di quella valigia.

    Si erano conosciuti ad una festa, tra attrici e intellettuali amalgamati da una sera d’estate, lui era tra gli antipasti, su un tavolo che chiamava la fame di Constance. Lei era un pianeta azzurro nel cielo di stelline che popolavano la stanza. Cesare non smise mai di domandarsi com’è che entrò nella sua orbita. Le servì vino e se stesso, nello stesso calice. La rapì ad un altro desiderio e senza sapere mai con quale mezzo la persuase a seguirlo.
    Per qualche tempo volarono insieme; lei mise a riposare i suoi progetti, lui coltivò il sogno di quell’amore, di quella terra sconosciuta e ardente che chiedeva acqua. Lei era la più bella delle sue poesie, il romanzo mai scritto che abitava le sue dita, la sua luna e il suo falò, nella spiaggia dei suoi sogni.
    Ma Constance conservava intatto il desiderio di raggiungere la fama che la sua bellezza e il suo talento meritavano. Fu felice di comunicargli che le avevano proposto una parte importante a Hollywood.
    -Non vedi che approfittano di te? Vogliono solo rubarti l’anima.
    Lui no, non voleva rubarle l’anima, solo perché non ci arrivava alla sua anima, altrimenti avrebbe preso anche quella, pensava Constance.

    Erano solo un sogno di cristallo, troppo fragile per resistere al vento delle aspettative di Constance. Si ruppe senza che Cesare ne sentisse il rumore. Si ferì con i cocci taglienti di quel biglietto che aveva trovato sul tavolo.
    – Devo andare – Diceva Constance – Mi spiace, abbi cura di te –

    Odiò se stesso per non essere riuscito a fermarla, per non aver previsto quel momento. La cercò tra le lenzuola, respirò per giorni il suo profumo sino a consumarlo. Quando non restò di lei che un relitto sul fondo della sua anima tornò al suo antico amore: il tormento. Forse cominciò a scrivere per raggiungerlo, per percorrere la distanza che li separava. Lui era lì, sempre più vicino, corpo da colpire, da punire. Non era amore ciò che descrisse, non era speranza, nominata invano. Si arrese senza più combattere, con l’arma della sua arte ancora stretta in pugno.

    Ora Constance non riussce a fuggire da quella porta, aperta per ricevere amore da aridi sconosciuti che pur superando la soglia del suo consenso non trovano riparo nella sua pelle calpestata dal passato, né rifugio in quegli occhi in cui si riflette la morte del futuro. Legge e si rispecchia in quelle parole liquide che hanno corroso la sua vita.

    Verrà la morte e avrà i tuoi occhi/questa morte che ci accompagna/
    dal mattino alla sera/insonne/sorda/ come un vecchio rimorso/o un vizio assurdo.
    I tuoi occhi saranno una vana parola/un grido taciuto/un silenzio….

  9. Il Poeta

    Un poeta ha l’anima in subbuglio
    la mente frastornata
    e spesso è confuso
    si distingue in ogni suo gesto
    vive in un mondo a parte
    che riconosce a stenti …
    un mondo magico
    che non possiede logica
    ma realtà diverse
    da tutti quanti gl altri,
    spesso è lasciato solo
    deriso…confuso…
    perchè chi può capirlo?
    allora ride e piange
    e parla con se stesso
    da solo in una stanza
    ascolta la sua anima
    immerso nel silenzio
    si siede lì in un angolo
    impugna carta e penna
    e poi completa l’opera
    di un altra poesia.
    Copyright2012Giambattista Ganzerli
    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

  10. SEZIONE A

    Io sottoscritta, Francesca Ghiribelli, accetto il regolamento della presente gara poetica.

    Briciole di sogni

    Ho bisogno di silenzio
    Per parlare di te
    Al tempo.
    Ho bisogno
    Di disegnare cornici
    nel cielo
    fatte dal velo delle spose
    per ritrovare
    un po’ di te
    in nuvole d’altrove.

    Ho bisogno
    Di seminare
    La luce delle stelle
    Per far brillare
    Di lucciole
    Le tue spente lanterne.
    Ho bisogno
    Di evocare
    Il nome di qualcuno,
    che possa inventare
    il coraggio della pioggia
    per far piangere
    la sperduta isola del mondo.

    Ho bisogno
    Di cullare un attimo
    il respiro della luna
    per scrivere la fantasia
    che la poesia porta
    sull’incresparsi
    della laguna.
    Ho bisogno della notte
    Per narrarti sottovoce
    Tutte le favole
    Che il mio amore sussurra
    a fate zingare
    Di briciole di sogni.

    Francesca Ghiribelli.

  11. SEZIONE B

    Io sottoscritta, Francesca Ghiribelli, accetto il regolamento della presente gara poetica.

    UN CASTELLO SUL MARE

    Una farfalla sfiora una duna di sabbia e nessuno saprà mai il suo segreto. Quello speciale librarsi libera e leggera come lo stupito occhio della sera. Essa volerà altrove dove l’inquietudine di un cuore che ama rende la vita più profana: laggiù arriverà nel punto in cui l’anima sorseggia un’ultima ombra di luce e poi unirà le sue ali all’insaputa dell’avventura, che il cuore affronta senza paura.
    Di uno strano vestito si inebria l’atmosfera, mentre la polvere delle nubi intinge le sue ciglia nel dolce navigare di una chimera.
    Da terre sconosciute sentirai melodiose arpe riscuoter la giovane voce dell’esistenza,ma soltanto per un attimo vedrai comparire sulla via smarrita un paesaggio lontano.
    Sembrerà il misterioso e sottile bacio di un sogno: avrai una spiaggia per mondo e per lunghi capelli le bagnate schiume del mare.
    Le conchiglie saranno orecchie in ascolto di ciò che non è stato detto,mentre la mente danzerà fra gli scogli che sorrideranno di sale.
    Soltanto questo piccolo gioco che l’immaginazione ci regala, anche per un solo istante, riuscirà ad allontanare i fantasmi di un tempo, perché in un angolo possiedo un castello di sogni, che brucerà di passione i fogli scritti dal presente per poter riscrivere un futuro pieno di scoperte.
    Vivrò l’infinito amore per stazioni mai conosciute e in ognuna di esse avrò un castello sul mare.
    Un maniero di sogni per un mare di fantasia.
    Mi ritrovo ladra del tempo per poter sognare in eterno.

    Francesca Ghiribelli.

  12. Autore: Cesare Fontana – Partecipante per la Sezione B – Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso-tutti i diritti riservati

    Riposo all’Alba

    Ho abitato tutti i sentieri de mondo
    Rendendoli polverosi al solco lasciato

    Ho invocato i timori del cielo
    Disturbandoli nel riposo di albe serene.

    Ho implorato la scomparsa di attimi di disorientamento della mia anima
    Perché terrorizzato dal varcarli di corpo nudo.

    Ho illuso il mio futuro
    Immergendolo in brevissimi istanti di vacui ed eclettici sorrisi.

    Ho smorzato toni docili al tatto
    Quando nella tristezza di ore,avrebbero dato dolce suono al mormorio dei tuoni.

    Se una radice d’albero recisa nella sua forma,
    Sostiene ad oltranza il fusto cui dette vita,
    Allora sarà solo la mia alba a dettarmi pausa.

  13. MARINA SIROLLA 2/10/2012- SEZIONE.A,ACCETTOIL REGOLAMENTO DELLA PRESENTE GARA

    Chi mi leggerà

    Scrivo per raccontare
    di come vivo e non sempre
    di ciò che mi manca,
    di quanto so dare,
    o di quanto ricevo.
    Scrivo per dare emozioni
    o emozionarmi sempre
    e comunque l’unica arma che ho.
    Inseguo le parole le afferro
    le circondo di pensieri,
    come spinta da un soffio,
    muovo la mano sul foglio.
    che può darmi più di quanto penso.
    Scrivo comunque
    non importa se sto
    correndo oltre al di la,
    di un muro invisibile.
    Parlo come so
    racconto i giorni le notti
    lunghe che non passano mai.
    Scrivo ugualmente
    anche se nessuno esaudirà
    le mie timide richiste,
    un sogno un sorriso o una carezza.
    Racconto come riesco
    ha capire un piccolo gesto,
    scrivo lo stesso
    e parlo di come va.
    Guardo il mondo
    che mi dona emozioni,
    non si sa mai
    che qualcuno legga
    e pensi a me,
    o un giorno li rileggo
    io stessa con un brivido d’emozione.!!

  14. Mi hai lasciato un segno

    Mi lascio
    dietro uno
    strascico
    di amarezze e delusioni
    ho provato rammarico
    per qualcosa che mi ha delusa
    quanto vorrei tornare indietro
    e riavvolgere la moviola della vita
    ho esaurito le energie
    per combattere ho scoperto
    risorse inaspettate!
    Mi hai lasciato un segno
    dentro
    e l’amarezza
    non è facile…
    cio’ messo del tempo a capire
    a capirmi
    preferisco soffrire,
    il mio vagare
    mi lascia senza fiato
    mentre inseguo
    un volto
    tra le maschere ….
    il tuo.

    Virginia Spagnolo
    accetto il regolamento
    sezione A

  15. Roberto Giorgi, accetto il regolamento
    Sezione A – poesia
    roberto.giorgi@inwind.it

    Sogno

    Tenue sensazione che da dentro sale
    unica luce nella miseria umana
    unica ricchezza di coloro che sono ricchi di spirito.
    Irragiungibile e pura storia d’amore
    che silenziosa esce dall’anima
    avvolgendo il corruttibile corpo.
    Raggio proteso verso altri sensibili sentimenti
    che come una fiamma di candela
    altre candele accende
    di vivida fiamma d’amore.
    Pallido raggio di luce argentato
    che se non accolto ritorna,
    per avvolgersi come una spirale
    su colui dal quale sorse
    ed in un ultimo lampo libera, la visione
    di ciò che non è mai stato
    umano e divino sogno.

  16. PAROLE

    Mute,
    le parole si rifugiano
    nelle tane dell’orgoglio.
    Hanno piedi di piombo
    e ali pesanti
    le signore della vita.
    Con veli scuri
    popolano le stanze,
    origliano sotto gli angoli delle porte,
    si nutrono di affannati sospiri.
    Culture sovrapposte
    le spingono ad uscire
    ma limiti senza ordine
    ostruiscono la via.
    Hanno vita breve
    come gli entusiasmi…
    sono d’aria
    e come venti malsani
    uccidono popoli interi.
    L’antitodo,il silenzio.

    Sebastiano Impalà accetto il regolamento
    sezione A

  17. Io sottoscritto, Marino Monti, accetto il regolamento della presente gara poetica. Sezione A

    39 – Io controllo il tuo sonno

    Stanotte, in questa notte di vuoto, tutto mi tace
    attorno ed io riesco appena a vivere qui.
    Stanotte non sento la fatica di esistere
    e la mia vita non ha fretta. La calma sta
    sopra ogni cosa. Ci sono le mie ombre lungo
    gli spigoli diafani, ci sono le memorie lontane,
    i miei riscatti mancati, le discordie represse,
    ma non ho più il senso di cercare gli altri.
    Adesso sto nel mio tempo. Cercami dove sono
    e dove potrei essere, ma, dove io mi mostrerò,
    non mi troverai, perché sarò come polvere al vento,
    come un fantasma indesiderato, avrò tutto di me
    e sarò come un sordo rimbombo, il suono di una campana
    che vibra sotto le stelle. Io controllo il tuo sonno,
    guardo i tuoi fantasmi e le tue voglie eccessive.
    Sono quello che, al mattino, ti scopre infreddolita
    a fissare la finestra. Io sono di queste notti silenziose,
    sono il viandante della mia fragile età. Spesso
    la forza del mio petto sconfina oltre il perdurarsi
    delle emozioni e cerca di esplodere nei suoi tormenti
    estremi, quando tutto si erge a possibile stralcio
    di esistenza amorfa. Allora come un’onda ignota
    sento le mie stanze aggredirmi, vedo una gioiosità
    fugace in queste tenebre che nella notte sembrano
    straripare nel nulla. Stasera mi sento più vicino al cielo
    e sento invadermi di stelle e mi resta nel cuore
    un vago senso di pensiero che fende l’aria per sventrarsi
    nell’ignoto contro una maestosità perpetua di violenza.

    di Marino Monti 2012

  18. Sentimenti e polvere
    12/06/2007 archiac

    Sentimenti e polvere,
    la luce filtra granelli e li lascia passare da
    un universo all’altro,
    il mio cuore si apre e si chiude
    come una medusa.
    Sentimenti e pietre,
    insetti cercano la loro prigione per ibernare,
    l’oscurità li inghiotte
    e li fa sprofondare in improbabili
    visioni, piccoli personaggi
    di sogni malati, deliri.
    Il mio cervello spinge e mi fa male
    come un brufolo maturo,
    forse vuole essere schiacciato.
    Sentimenti e polvere,
    la tenebra mi fa viaggiare
    tra spezzoni di pellicola rinchiuse
    dans ma boite craniene.
    Sentimenti e ferro,
    cancelli di chiusura tra particelle di spazio e di materia,
    alberi cercano di fuggire verso l’alto,
    ma sono lenti, e lasciano radici,
    la propietà privata li ha fatti prigionieri da tempo.

    Garofalo Gerardo
    accetto il regolamento
    sezione A

  19. con la presente io giuseppe laurora invio la poesia per la sezione a e accetto le condizioni

    svanisce nel nulla
    il suono silenzioso del pianto
    che scavava negli spazi bui del cuore
    a cercare il tuo nome
    per strapparlo dai ricordi e portarlo tra la pioggia
    ma non trova spazio
    duro e’ impenetrabile
    ti custodisce
    fragile diventa
    solo ad un tuo sorriso
    quando il tuo sguardo
    cerca di portarmi con te
    ma verso quell’orizzonte continuo ad andare
    tra un bicchiere di vino e sirene senza un canto
    scrivo e ti nascondo
    facendo finta di non amarti …..

  20. STRAPPI

    Si recide la scia di un ricordo
    l’iride è assente, un pozzo bianco
    per entrare nel piccolo male
    Così cade la testa al sogno nel mezzo
    e dita a grappoli stridono sulle lenzuola

    Verrà un rimedio per eludere il freddo
    un momento da corpo estraneo
    viso lontano, preda di forme casuali;
    si rimargina piano un’emozione spontanea
    sponda concessa allo strappo

    Camminiamo sui numeri delle facciate
    si sono sbiaditi i nomi alle strade

    Rita Stanzione ©2012

    Sezione A del concorso (poesia)
    Dichiaro di accettare il regolamento

  21. Io sottoscritto Luca Villani accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A

    A GALLA

    Troppo calme ha le onde,
    come sabbia in un cantiere.
    Non c’è sale in questo mare,
    non emerge alcun piacere.

    Di sicuro è interessante,
    rinfrescante, rilassante.
    Sì, si tocca. Si sta a galla
    ma passione non s’installa.

  22. Sospesa è la notte 3

    Sotto un manto di stelle
    luminoso il silenzio
    di miliardi di luci,
    mi volgo all’infinito
    e guardo il mio stupore
    sollevarsi oltre la vita.
    Un giorno verrai piccola stella
    a posarti sulla mia mano
    e danzeremo sulla terra solitaria
    finché vorrai danzare
    tu che mi fosti amica
    nel giorno che mi vide
    ancor muta di parole
    entrare nel mondo,
    io sarò con te e verrò nel tuo splendore
    ad abitare il cielo.

    (poesia pubblicata su youtube in videopoesia di Letizia Lo Prete. Partecipo alla sezione A di questo gara gratuita di poesie dichiarando di accettarne il regolamento. Distinti saluti, l’autrice.

  23. SEZIONE A
    Io sottoscritta, ROSANNA LOCONTE, accetto il regolamento della presente gara poetica.
    Ti leggo..dentro..

    Amore e amico mio
    perduto,
    oblia
    la mente tua,
    emozioni vissute
    e vitali,

    cullato,
    da una parvenza
    di amnesia forzata,
    dal senso
    della ragione,

    dall’irrazionalità
    che combatte
    irrazionalità.

    Ma,
    frangibile,
    una scorza dura
    che ha
    il suo tallone d’Achille.

    Camuffi il tuo contegno,
    con indifferenza
    contraffatta,

    che tenta
    di offuscare ed occultare
    i tuoi timori,
    e i suoi reali sentimenti,
    fallendo.

    Con pretesti poco
    plausibili,
    continui
    a sfiorare
    la mia vita.

    E,
    la mia anima
    da tempo,
    sa leggerti
    dentro.

  24. Con la presente partecipo al concorso nella sezione A e accetto il regolamento. GAN

    Amico di liete feste
    Cavalieri e Dame,
    menestrelli e cortigiani,
    amici tutti!
    Ho da presentar a voi un grande amico;
    io lo chiamo Bacco in confidenza.
    Esso è buon consigliere e piacevole accompagnatore
    nei sollazzi e nei banchetti.
    Da’ coraggio e scaltrezza nei combattimenti,
    è schietto e fuggevole alla presa.
    Nell’inverno scalda gli animi e gli istinti;
    ma badi ben chi di esso abusi, egli è ingannevole e traditore.
    Io lo conobbi che era acerbo nell’infanzia sua,
    appeso agli arbusti mi facea tenerezza,
    ma or che giovin aitante a noi si giunge è un piacer
    averlo a codesta tavola.
    Egli è discreto, ascolta senza fiatar ma incita al dialogo.
    Lo chiamo Bacco in confidenza perché a me è vicino,
    ma voi amici se preferite chiamatelo Vino!
    GAN

  25. io sottoscritto, LORENZO TRAGGIAI, accetto il regolamento del presente concorso

    SEZIONE A

    DIAZ

    il branco dei lupi addestrati
    lanciati da un colpo di frusta
    entra e spacca arti umani
    che nessuno riaggiusterà
    spacca, scheggia qualcosa a caso
    inventa nuove torture
    da olocausto
    reagisce al sangue
    col sangue
    che uno scorcio riscoperto di cervello
    spinge a provocare

    il branco gioca
    a far girare la paura
    neli occhi delle prede
    come le facce di un caleidoscopio
    e intanto allestisce scuse
    per giustificare il suo neonazismo
    con la stampa
    che non se la beve
    ma il branco finge
    che non ci siano buchi
    tra parole e fatti

    il branco dei lupi addestrati
    con la lingua
    si ripassa le fauci
    mentre sparge sangue
    da non lavare via

    da non lavare via

    da non lavare via

  26. Partecipo alla sezione b e accetto il regolamento.

    DANNATA!
    Tanti anni passati con Ettore; i più belli della mia vita. Lui era l’uomo che ogni donna desidera, era l’amore in persona, tutto ciò che avessi mai potuto desiderare. Era l’amico, l’amante e il padre; si, il padre, visto che il mio era troppo occupato per il suo lavoro. Ettore, purtroppo la vita o il destino me lo portò via quel mattino dell’incidente di cui ancora mi rimprovero per non aver insistito nel trattenerlo un po’di più a letto, senza capire perché, senza lasciarmi neanche un figlio, qualcosa di lui. Mi ritrovai vedova a trentacinque anni e non sapere cosa fare del resto della mia vita, sola, senza più neanche mio padre, per quel che valeva, morto anche lui qualche anno prima. Certo rimaneva mia madre, se cosi la vogliamo chiamare, una madre assente, presa solo dalle sue cose, dalla sua Silvia, l’amica cara che diventò parte della famiglia, giacché mia madre non ebbe mai il coraggio di affrontare la sua omosessualità vista la sua posizione nell’elite delle persone snob, ed erano gli anni dove ancora vi era discriminazione e vergogna. Ora capisco le lunghe assenze di mio padre dovute in parte al lavoro di diplomatico sempre in viaggio per il mondo. Ricordo raramente di viaggi con lui e la famiglia, mia madre che soffriva di emicranie croniche non lasciava mai volentieri il nostro paese – Andate pure, io starò qui a riposare, Silvia mi terrà compagnia, anche lei non sta bene ultimamente- Questa era la frase di rito quando quelle poche volte mio padre mi portava con sé nei suoi viaggi. Poi, quando si era da soli in qualche paese nel mondo io rimanevo quasi sempre da sola o con una governante in albergo, a fare shopping, oppure a visitare musei e siti archeologici. Mi son fatta una cultura sull’archeologia che neanche uno studioso riuscirebbe in tutta la sua vita. Mi rinfrancavo quando mio padre finiva i suoi incontri e allora si cenava insieme, dopo si andava a dormire in stanze separate, io con la governante e lui da solo – Devo alzarmi presto domattina ed è meglio che non ti disturbo- Diceva così per trovare la scusa delle stanze separate, ma credo che avesse una donna, allora non ci pensavo ma ora che ricordo credo proprio di si, anche se devo dire che mio padre non si è mai fatto scoprire, non trapelava mai niente neanche dai nostri discorsi a cena, come del resto sapevamo entrambi della relazione di mia madre con la sua amica eppure non avevamo mai parlato di questo. Una volta, fu che la relazione di mia madre con Silvia fosse motivo di una discussione, era un mattino d’estate nella villa al mare, Silvia aveva sempre avuto un atteggiamento autoritario nei miei confronti e all’epoca io avevo sedici anni, non fu un bel ricordo, lei si preparava per andare in spiaggia mentre mia madre e mio padre erano già andati dopo la colazione. Solitamente mi alzavo tardi quando ero in vacanza e dopo la colazione avevo l’abitudine di occuparmi del mio corpo con calma e devozione mentre tutti erano a prendere il sole in spiaggia. Non mi accorsi che lei era ancora in casa e mentre ero intenta a spalmarmi la crema sul corpo apparve all’improvviso. Ebbi uno scatto e paradossalmente mi venne d’istinto di coprirmi col telo da bagno – Hai paura di me? Vuoi una mano a spalmarti la crema?- disse, mentre si avvicinava sempre di più. Provavo una strana sensazione, pudore più che altro, anche se ero abituata a vederla per casa da quasi dieci anni, anche se era una donna, ma ancora non avevo capito la sua indole. Mi prese la bottiglietta di crema dalle mani e messosene un po’sul palmo le fregò assieme, poi iniziò a spalmarmi le spalle e lentamente diventavo più concedente, lei continuava a spalmarmi sino a che arrivò ai miei giovani seni turgidi, da prima il movimento attorno delle sue mani mi pareva normale, man mano che incedeva era più insistente e mirato, provai una sensazione di piacere ma subito di disapprovazione alche le allontanai seccata le mani sgusciandole sotto le braccia e corsi a rinchiudermi nella mia stanza. Piansi di rabbia e di vergogna sino all’ora di pranzo, non si era azzardata a seguirmi e raggiunse i miei in spiaggia. A tavola ebbe il coraggio di guardarmi con occhi di libidine senza curarsi minimamente delle occhiate di mia madre – Come mai non sei scesa alla spiaggia?- chiese mio padre – Avevo mal di pancia … sai le mie cose!- Risposi, mentre Silvia mi guardò con un sorriso dato che non feci parola dell’episodio, ma continuava a guardarmi con occhi di lussuria ed a un certo punto disse – Stai diventando una donna, hai anche un bel seno!!- Rimasi impietrita mentre mia madre diede un colpo di tosse, all’improvviso non so che mi prese , gli scaraventai il vassoio dell’insalata addosso e scappai fuori a rifugiarmi nella casa degli attrezzi. Mentre uscivo mia madre urlò forte il mio nome richiamandomi e Silvia si dileguò. Dalla casa degli attrezzi sentivo i miei litigare come non avevano mai fatto, sentivo rumori di piatti rotti e sedie che si rovesciavano, rannicchiata nell’angolo sotto il balcone potevo solo immaginare mentre piangevo e tremavo di paura cosa stesse accadendo. Avrei voluto morire quel giorno pur di non avere dei genitori così. Più tardi mio padre venne a parlarmi, lo sentivo che mi chiamava dal di fuori col nomignolo che era solito usare per coccolarmi, mi svegliai lentamente mentre lui continuava a chiamarmi dolcemente, strisciai sino alla porta aprii e ritornai al mio posto. Vedendo la porta aperta entrò, era stranamente pacato, dolce, mi sarei aspettata un serio rimprovero. Invece anche se aveva un tono autorevole mi chiese in modo sereno il motivo della mia azione; tremavo, non avevo la forza di parlare, poi all’improvviso scoppiai in un pianto isterico e dissi tutto d’un fiato quello che era accaduto, mio padre provava a calmarmi cercava di abbracciarmi ma io continuavo a piangere e scartare le sue mani mentre urlavo – Quella schifosa lesbica la devi mandare via dalla nostra casa, mi ha rubato mia madre!!! Ha rubato tua moglie!!! La odio, la odio!!!- Poi crollai nelle braccia di lui e lo sentivo singhiozzare, ma non disse una parola, mi assopii tra le sue braccia e mentre in braccio mi portava nella mia stanza allungai una mano sul suo viso … sentii la sua guancia bagnata, portai la mia mano sulle labbra per poi riporla sulle sue. Mi sorrise, sempre senza parlare, forse quello era stato l’unico suo gesto d’affetto in tutta la sua vita. Ma ora capisco quando ha sofferto in silenzio sino alla morte. Rimossi questo episodio rapidamente dalla mia mente, continuai la mia vita tra scuola e amici, tra feste dei miei in casa e feste che mi organizzavo nella dépendance per conto mio. La festa più bella fu quella del mio ventesimo compleanno, si, quella dove conobbi Ettore. Lui era più grande di me, dieci anni, lo portò alla festa nella dépendance Lucilla, un’amica dell’università, una di quelle che fa il giro di uomini uno alla settimana; quella volta era il turno di Ettore. Al principio non era nei miei interessi, anzi, non lo calcolai per tutto il tempo della festa, mi sorrideva spesso ma lo ritenevo un gesto di cordialità trovandosi ad una festa che non era stato invitato. Passarono un po’ di mesi dal mio compleanno ci trovavamo in pieno autunno e lottavo col mio ombrello sino sotto i portici del centro commerciale e mentre indietreggiavo per portami all’asciutto con l’ombrello devastato dal vento mi scontrai con un uomo; mi voltai di colpo e … e incontrai il suo sguardo imbarazzato – Ciao! Ma tu seii?! ….- Si!- lo interruppi – E tu sei Ettore!!- mi guardò sbigottito – Ricordi il mio nome?!! -Certo! E tu ricordi il mio!- Su questo dialogo incominciammo a ridere e si prestò a fare due passi con me. Prendemmo un caffè e cominciò a parlarmi di sé e di tutte le cose che gli piaceva fare, mi affascinava quell’uomo maturo, ero a mio agio, mi sentivo protetta, calcolata, non badavo né al tempo climatico né al tempo che passava. Dopo quel giorno c’incontrammo sempre più spesso e mi fece conoscere i suoi amici, i suoi genitori, e un sacco di gente semplice e umile come lui, Ettore era sfortunato col lavoro e benché sapesse che io ero benestante non mi chiese mai niente e se qualche volta mi azzardavo a pagare io il conto si offendeva, avevamo adottato allora un sistema, quando lui non aveva soldi non ne portavo neanche io e così se ci veniva voglia di qualcosa ideavamo un piano per farcelo regalare, come quella volta che finsi d’essere incinta per farci regalare il gelato al bar del corso, o le mele alla bancarella … io distraevo i padroni e lui prendeva al volo due mele e viaa … alla fontana del parco a ridere e mordere avidamente quei frutti come quando facevamo l’amore. Quello che facevamo a letto era qualcosa di più del solito amore o sesso, per noi era un suggellare le nostre anime, sapevamo cosa volevamo senza chiedercelo, io sapevo cosa lo faceva impazzire e come; lui sapeva di me in eguale misura, eravamo un’unica cosa. Fuori dal letto era medesimo, mai una discussione, un diverbio, uno screzio, neanche un filo di gelosia, tanto che a volte facevamo finta di litigare perché pareva strano anche a noi che non succedesse mai … poi ridevamo come degli scemi … Quanti bei ricordi, ma anche no, visto che i miei non erano mai stati d’accordo né sulla nostra relazione né sul fatto che decidemmo con Ettore di andare a vivere insieme, questo fu un motivo di polemica in famiglia, tanto che un giorno uscii di casa con quello che avevo addosso e poche altre cose, sbattendo la porta. Ettore non aveva un lavoro fisso, ci adattavamo; poi il colpo di fortuna dopo un colloquio di lavoro, fu assunto da una azienda import-export di frutta e verdura. Sono sicura che ci fosse lo zampino di mio padre, anche se erano un paio di anni che non ci vedevamo, però sentivo che in qualche modo mi aiutava senza mai interferire nella mia vita. Anche io presi a lavorare dopo gli studi, non con la mia laurea di Ingegneria cibernetica applicata al corpo umano, non so perché feci quella scelta, ma all’epoca mi piaceva. Questo mi diede la possibilità di utilizzare gli studi grafici del corpo umano per disegnare modelli di abiti e tute per l’astronautica, mi bastava vendere pochi disegni alle aziende produttrici in un anno, per guadagnare quanto normalmente si guadagna in due. I soldi non ci mancavano per fortuna, ma mi mancava un figlio … non potevo averne neanche in provetta, per la mia malformazione dell’utero che capita raramente … e doveva capitare a me?!! Col tempo mi abituai e anche Ettore non mi estenuava benché a lui facesse piacere avere un figlio nostro. Per scelta ci sposammo solo in comune e non facemmo neanche il ricevimento, a parte un pranzo coi suoi e pochi amici; i miei erano latitanti da anni. Ormai sembrava che fossero già morti per me, sino al giorno che Ettore morì in quel brutto incidente, ero sconvolta, spaventata, distrutta dal dolore ma anche adirata con la vita che mi aveva rubato ancora qualcosa che amavo. Mia madre venne all’ospedale quel giorno, dopo una vita che non la vedevo a parte di nascosto quando morì mio padre. Ero seduta sulle poltroncine davanti alla sala operatoria e apparve da dietro la porta vetrata, un fantasma; non mi alzai , venendomi incontro tese le braccia con occhi lucidi, la ignorai, si sedette di fronte e chinò il viso soffiandosi il naso. Dopo quel giorno non ho più rivisto mia madre e neanche la sua amica Silvia. Andai a vivere in una città lontana da tutto ciò che mi ricordasse il mio passato decisa a rifarmi una vita a voltare pagina. Sola e senza conoscere nessuno mi ritrovai come proiettata in un’altra era come se fossi andata via dal mondo in cui vivevo e approdata in un altro pianeta. Trovai casa in un grande stabile del centro in una via commerciale, condividevo l’appartamento con una ragazza più giovane che studiava all’università, Evelina, nome singolare, era una ragazza carina, molto socievole, dinamica, ma a volte introversa; si chiudeva in stanza per studiare e usciva solo per qualche bisogno, senza dire una parola, senza salutare, non facevo caso a questo suo comportamento. Avevo trovato lavoro in un ufficio poco distante e solitamente uscivo alle sette del pomeriggio, Evelina si dedicava a fare vari lavori, dalla cameriera, alla badante e anche baby sitter . Non ero mai abituata a i suoi vari orari ma quella sera era a casa, avevamo un unico bagno e lo impegnava lei, le chiesi di uscire un attimo perché avevo necessità, lei mi guardò e si avvicino alla porta senza però uscire del tutto, per non discutere dovetti adattarmi e visto che si era voltata di spalle feci quello che dovevo. Non avevo fatto caso che era appena uscita dalla doccia, con l’asciugamano a modo di turbante in testa e l’altro telo avvolto nel suo esile giovane corpo. Stavo per uscire dal bagno quando mi bloccò e sorridente mi disse -Mi spalmi la crema corpo sulle spalle per favore?- Esitai un attimo, presi la boccetta dalle sue mani e ne misi un po’sul palmo, la sfregai e iniziai a spalmare la crema sulle sue bianche spalle … in quell’attimo mi riaffiorò il ricordo di Silvia e il suo gesto di quell’estate di tanto tempo fa, mi fermai per un attimo cercando di scacciare quel pensiero -Bhe’?!! Che c’è?!! Già stancata?!!- mi arguì. Ripresi a spalmare la crema sulle sue spalle da dietro verso il davanti e di nuovo quel pensiero mi affiorò, lo cacciai senza fermarmi e mi ritrovai a massaggiare il suo seno nello stesso modo che Silvia fece con me, la cosa mi disturbava e sospesi il massaggio, lei mi prese le mani e le guidò di nuovo sui suoi seni poi le lasciò e continuai il movimento da sola, il suo telo era ormai a terra; lei gemeva di piacere, si voltò e ad occhi chiusi io continuai a massaggiare i suoi seni come lo stessi facendo a me. Mi tolse la giacca, poi iniziò a sbottonare la camicetta e volò via anche quella … fummo smaniosi, anche il mio reggiseno volò via e le sue mani avide mi accarezzarono e mi sembrarono quelle di Ettore , che solo lui sapeva come toccare i miei seni, poi si strinse a me e avvicinò sempre più le labbra alle mie; vicino e poi lontano, desideravo la sua bocca la sua lingua; mentre le mani andavano su e giù per il corpo giovane di ragazza. Ad un tratto sentii la sua lingua vischiosa e dolce penetrare nella mia bocca e cercare la mia lingua, era una sensazione strana provare le stesse cose che avevo provato con Ettore, come se in quel momento lui fosse lì, come se il suo spirito si fosse impossessato di Evelina, ma poco per volta era come se io avessi trovato la mia vera natura. Ero io e lei nello stesso istante, ero io ventenne, figlia dannata partorita da una lesbica. Tutto tornava chiaro, i miei pensieri confusi di bambina mentre mia madre mi lavava, le sue carezze , il piacere che mi provocò Silvia in quell’episodio, le notti da adolescente a masturbarmi pensando a lei; che nel risvegliarmi attribuivo a degli incubi per giustificare quel mio gesto. Questo crescendo alimentò quella sorta di odio nei suoi confronti. Tormentata e dannata scappai da quella casa e dalle attenzioni di quelle donne, rifugiandomi nell’amore etero di Ettore che ho sempre considerato un vero uomo. Ma mentivo a me stessa, in quel momento capii che trovai amore in quel fuoco di passione con Evelina, che qualunque cosa una possa nascere è la sua vera natura che le cambia la vita, infondo capisco anche mia madre; che forse neanche mi voleva sapendo che avrebbe messo al mondo un’altra omosessuale, oppure fu proprio un caso che io nascessi?! Però vivevo la mia vita da omosessuale senza vergognarmi lottando perché chi dopo di me, di tante come me, siano trattate come umani prima di tutto e non come fenomeni da evitare o discriminare, penso che anche Ettore in qualche modo avesse quella parte di femminilità celata e solo con me poteva rivelare perché tra me e lui non c’era nessuna differenza. Quella ragazza ventenne che viveva con me, ero io in quel momento che avrei dovuto affrontare la mia vera natura e solo per pregiudizio o per non dare un’ulteriore dolore a mio padre non feci. Anche la mia ritrosia nei confronti di mia madre e di Silvia e le persone come loro erano tutte congetture dettate dall’idea che io ero eterosessuale e non avrei mai cambiato per non essere uguale a mia madre, ero fermamente convinta che ero “normale” condannando sempre la relazione di mia madre con Silvia, odiandola per avermi messo al mondo sapendo che non voleva figli e che non amava mio padre. Ho sofferto tutta una vita quando vedevo le mie compagne con le loro mamme, donne etero, e qualcuna addirittura aveva l’amante. Tutti sapevano che Silvia era la sorellastra di mia madre, la mia zia acquisita, forse fu questo a non destare sospetti su quella presenza in casa e dei pochi gesti affettuosi che si scambiavano in pubblico. Per fortuna almeno l’onta di esser presa in giro dall’ignoranza della gente fu risparmiata e anche mio padre si salvò da maldicenze, l’astuzia di mia madre nel nascondere il suo stato fu emblematica. Lei difendeva quel suo amore “diverso” lo proteggeva dalle insidie delle persone, lo viveva in segreto e discrezione, su questo forse vi era da ammirarla. Io non avrei saputo fare lo stesso essendo di carattere impulsivo e fragile. Come sosteneva Freud, ogni persona ha una parte di femminilità o mascolinità che si manifesta in percentuale da persona a persona, la mia e’ stata un omosessualità occulta, rifiutata, doveva succedere prima o poi che venisse alla luce; dovevo vivere quel tormento, dovevo subire quel martirio, questo penso. La mia vita con Evelina è stata il voltare la pagina, anzi un rinascere, non si può voltare una pagina e pensare di continuare la stessa vita cambiando i personaggi, si può solo cancellare tutto ciò che è stato prima, chiudere definitivamente una storia e riaprirne un’altra. Evelina è stata la rinascita, lei così giovane ma consapevole della sua condizione, non se ne preoccupava minimamente, diceva che il problema non era il suo, ma degli altri. Certo ammiravo quel suo coraggio quando per strada mi teneva per mano o mi baciava ardentemente. Nei primi tempi trovavo un po’ d’imbarazzo ma poi notavo che la gente in quella città non badava a noi, nessuno ci guardava con disprezzo o con stupore, e via via anche il mio imbarazzo spariva. Raccontai tutta la mia vita a lei come se io fossi quella più giovane e inesperta, lei era senza dubbio più emancipata di me e capiva tutta la mia sofferenza; almeno credevo che una ragazza così non avesse avuto problemi ad accettarsi, pensavo che fosse stato più facile per una giovane donna di quel tempo affrontare la sua omosessualità, invece forse fu più crudele di quanto io avessi pensato. Evelina proveniva da una famiglia cristiana, dove certi valori sono più radicati, una famiglia di ceto medio, lei non si era mai sentita attratta dagli uomini sin da bambina, aveva avuto relazioni con alcune amiche ma poi queste erano scomparse e anche tutti gli altri amici l’allontanarono, i fratelli, specie il più grande la riteneva una vera vergogna per la famiglia col suo comportamento. Un giorno la picchiò brutalmente tanto che la mandò all’ospedale. Anche il padre per farle cambiare idea ingaggio dei ragazzi per farla violentare, pessima idea oltre che ignobile, quella violenza non fece altro che peggiorare il rapporto con gli uomini e alla fine trovò il coraggio di scappare anche lei da quella vita di soprusi e torture. Ancora potava i segni di quelle brutture e qualche volta la vedevo carezzare piano le cicatrici come una meditazione ciò che le era costato essere una omosessuale. Certi momenti dopo che facevamo l’amore si accoccolava su di me in una tenera posizione infantile e notavo tutta la fragilità di un animo sensibile di una donna che non aveva avuto l’affetto che ogni bambina o bambino deve ricevere dai genitori. Un po’ mi sentivo madre in quei momenti e riaffiorava in me quel desiderio che non avevo potuto esaudire a causa di quella malformazione all’utero. Penso che anche questo fosse un segnale, il non avere figli per non dover subire loro i pregiudizi della gente o il soffrire una condizione che non dipendeva da loro. Mi ritenevo felice con lei, anche quel senso materno mi piaceva, lei era sempre gioiosa, curiosa, aveva sempre fame di sapere, di conoscere, spesso andavamo dei week end in gita in qualche città o al mare. E fu in una di queste gite che Evelina incontrò il fratello che lavorava in un bar. Quel giorno fu terribile, quell’atteggiamento di disprezzo e discriminazione ferì lei quanto me. Eravamo in una città in giro per musei e chiese e stanche e sudate decidemmo di sederci al tavolo di un bar sulla piazza. Il cameriere che venne al tavolo si rivolse a me, Evelina portava dei grandi occhiali da sole e sembrava nervosa, non guardò neanche il cameriere e disse a me cosa voleva. Questi suoi momenti li rispettavo anche perché subito dopo tornava sorridente e felice con una delle sue barzellette. Il cameriere arrivo con i grossi bicchieri d’acqua poggiandoli sul tavolino e bruscamente con tono ironico ma severo rivolto ad Evelina incominciò ad insultarla -Pensavi che non ti avessi riconosciuto con questi occhiali da gay, ah?!!- Strappandoglieli dal viso e gettandoli per la piazza-Smettila Roby!!! Lasciami in pace!!!- rispose lei raccogliendo gli occhiali, mentre io esterrefatta non riuscivo a reagire. -E questa chi e’, ah?! La tua Pappona?!! Che?! Ora ti sei messa a fare le marchette, ah?!!- -Ti ho detto di smetterlaaa!! E lavati la bocca!!- ribatte lei seccata. Il tale le diede il bicchiere d’acqua in faccia e urlò -E tu lavati questa faccia da schifosissima lesbica!!!- Evelina scappò via e io senza dire una parola presi ad inseguirla raccogliendo le nostre borse, mentre quell’energumeno continuava a ridere e insultare sotto gli occhi sbigottiti di alcuni clienti stranieri. Lei correva velocissima, avevo difficoltà a raggiungerla, la persi di vista. Non sapevo che fare non sapevo dove cercarla e mi recai all’albergo. Passarono le ore e stavo a letto non riuscendo ad avere un pensiero una qualsiasi cosa nella mente, provavo solo ansia e disperazione, piangevo. Non so quanto tempo passo ma sapevo che ormai era quasi sera, mi rinfrescai il viso e decisi di uscire a fare un tentativo di ricerca. Provai a passare in tutti quei luoghi che avevamo visitato durante il giorno, ai giardini, al luna park , camminavo come una sbandata con gli occhi pieni di lacrime pensando a come certe persone siano così meschine, a quanto dolore e sofferenza può causare il non essere “normali” per il resto del mondo, camminavo e pensavo, la disperazione si trasformava in presentimento. Iniziavo ad essere preoccupata seriamente per Evelina, le luci della strada si avviavano a prendere il posto del sole che ormai era tramontato e il traffico si faceva più denso, un ultimo pensiero mi passo per la mente nell’avvicinarmi alla stazione, mi diressi là con il cuore che mi guidava. Davanti alla stazione vi era un sacco di gente e le luci blu dell’ ambulanza e della polizia non mi destarono più di tanto. Avvicinandomi sempre di più a quella folla sentivo una strana sensazione ma non volevo pensare al peggio, la gente borbottava che qualcuno si era buttato sotto il treno e io sempre più impaurita singhiozzavo e affrettavo il passo facendomi posto tra la calca, andando avanti a spintoni, pensando che no, non poteva essere. Arrivai con fatica ai binari; un corpo giaceva coperto da un lenzuolo appena macchiato di rosso, gli agenti della polizia avevano delimitato il posto e rilevavano le misure, con gli occhi appannati dalle lacrime guardavo quel corpo e speravo che non fosse così. Il lenzuolo non copriva tutto di quell’ esile corpo, un braccio usciva appena, era quello di una donna, mi stropicciai gli occhi e notai un bracciale al polso di quella sventurata, ero troppo distante per vederlo bene ma il presentimento mi spinse a ravvicinarmi; diedi un urlo e mi precipitai verso quel corpo eludendo gli agenti, sorpresi dal mio gesto, qualcuno mi afferrò non riuscendo a trattenermi, mi gettai su quel lenzuolo urlando disperatamente tutto il mio dolore, tutto lo strazio e l’angoscia covata in quelle ore, ripetendo -Perché??!!! Perché, Amore miooo!!.- Il silenzio incombe su quella stazione rotto solo dai miei singhiozzi mentre un’agente mi indusse a rialzarmi invitandomi a seguirlo nell’ufficio. Ho creduto di morire anche io in quel momento che ero sul suo corpo ancora caldo, se solo fossi andata prima alla stazione avrei potuto salvarla, riaverla con me, saremmo stati abbracciati come quando a volte dopo fatto l’amore si accovacciava su di me in una tenera posizione infantile e notavo tutta la fragilità di un animo sensibile di una donna che non aveva avuto l’affetto che deve ricevere e un po’mi sentivo madre.
    GIOVANNI ANDREA NEGROTTI

    1. Questo racconto si è meritato il primo premio al concorso dell’associazione luce dell’arte ” La Forza dei Sentimenti 2012″ premiazione svoltasi a Roma il 1 luglio. Il racconto è anche presente sul web in versione e-book. In esclusiva e solo per gli amici di questo Magzine è stato gentilmente concesso. Esso non ha prerogativa di vincita ma solo lo scopo di condividivisione.
      L’Autore GAN.

  27. PERSECUZIONE

    Misero le mani sul suo volto per nasconderlo
    la faccia aveva pianto e le lacrime lasciato scie di sale.
    Nascosta ai loro sguardi piegò le palpebre
    di lei non conobbero la fame e la sete
    quell’arsura che tormenta la lingua.
    Misero le loro mani sul suo cuore
    lo trovarono che non batteva più
    vivo si nascondeva al loro senso
    aveva dentro il piccolo Gesù.
    Misero le sue mani
    sopra la fiamma di una candela
    per farle giurare il falso
    così che la paura di bruciarsi
    la facesse desistere dal vero.
    Misero i suoi piedi in ceppi
    per imprigionarle la libertà.
    Ma il suo viso si ribellò al destino
    ed accettò di sfondare la cortina.
    A morsi la bocca distrusse quelle mani
    con gioia il cuore riprese a cantare
    le gambe si sfilarono dalle catene
    camminò e la inseguirono
    volevano portarla all’inferno.
    Si mise a correre e non si voltò a guardare
    il loro mondo la opprimeva.
    Correva e sul viso soffiava il vento
    e sentiva la carezza dello sguardo di Dio
    i suoi occhi le illuminavano la strada.
    Giunse e poté vederlo alle porte del paradiso
    l’attendeva e l’accolse nella sua casa.

    ( Racconto breve inedito di Letizia Lo Prete. Partecipo a questa gara gratuita “Toccare il cielo” nella sezione B e dichiaro di accettarne il regolamento. Cordiali saluti, l’autrice.

  28. Mi chiamo Maria Romanetti, dichiaro di accettare tutti i termini del regolamento. Partecipo con la poesia inedita “Non mandarmi via” alla sezione A.

    NON MANDARMI VIA

    La notte è fresca
    la luna calante,
    la belva abusa di te
    ed io, fragile goccia,
    inizio a vivere
    nel tuo ventre indifeso.
    Due, dieci, cento gocce
    ed io, inconsapevole
    degli orrori del mondo,
    continuo a vivere.
    La tua paura, la sporcizia addosso,
    la mia innocenza, il volerti già bene.
    Le tue lacrime, colonna sonora
    della mia piccola vita che cresce.
    Ancora tu non sai di me,
    di ciò che sento, di ciò che provo,
    di questo bene che
    è diventato amore, amore immenso.
    Ma tra poco saprai
    e allora mi odierai, mi maledirai
    per dissacrare lui.
    Non mi vorrai, mi ucciderai
    per annientare lui.
    Non farlo Mamma,
    tienimi con te.
    Cammineremo insieme,
    sarò la tua luce,
    ti insegnerò il sapore della vita
    e nelle notti insonni
    ti stringerò la mano.
    Ti prego Mamma,
    non mandarmi via.

  29. GIUSEPPE NICOSIA ..SEZIONE (A) POESIA RIFLESSI..
    Accetto le condizioni e il regolamento

    “Riflessi”

    Riflessi di luce infrangono
    la debole nebbia mattutina
    in tutto lo spazio in torno a me..

    La mia mente si smarrisce in quella nebbia,
    ritornando indietro nel tempo…

    In questo tempo, senza tempo..

    Magica visione di bambini
    in corsa in queste vecchie campagne felici,
    tutto intorno a me un
    mondo pieno di felicità..
    Avvolti in un mare d’erba,
    quel mare che abbiamo perso crescendo.

    Senza un ordine
    abbiamo perso la nostra felicità,
    la nostra sincerità,
    senza nascondersi dietro alle menzogne.

    In questa nebbia ritrovo
    l’amore delle piccole cose..

    Come la mia carezza di bimbo
    ad un cavallo assente…

    Lui mi guarda, abbassa la testa,
    vorrebbe dirmi molte cose,
    e si allontana da me,
    si volta e mi sorride..
    chissà dove sarà andato
    Chissà dove sarà..

    Il tempo cambia tutto
    anche i nostri cuori..
    Trasformandoli in pietra per gli altri
    esseri umani..

    La nebbia pian piano si dirada,
    lasciandomi domande in sospese
    non sò se sono rimasto bambino

    No, cosa sono adesso, non so lo so..

    Respiro la nebbia
    e penso a te, alle tue mani
    che mi danno aiuto per pensare
    e per non diventare di pietra..

    Ma adesso non so..
    No, cosa sono adesso non so lo so..

    Riflessi

  30. SEZIONE A

    Io sottoscritta, Antonella Taravella, accetto il regolamento della presente gara poetica, con un testo di mia proprietà e inedita.

    *

    resta come una conserva – la voce
    attraggo l’incupire del cielo
    dentro un cucchiaio di more
    io così come un sole – amareggiato
    chino il capo steccato da fili di rame
    (per)correndo pianure come un credo
    da inghiottire
    sciolto il verso – corda
    viene già dal cuore – la bruma
    il lampante dondolarsi di un unghia
    sporca di neve, camminando lungo
    la cresta delle parole cerchiate
    temo ci siano insetti ad intorpidire
    l’amore contenuto nella brocca di mani
    che passeggiano i ritorni

  31. Io sottoscritta Libera Nasti partecipo al seguente concorso per la sez. A e dichiaro di accettare il regolamento del concorso stesso.
    Poesia “Il vagabondo”
    Dolce campo verde e vergine,
    Dolce dimora dei miei pensieri
    Perché ti ho abbandonato?
    Ciò che avevo coltivato era ciò che sognavo,
    ma non c’ho creduto abbastanza e sono fuggito via
    Ora sono vagabondo
    e la mia terra si è dissolta nel tremore delle mie passioni…
    Ogni tanto respiro e mi sembra di ritrovare quegli odori…
    Il profumo che quella terra porta ancora con sé…
    ed io divento di nuovo il custode di quelle sensazioni!

  32. PEPPE E IL SOCIALISMO
    (racconto breve – sezione B)

    Peppe era un omone che faceva l’elettricista. Peppe era socialista dalla nascita, figlio di un socialista storico del paese che fu amico del senatore repubblicano padre della patria e costituente. Certo che, negli anni in cui è ambientato questo aneddoto, non era propriamente a suo agio tra i craxiani, ma lui il garofano lo aveva nel sangue e non poteva lasciarlo, Craxi o non Craxi. Così rimase socialista anche quando il partito deviò verso un certo liberismo che poco si sposava in tutto ciò a cui credeva Peppe.
    All’angolo di piazza Mazzini c’era la sezione socialista e, due porte dopo, quella del Partito Repubblicano di cui ero stato da poco eletto segretario cittadino. I due partiti avevano governato il paese insieme per tutti gli anni ottanta ma, già nel ’90 vicende politiche complicate avevano fatto sì che si ritrovassero uno in maggioranza e uno all’opposizione. Così, considerandosi vicendevolmente non proprio dei traditori ma qualcosa di simile, ci si guardava un po’ storto e, quando capitava che ci fossero delle riunioni concomitanti, nonostante la vicinanza delle sedi ci si evitava come la peste.
    La sezione repubblicana aveva in vetrina un’insegna luminosa quadrata con rappresentata l’edera che, però, non si accendeva più da tempo immemorabile perché c’era un contatto che non funzionava da qualche parte e nessuno sapeva metterci le mani. Una sera che ero solo fuori della sezione ad aspettare che arrivassero gli altri del direttivo per iniziare la riunione passò Peppe che disse: “Ma di che razza di partito scalcinato di sei fatto eleggere segretario che manco vi funziona l’insegna.”. In effetti, la loro, fatta come la nostra ma raffigurante il garofano era bella e accesa tutte le sere. Risi e risposi che non funzionava e che non potevo farci nulla. E Peppe: “famme vede’” ed entrò nella sezione “nemica” estraendo dalla tasca posteriore dei jeans un piccolo cacciavite. Si mise ad armeggiare con la spina e la presa, smontò il tutto, lo rimontò e, in men che non si dica, l’edera brillava né più né meno come il garofano poco più avanti. Ero un po’ confuso perché non mi aspettavo un intervento tecnico da parte di un socialista e dissi a Peppe che non sapevo come ringraziarlo. Egli, con la faccia imperturbabile che lo contraddistingueva e la sua voce ben impostata rispose: “Vedi? Questo è quello che intendo io per socialismo”.

    Accetto il regolamento del concorso.

  33. SEZIONE A
    Io sottoscritta, Donatella Pardini, accetto il regolamento della presente gara poetica, con un testo di mia proprietà e inedita.
    OMBRE.
    “Nel buio.le ombre si muovono meglio
    si cercano,si abbracciano,vivono silenzi
    non hanno viso….non hanno occhi…le ombre…
    si stagliano lungo muri di vetro assente
    e scompaiono….

    Dona

  34. Sezione A
    Con la poesia – Brocche di sale – di Monia Minnucci

    Fortificarsi,
    inasprirsi,
    non assoggettarsi
    è la chiave della vittoria.

    Non avvalersi
    delle briciole dei fasti,
    ignorare romantiche lagnanze,
    nucleo fragile
    guasta la visuale,
    curva le rette intenzioni.

    Svuotare l’iride dal dolore,
    lacrime,
    balle di valore,
    brocche preziose
    disconoscono l’impossibile.

    Conosco il gravare dei cieli
    greve sui rami,
    vicoli ciechi,
    parole ingombranti
    … illusionismi.

    Fatica senza lode.

    Il rispetto è atto reale,
    non subirò i vostri crimini
    rigetto la convenienza
    e respingo l’amore che m’ammala.

    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

  35. 03.10.2012- Dichiaro di accettare i termini del regolamento – sezione A

    COLLOQUIO DI LAVORO

    – Le faremo sapere –
    mi dice la signorina al termine del colloquio.
    Ed io con il mio sapiente eloquio
    non sono riuscito a darla a bere.
    Cercasi con esperienza
    Ma io ci metto la bella presenza.
    Richiesta prestanza?
    Macché qui vogliono la sudditanza.
    – Cosa si aspetta lei? –
    Beh che sto lavoro frutti un po’ di schei;
    In sti tempi di crisi si sa,
    ogni iniziativa mille difficoltà.
    – I lati positivi della sua personalità? –
    Sono fesso come un baccalà
    – Mi parli delle sue aspettative –
    Vorrei lanciarle addosso tutte le mie invettive.
    – Il suo status sentimentale? –
    Relazione complicata, citando Facebook papale papale.
    Le gambe tremano, le mani sudate,
    la signorina ha le palpebre abbassate.
    Sembra annoiata della mia biografia,
    a me non resta che l’agiografia,
    pregare i santi, la madonna
    e non pensare alla mia donna:
    un altro colloquio col ben servito?!
    lei dice che sono un fallito.
    E dire che stavolta m’ero preparato,
    ma poi di nulla s’è parlato.
    Il mio Curriculum lacunoso
    non sfugge a quel giudice impietoso.
    – Perché l’anno 2008 è omesso? –
    Eh, ho cercato lavoro commesso.
    – Non ha trovato nulla in un anno intero? –
    No, sfoggio un sorriso sincero.
    – Leggo che ha fatto lo stagista? –
    Sì, sistemavo carte e di tutto facevo lista.
    L’esame del mio documento non è finito,
    su tutto c’è da puntare il dito.
    – Perché ha scelto la facoltà di filosofia? –
    Perché ero alla ricerca di un’interiore armonia.
    Allibita dalle mie assurdità esistenziali,
    gira tra le mani i suoi test psico-attitudinali.
    – Qual è il suo colore preferito? –
    Il nero dico, pensando alle sue infradito.
    La sua bocca contorta, lo sguardo severo,
    allarga le braccia come uno sparviero.
    Avvolto dalla sua voce tornita,
    tieni duro, prego, che presto sarà finita.
    – Ha qualche domanda da fare? –
    No guardi, me ne voglio solo andare.
    Si alza, mi dà la mano,
    cerca di sorridere, invano.
    Sul volto ha dipinto un sorriso esponenziale
    con cui recita l’ennesima commedia teatrale.
    Con il suo diploma liceale
    ha sconfitto il mio sapere universale.
    Incurante del mio tormento,
    torna soddisfatta alla sua postazione;
    come un leone fiero nel suo portamento,
    è pronta per la prossima eliminazione.

  36. Io sottoscritta Mirella Alleri accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A

    Dalla Fonte…

    Dalla fonte giunge
    forte il rimbombo

    l’eco di cascata
    e sentore nelle nari
    profumo di fiori…..

    galleggiano sull’acqua
    fiori d’amore sbocciati
    da liquidi pensieri….

    scorre lentamente scorre
    fiume di parole
    dà rigoglio
    alle rive assetate…

    mi spoglio
    m’immergo nella corrente
    lasciando andare la mente

    libera di essere
    poesia….

    Mirella Alleri

  37. Io sottoscritto Valera Luciano accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A

    Le crepe dei muri

    Le crepe nei muri
    son come graffiti
    Lasciano segni che nessuno
    – cancella –
    Come rughe del viso
    – conservano –
    i ricordi del tempo.

    Dentro la pietra fanno dimora
    a fiori selvatici..
    – Germogli di vita –
    crescono, s’aggrappano,
    irriverenti alla natura
    che nega loro morbida terra.

    Nel cuore dell’uomo
    segnano il cammino
    del viaggio senza tempo
    dal destino assegnato

    Il pensiero si culla
    al ritmo del respiro del mare
    – dondola –
    Indolente alla brezza
    passa sui muri
    attraversa le crepe
    – scompare –

  38. voce di brace

    ho sentito la voce di un poeta
    era calda, sapeva di pane
    non correva da nessuna parte
    non sapeva rassegnarsi al bene
    che segue un dolore insopportabile.
    fecondata da un mistero inaccessibile
    bruciava come brace viva
    e afrodisiaca come carezza giusta
    imponeva tutt’intorno un gran silenzio
    senza bisogno d’alzare mai la mano.
    e io mentre l’ascoltavo
    socchiudevo d’istinto le mie luci:
    intorno a tutto il buio della barbarie
    la voce di brace era già un sogno.

    Carla de Falco
    sezione A poesia
    Dichiaro di accettare il regolamento.

  39. Sez.A Poesia
    Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Dettagli

    Un battito di ciglia che svela
    l’essenza muta dei silenzi
    o il gesto distratto della mano
    che riveste di parole
    la tenue luce del mattino.

    Nei dettagli sbriciolo certezze
    scavo ancora nelle pieghe,
    sul volto scavato da rughe
    il tempo vissuto con te
    è vento che agita le vele.

  40. Con il presente, io Capanni Laura, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    racconti brevi B

    Nebbia

    Nella penombra dei cipressi era nascosta, senza più forze ne pensieri il suo corpo nudo deturpato e violato da chi senza rispetto aveva abusato di un frutto acerbo e troppo indifeso e fragile,con una facilità e il delirio di seria sobrietà, una lucida determinazione, senza nemmeno rendersi conto del danno perpetuato a quella giovane vita che data l’ingenuità e la poca esperienza mai si sarebbe aspettata violenza così grande che si scagliava contro di lei provocandogli un forte dolore non solo fisico decisamente indelebile che niente sarebbe riuscito nemmeno lievemente a cancellare, lei bimba… era impreparata ad un così triste epilogo di una gioiosa giornata, eppure questo era accaduto, ma niente pareva avere senso, niente sembrava essere vivo adesso,tutto taceva, tutto sembrava morto intorno a lei… tutto era morto, ma non all’esterno, dentro di lei che rimase ferma per ore sul ciglio della strada nascosta dagli alberi incolonnati che si ergevano verso il cielo con impetuosa grandezza, tanto più grandi di lei tanto più vecchi di lei, loro erano sopravvissuti al vento alla siccità e ai tanti temporali,ed erano ancora lì a dimostrare a lei quanto era insulsa e poco valevole la sua delicata figura ormai quasi trasparente e invisibile nella nebbia che adesso all’imbrunire si infittiva sempre più.
    Povera dolce bambina, povera anima sola, povera , povera la mia memoria, che nella notte vaga ancora lì e vola tra le cime dei cipressi quasi a toccare il cielo.

  41. Con la presente, io Anna Maria Caboni, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    racconti brevi B

    L’ANIMA DELLE COSE.
    Una volta gli alberi, le piante, gli animali e le pietre avevano una voce. Una volta gli alberi, le piante, gli animali e le pietre vivevano bene con gli uomini e si completavano con loro. Una volta gli uomini amavano loro e loro amavano gli uomini.
    Era un mondo incantato, il mondo del dare e ricevere. Era un mondo in cui si viveva secondo natura e non esisteva giustizia od ingiustizia, ma solo naturalità ed amore per la vita.
    L’uomo faceva parte di questo mondo e, una volta, gli alberi, le piante, gli animali e le pietre vivevano bene con gli uomini e si completavano con loro.
    Le piante erano rispettate e offrivano generosamente i loro frutti. Gli uomini le veneravano come dee, le accudivano e le aiutavano a crescere nel modo più esuberante possibile, secondo le loro conoscenze.
    Gli uomini veneravano anche le pietre, giganteschi monoliti avevano significati fondamentali per la vita ed indicavano la posizione delle stelle e le vie principali da percorrere.
    Il calendario era basato sulle fasi della natura e spesso si facevano delle feste in estate nelle foreste per ringraziare la natura. Durante queste festa con danze e canti c’era l’esplosione della benevolenza reciproca: volentieri gli alberi piegavano i loro rami per offrire fresca ombra alle persone radunate; i sassi, aiutati dal vento, rotolavano vicino a qualche vecchio stanco per offrire un sedile su cui riposare. Le feste duravano giorni e giorni ed erano i periodi preferiti dall’uomo e dalla natura.
    Tutti sempre avevano gli stessi diritti e gli stessi doveri. Non venivano giudicati cattivi quegli animali che erano meno utili all’uomo, né docili quelli di cui l’uomo avrebbe potuto servirsi per migliorare la sua vita. Non erano considerate dannose le piante di cui l’uomo non poteva cibarsi e ottime quelle che assicuravano una cospicua produzione. Per tutti si nutriva lo stesso rispetto e si viveva felici.
    Ma poi vennero tempi bui. Tempi in cui l’uomo si sentiva il padrone della terra e voleva piegare tutto al suo volere. Si sentiva allora spesso bisbigliare sommessamente nelle foreste e nei boschi. Gli alberi temevano il peggio ed il peggio giunse.
    In tempi in cui anche i rapporti tra umani si stavano deteriorando, quando si stava attenti a parlare e ad agire liberamente, nello stesso periodo alcuni uomini decisero per tutti che gli alberi, le piante, gli animali e le pietre non avevano l’anima.
    E da allora gli alberi, le piante, gli animali e le pietre tacquero per sempre. Occorrerà un gran lavoro per poterli riascoltare.

  42. Accetto il regolamento,partecipo alla Sezione B

    INSONNIA RICAMBIATA
    Tic ..tac.. Tic. .tac
    Le lancette luminose delle ore e dei minuti stanno a braccia aperte, in questa posizione segnano le tre meno un quarto, e quella piccolina fissa sul cinque, sta aspettando che quella delle ore arrivi al cinque e la più lunga arrivi al dodici e farà scattare la suoneria proprio quando si interporrà esattamente nel mezzo tra l’uno e il due.
    Alle cinque in punto la sveglia sul comodino suonerà e questa sonorità meccanica farà scattare come una molla, la mia donna, orsa bianca in letargo.
    Tic Tac.. Tic Tac, ci sa fare questo meccanismo a tenerti sveglio, anche perché dopo la cena a lume di candela e il secchiello dello champagne con ghiaccio, lei, mi ha, si, baciato e abbracciato, ma non ha accettato l’invito di salire in camera, ma ha chiesto un taxi e se ne è andata.
    Non parlo dell’orsa bianca, parlo di una gazzella bionda e profumata di gioventù. Vedere quest’orsa bianca che non russa e non smania pare morta, è il rincaro della dose morale della delusione subita.
    Tic Tac. .Tic Tac.. Che precisione ossessiva! Che cospirazione contro la mia povera anima!!
    Un minuto è un ettaro di silenzio…Ho contato tutte le pecorelle che c’erano da contare. .ho ripassato fatture e conti da pagare.. tutto regolare come risulta il bollo dell’auto pagato, insieme al canone tv, l’ultima rata dell’acqua e.. cche caz. . Basta! Cos ‘è che non va?
    Azz! Dovevo lasciare qualche insoluto, una rivalsa da pensare e addormentarmi dolcemente.
    Come prima pareva una mummia nella cripta, adesso l’orsa bianca si anima, si gira
    Si porta via tutte le coperte e se le possa sotto il corpo come bende,un sospirone e poi niente, silenzio tombale.
    Lupi affamati attaccano la slitta dei ricordi, tic tac, tic tac, un tarlo scava, tic tac, tic tac, un tarlo porta via.. l’armadio scricchiola sotto il peso della cravatta.
    DRRRRR! L’ora programmata arriva, la suoneria è una fanfara di un reggimento in marcia, l’orsa scatta a sedere sul letto, la mummia si sbenda della coperta che s’è tirata, sbadiglia, si stropiccia gli occhi, guarda la finestra, borbotta.. ”Le tende!! Subito le tende, le spicco e le metto in lavatrice.. si subito.. prima di tutto le tende!!
    S’accorge che la sto guardando e dopo un sospirone aggiunge” Beato tu. .Ah, che nottataccia!!

  43. Partecipo alla sezione A,accetto il regolamento

    TEMPORALE

    Guarda

    come si fondono
    in una matassa
    Informe.. ,,scura .

    Bambagia di nubi.
    Nuvole
    Nuvole invidiose.

    Livide di rabbia,
    accecano il sole,

    Scatenano la pioggia.

    Guarda!

    Guarda.

  44. Io sottoscritto Italo Zingoni, invio la poesia “Forse il cielo stasera” per la SEZIONE “A” E DICHIATO DI ACCETTARE I TERMINI E LE CONDIZIONI DEL CONCORSO.

    Forse il cielo stasera …

    Questa sera forse il cielo è diviso
    tra una stella ed una nube nera
    tra un pensiero fissato su una tela
    ed un uomo crocifisso da un’idea
    che insegue il suo carico silenzio …

    Questa sera forse il cielo è infranto
    nei suoi confini all’orizzonte e sfuma
    oltre quel punto che non si raggiunge
    nella solitudine dell’uomo che hai di fronte
    e che non vedi, muto al suo dolore …

    Questa sera forse il cielo è più distante
    e ognuno muore solo, nel suo immenso …

  45. Con la presente dichiaro io, Lara Tocalli di accettare i termini e condizioni del concorso inviando la poesia per la sezione A.

    Il cielo in una pozzanghera

    Riflessi d’acqua accompagnano le tue sottili dita,
    dolce bambina,
    là dove nessuna creatura ha sfiorato il confine tra la realtà e i sogni.
    Sfiora allora,
    con occhi incantati,
    la bellezza che si mostra solo a te.
    Ove niente ha tempo e limiti,
    nessuna dimensione o divieto,
    immergi la tua mente in quel dipinto che la pioggia ha creato,
    mentre tu seduta al suo fianco ignori il mondo che ti circonda.

    Lara Tocalli

  46. Autore: Mauro Bompadre – Sez. A – Accetto il regolamento

    RESPIRO TE

    Respiro te
    e la tua mancanza
    che s’insinua inesorabile,
    mentre le pareti della stanza
    strangolano di ricordi
    quel che resta
    della mia razionalità.

    Respiro te,
    che mi scorri dentro,
    estrema devastante alchimia,
    culmine di spietata
    e selvaggia tenerezza,
    che mi pervade i sensi e l’anima.

    Respiro te,
    ed il tuo ricordo,
    gioco d’azzardo con la follia,
    emozione pura
    che sorvola la realtà,
    e scatena brividi profondi,
    in questa urlante notte di tormento.

    Respiro te,
    e la tua pelle,
    il tuo sguardo che trafigge i sensi,
    tu che sei per me
    oppio, acqua, fuoco ed ossigeno,
    tu che ogni giorno mi ridai vita
    ed ogni giorno mi uccidi.

    Respiro te
    ed i tuoi ritorni
    che spazzano via ogni incubo,
    quando ogni volta ti ritrovo accanto,
    sempre più donna,
    sempre più mia.

    ( Mauro Bompadre )

  47. Barbara Cannas ,sezione A ,poesia,accetto il regolamento.

    Inquietudine.

    Riscoprirò il senso
    di quelle parole
    fino a comprenderne
    ogni verità nascosta,
    arrivando a disvelare
    ciò che si celava
    ai miei occhi.
    Perché le tue parole
    sono tutto ciò che resta
    e tardi ho capito
    che troppo pesante
    era il carico che portavi,
    che ,ancora, non avevo,
    tra le mie mani, quella certezza,
    della tua e della mia felicità ,
    della tua e della mia forza,
    di fronte al destino avverso.
    Quel destino
    ha tenuto in pugno
    le nostre vite,
    terribile nel volere
    che osteggia e svilisce,
    ,che, annienta e sovrasta ,
    e , rende inerti,
    costretti a nient’altro
    che alla resa.

    Mai ho accettato
    una tale sorte avversa.

    Ma sola e triste affronto il mondo
    nell’inquietudine del domani.

    Lacera nel profondo la tua assenza.

    Le tue mani son perse per sempre,
    nell’incertezza amara del vento.

  48. Daniela Giorgini – Sezione B – Accetto il regolamento

    LEILA

    Seduta al posto di guida di un’anonima automobile grigio scura, Leila si ritrovò a pensare ad un anno prima, quando ancora lavorava come impiegata in una ditta di software. Era un impiego discreto, senza tanti problemi, con uno stipendio che le permetteva di vivere agiatamente nel suo monolocale in periferia.
    Fino ad allora non aveva frequentato molto uomini e quei pochi non avevano il desiderio di mettere su famiglia. Così si stava rassegnando ad essere eternamente single. Poi in ufficio era stato assunto un programmatore statunitense, già molto conosciuto per una serie di giochi per il pc. E si era subito interessato a lei.
    Avevano avuto una relazione, piacevole e divertente, almeno all’inizio. Finché non erano iniziate le scenate di gelosia, l’allontanamento dagli amici, una lenta violenza psicologica. Con non poca fatica, lei lo aveva lasciato, ma lui non si dava per vinto.
    La seguiva ovunque, la aspettava sotto casa, la minacciava. Nonostante le denunce, le chiamate a Polizia e Carabinieri e perfino un’ordinanza restrittiva, non riusciva a liberarsi di lui.
    Alla fine aveva acquistato una pistola, sperando di spaventarlo. Ma la prima volta che aveva alzato le mani su di lei, lo aveva ucciso.
    Quella frazione di secondo in cui aveva premuto il grilletto e aveva visto il proiettile, come al rallentatore, che lo colpiva al petto…beh, in quell’istante si era sentita viva.
    Di quello che era successo dopo, invece, non ricordava nulla.
    Non avrebbe saputo spiegare come e da dove fosse spuntato il Padrino – come si faceva chiamare da tutti i suoi collaboratori, per il grande amore che nutriva per la saga dei Corleone – ma certo se non fosse stato per lui, sarebbe finita in galera. Nessun giudice avrebbe creduto alla legittima difesa, visto che il programmatore non era armato e lei non aveva alcun livido addosso.
    In ogni caso, Leila era sparita dalla circolazione nel vero senso della parola. Il Padrino le aveva regalato una nuova identità, montando un finto omicidio-suicidio, con un incendio che aveva distrutto completamente il suo monolocale, non lasciando alcuna traccia dei corpi, se non quello che bastava alla scientifica per dichiarare che fosse morta anche lei.
    Un giorno aveva letto un libro di Paolo Coelho e una frase l’aveva colpita: La vita scorre molto veloce: ti fa precipitare dal cielo all’inferno in pochi secondi.
    Anche lei era precipitata improvvisamente, ma con la differenza che – adesso – era esattamente nell’inferno dove voleva essere.

    Un uomo alto, brizzolato, con una ventiquattrore marrone ammanettata al polso, stava uscendo dal palazzo di fronte al parcheggio.
    Passò davanti alla sua auto.
    Leila mise in moto, abbassò il finestrino e con la sua Smith & Wesson lo colpì alla tempia. Nell’attimo in cui premette il grilletto, vide il proiettile al rallentatore che si avvicinava all’uomo, che cadde a terra senza emettere un gemito.
    La sensazione di essere viva in quell’istante esatto non la abbandonava mai.
    Sorridendo, partì sgommando dal parcheggio.
    Nessuno l’aveva vista, nessuno aveva sentito niente.
    Anche questa volta il Padrino sarebbe stato soddisfatto.

  49. Sezione B – accetto il regolamento
    Ferite invisibili.
    Ho visto un bellissimo film su Nelson Mandela “Il colore della libertà”. Ha pronunciato queste due parole “ferite invisibili”, ed il mio pensiero si è perso tra le lacrime che lentamente hanno cominciato a scivolare sul mio viso senza un’apparente motivazione. Ma una motivazione invece c’è, ed è un dolore interiore che non riesce a scomparire.
    Quando ho scritto “Percorrendo la mia vita” ho concluso così:

    In amore,
    così come nell’amicizia,
    così come nel lavoro,
    ferire il prossimo è facile.

    E’ la consapevolezza
    di averlo fatto
    che è difficile accettare.

    Le parole non dette
    o dette a metà
    sono quelle che lasciano
    i segni più profondi.

    Non servono le scuse,
    servono i fatti
    a dimostrare
    di aver capito i propri errori

    Io le vedo le ferite, le vedo e le sento dentro di me. Sono le ferite della vita, inflitte nell’anima e non sul corpo e sono quelle che continuano a sanguinare senza fine, non c’è coagulazione. Non c’è rimedio e spesso sono immeritate. Sono le ferite causate dalle parole e dai comportamenti altrui, spesso inconsapevoli artefici di grandi dolori. Sono incancellabili, impresse nel profondo dell’anima. Io ci provo in ogni modo ad eliminarle, ma riemergono quasi a volermi dire che in fondo le ho meritate anche se so che non è vero. Ed è questa lotta intestina, tra consapevolezza e coscienza sopraffatte dalla realtà delle cose che mi lacera in ogni parte del mio essere. Mi chiedo perché io debba soffrire così tanto, perché non ho la capacità di far scivolare le cattiverie invece di assorbirle, perché non so essere diversa da ciò che sono e che spesso vorrei non essere.
    Io vorrei solo essere una persona normale, una donna felice, allegra, amante della vita, con il sorriso invece del pianto, magari un po’ superficiale, meno profonda ed interiore. Io voglio riemergere da questo strazio, vorrei essere presa per mano verso la gioia di vivere ogni attimo che mi sarà concesso ancora.
    Sarà questo spasmodico desiderio di essere amata e di poter amare a farmi stare così male?
    Oggi un amico mi ha scritto che bisogna imparare a bastare a se stessi. Io ci sto provando da oltre otto anni, ma non ne sono capace. E’ come se mancasse una parte di me, quell’uomo e quell’amore necessari per il completamento di un essere umano, il mio essere.
    Cristina

  50. Sezione A – accetto il regolamento
    Lacrime come la pioggia

    Scrosciante per una liberazione totale
    Lenta e continua per uno stillicidio persistente
    Goccia a goccia per una sofferenza senza fine.

    E’ quella goccia che rimane sospesa tra le ciglia
    In bilico fin quando l’occhio non accenna a chiudersi
    Quasi che il dolore non sa da che parte andare
    E poi scivola giù
    Lenta
    Calda
    Triste
    Si resta immobili, non c’è reazione a questo pianto
    È un pianto interiore
    È un grido che non esce
    Si sente la goccia sul viso
    Una piccola grande lacrima
    Che rimane indecisa quando arriva sul mento
    (chissà poi perché curva la traiettoria)
    Per poi scendere sul collo
    Invece di decidere di piombare nel vuoto
    Cristina

  51. Andrea Borrelli – Sezione B racconti brevi – accetto il regolamento

    All’ inizio devono essere sembrati belli, queste larghe colonne, a formare un lungo ed
    immenso porticato. Così lungo da collegare intorno a sé tutti i palazzi. Non importa
    quanto potessero essere alti e quanta gente potessero contenere. Ebbene,
    evidentemente da progetto dovevano essere proprio piaciuti tanto. Non importa quale
    grosso costruttore ci fosse dietro, e chissà quali fili era riuscito a muovere per
    ottenere una così grande lottizzazione. Quasi tremila alloggi popolari, affidatigli dal
    comune. Doveva essere il fiore all’ occhiello della nuova amministrazione. Non ci fu
    nemmeno una sola moneta sperperata per costruire tutto questo. Un immensa colata
    di cemento armato bianco. Collegato all’ interno da una interminabile serie di
    passerelle che avevano sostituito i balconi, che venivano usate per lo scambio di
    qualcosa, con la fortuna però di poter controllare tutto meglio dall’ alto. E sotto di
    esse infiniti porticati che si estendevano per tutta la lunghezza del palazzo. Dove la
    gente si nascondeva per non farsi vedere. Forse non aveva funzionato tutto come
    doveva. Questa gente sembrava essere stata isolata, avendo dato un posto a ciascuno
    di loro qualcuno si era come tolto un peso dalla coscienza. E questa gente come se si
    sentisse in dovere di ricambiare, rimaneva sempre lì. Intorno a quel palazzo, a girare
    sempre per le stesse strade. Ad aspettare che qualcuno venisse a trovarli, ma senza
    mai uscire, se non per necessità primarie. Sembrava triste ma aveva un senso.
    Ognuno era felice così. Era così ormai da un po’ di anni, forse troppi anni ormai.
    Lavoro, infatti, non se ne trovava. Ci si ammazzava per il lavoro e si ammazzava. Più
    che altro si combatteva. Le fila fuori dagli uffici di collocamento, oppure quelli dei
    privati pure strapieni. E la gente che si accalcava per parlare con qualcuno, per
    cercare un lavoro. E se lo trovava, se lo teneva stretto, come il bene più prezioso, più
    della vita. Era ragione di vita. Se non lavoravi non contavi nulla, non eri neanche
    preso in considerazione. Non entravi da nessuna parte, non avevi neanche i soldi per
    farlo. Ma la gente qui, il lavoro se lo inventava, anzi creava occupazione. C’ era
    sempre qualche posto vacante, libero da occupare. Non si faceva neanche in tempo a
    cominciare che ti portavano via. Lavoro ce ne era, per tutti. Si trattava sempre degli
    stessi lavori, non si cambiava mai. Ma l’offerta era sempre alta. E si guadagnava pure
    bene, forse per il rischio. Non poteva essere poi tutto così perfetto. Qualcosa che non
    andasse, dovevi aspettartelo. Ma forse per quei tempi andava bene. C’ era chi avrebbe
    ammazzato, e questa volta, ammazzava veramente.

    1. Andrea Borrelli – Sezione B racconti brevi – accetto il regolamento

      Goson e Anastafi

      All’ inizio devono essere sembrati belli, queste larghe colonne, a formare un lungo ed
      immenso porticato. Così lungo da collegare intorno a sé tutti i palazzi. Non importa
      quanto potessero essere alti e quanta gente potessero contenere. Ebbene,
      evidentemente da progetto dovevano essere proprio piaciuti tanto. Non importa quale
      grosso costruttore ci fosse dietro, e chissà quali fili era riuscito a muovere per
      ottenere una così grande lottizzazione. Quasi tremila alloggi popolari, affidatigli dal
      comune. Doveva essere il fiore all’ occhiello della nuova amministrazione. Non ci fu
      nemmeno una sola moneta sperperata per costruire tutto questo. Un immensa colata
      di cemento armato bianco. Collegato all’ interno da una interminabile serie di
      passerelle che avevano sostituito i balconi, che venivano usate per lo scambio di
      qualcosa, con la fortuna però di poter controllare tutto meglio dall’ alto. E sotto di
      esse infiniti porticati che si estendevano per tutta la lunghezza del palazzo. Dove la
      gente si nascondeva per non farsi vedere. Forse non aveva funzionato tutto come
      doveva. Questa gente sembrava essere stata isolata, avendo dato un posto a ciascuno
      di loro qualcuno si era come tolto un peso dalla coscienza. E questa gente come se si
      sentisse in dovere di ricambiare, rimaneva sempre lì. Intorno a quel palazzo, a girare
      sempre per le stesse strade. Ad aspettare che qualcuno venisse a trovarli, ma senza
      mai uscire, se non per necessità primarie. Sembrava triste ma aveva un senso.
      Ognuno era felice così. Era così ormai da un po’ di anni, forse troppi anni ormai.
      Lavoro, infatti, non se ne trovava. Ci si ammazzava per il lavoro e si ammazzava. Più
      che altro si combatteva. Le fila fuori dagli uffici di collocamento, oppure quelli dei
      privati pure strapieni. E la gente che si accalcava per parlare con qualcuno, per
      cercare un lavoro. E se lo trovava, se lo teneva stretto, come il bene più prezioso, più
      della vita. Era ragione di vita. Se non lavoravi non contavi nulla, non eri neanche
      preso in considerazione. Non entravi da nessuna parte, non avevi neanche i soldi per
      farlo. Ma la gente qui, il lavoro se lo inventava, anzi creava occupazione. C’ era
      sempre qualche posto vacante, libero da occupare. Non si faceva neanche in tempo a
      cominciare che ti portavano via. Lavoro ce ne era, per tutti. Si trattava sempre degli
      stessi lavori, non si cambiava mai. Ma l’offerta era sempre alta. E si guadagnava pure
      bene, forse per il rischio. Non poteva essere poi tutto così perfetto. Qualcosa che non
      andasse, dovevi aspettartelo. Ma forse per quei tempi andava bene. C’ era chi avrebbe
      ammazzato, e questa volta, ammazzava veramente.

  52. Andrea Borrelli – sezione A poesia – Accetto il regolamento

    Luce

    Camminare
    il lusso di camminare
    veder le cose bene attento
    a prendere con calma
    il bisogno di osservare.

    Passeggerei per descrivere
    nella mente.

    Non cerco correre
    troppo veloce sobbalzerei
    i particolari importanti.

    Stare fermo non mi aiuta.

    Neanche.

    Per più di un passo
    alla volta
    non andrò veloce
    ma svelto.

  53. Partecipo alla sezione B di poesia e ne Accetto il regolamento.
    ————————————La vecchia solitudine

    Ricordo quel dondolo;
    oscillava leggero
    e il braccio proteso, con l’apice al cielo puntato
    laddove vedevi un puntino
    gonfiato da infanti miraggi.
    Roteavi volgendo le funi torchiandoti il corpo,
    e srotolando, stordimento e vertigin ,donavan.

    E quando la seggiola birba
    cadeva,
    precipitosamente in discesa
    facendo sfiorare i calcagni nel terreno rasposo,
    tosto l’ardire resuscitava, istigando a salire più in alto.

    Oggi, chi sospinge quel solitario dondolo ?
    Quali risa gli rimbombano vicino?
    Quali lacrime si asciugan nel di sotto sterrato?

    Solo il diletto dei ricordi,
    di due vecchietti
    solitari anche loro nella fredda panchina di fronte.
    —————————

  54. SEZ A

    Sei azzurro di cielo,
    fragrante d’eterno,
    hai un cuore di fuoco,
    che nel mio mondo
    spande il suo ardore,
    la tua alma di neve
    e fulgide stelle,
    come rugiada
    ristora i miei sensi.

    Tu, agognata realtà,
    soave chimera,
    resta con me
    e non si farà più sera.

    Paolo Annibali
    accetto il regolamento

  55. Sez B
    Le avventure della Vita

    Il Cormorano Enzo e Lor, il Pulcinella di mare.

    Lor e il significato del volo

    Un dì, mentre i raggi di un sole al tramonto indoravano i flutti marini,
    su uno scogli, screziato dai riverberi dell’acqua, un anziano cormorano
    e un cucciolo di pulcinella di mare, lisciandosi il piumaggio, si beavano di tanto splendore.
    D’ un tratto, il piccolo esclamò:
    “ Tu che hai viaggiato molto, mi sapresti dire
    perché voliamo? ”
    L’enorme compagno allargò le ali,
    quasi in un abbraccio paterno, poi incrociando il limpido sguardo del suo protetto disse:
    “Bella domanda! Vedi Lor, Dio ci ha donato l’ incanto del volo affinché potessimo vedere meglio i pesci, per il nostro nutrimento, sfuggire ai predatori in caso di pericolo e per cercare più facilmente un riparo sicuro
    nella stagione fredda.”.
    “Tutto qui??” esclamò un deluso Lor.
    “Ummh… No caro, non è soltanto per questo…In verità ci libriamo nel cielo
    per fare il solletico alle nuvole, quando ci accorgiamo che sono tristi per qualche motivo,altre volte per far innumerevoli piroette sugli arcobaleni, altre ancora per curiosare tra i mercantili o accompagnare gl’instancabili pescatori ma il nostro compito più nobile è senza dubbio quello di prendere in consegna le preghiere di ogni uomo di mare e condurle lassù dagli angeli, così che il Padre Eterno le possa leggere ed esaudire, una per una.”
    concluse il cormorano con occhi lucenti di pianto.
    “Deve essere meraviglioso!!!
    Ecco, adesso ho veramente voglia d’imparare a volare!!”
    dichiarò un elettrizzato Lor, Pulcinella di mare, novello araldo dei Cieli.

    Paolo Annibali
    accetto il regolamento

  56. bruno sportelli.sezione a,accetto il regolamento
    …..A MIA FIGLIA…

    Quando il profumo di un giorno, che sa di meraviglioso, inizia a diffondersi nell’aria si riaccende il desiderio di viverlo nella maestosità.

    Donare il mondo, la vita, l’amore è sempre bello e se l’immaginazione va alla ricerca di un presente che renda gioioso l’omaggiato, cui va il pensiero, non rende mai grande il desiderio: il mio.

    Scavo con profondità nell’anima mia e mi accorgo che donare un sogno, un mio sogno, è più prezioso del diamante.

    Uno è, ormai picchiettante, riavere una sedia a dondolo di bambù.

    La mia vecchia sedia a dondolo, cosi forte, cosi unica nel riempirmi d’emozione quando accende il tempo passato che si affaccia nei miei pensieri.

    Sognerò ancora di posare il mio corpo stanco quando a sera accoglieva con amore sentimenti passati all’eternità.

    Sedia che mi ha accresciuto di tanto amore accompagnandolo verso un’esperienza nuova quella di padre.

    Vorrei riaverla per risentire l’intensità d’amore che un figlio sa dare liberamente.

    La rivivrei per tenere tra le braccia quell’amore che si stringeva sul mio petto in cerca del calore sprigionato dal cuor mio.

    Che emozione, che grandezza, regalava quell’esplosivo dono della vita tra le mie braccia e quando la sedia a dondolo oscillava le sue forme diventava più forte il sentimento che provavo.

    Sedia che rivorrei per la purezza di quello che mi regalato e ci ha regalato.

    Mi ha donato la voglia di vincere la stanchezza quando tra favole e canzoni mi accorgevo dell’avvicinarsi della notte.

    Sognerò questa sedia per avere ancora tra le mie braccia la tua voracità di vita, guarderò i tuoi occhi immensi chiudersi con la dolcezza di petali di rosa perché è il più bello spettacolo al mondo.

    So che ormai sei grande, sei donna, splendida donna ma tenerti ancora stretta a me, stretta al mio petto è il più bel sogno che faccio ogni notte.

    Sogno che si allarga smisuratamente per la voglia di mostrarti l’immenso amore che ho.

    Figlia mia, quante cose vorrei donarti solo per ringraziarti di rendermi felice quando incontro il tuo sorriso splendente sul tuo meraviglioso viso.

    Che splendore sei diventata e sono orgoglioso quando il tuo essere sa vincere ostacoli sempre più grandi.

    Sognerò ancora la “nostra”sedia a dondolo di bambù che ci ricopre, col suo andare, d’amore.

  57. Con la presente, io Silvana Puschietta, invio la mia poesia (sezione A) e accetto le condizioni del regolamento del concorso.

    Titolo : Speranza

    Se…

    ne la solitudine
    dei giorni persi
    rimescoli le carte
    e,
    ne l’oscurità
    dell’arduo cammino
    dissolvi i tuoi tarli

    Ecco…

    ne l’offesa
    della dignità lesa
    ritrovi la certezza
    del tuo credo
    e,
    ne la gola
    del tuo cuore
    respiri ancora
    un anelito d’amore.

  58. Io, Gian Contardo Colombari, dichiaro di accettare il regolamento della Gara gratuita di Poesie e Racconti brevi “Toccare il cielo” e di volervi partecipare nella Sezione A (Poesie) con il componimento “Augusto”, da me edito sul mio blog.

    —-

    Augusto.

    Il tuo tronco fiero e robusto
    purtroppo s’è alla fine arreso:
    ed ora anche su di te, Augusto,
    tristemente è planato, disceso

    il lugubre velo di una Morte
    che sembrava mille miglia lontana
    da un uomo così buono e forte,
    da una così limpida fontana,

    nella quale hanno gai zampillato
    i nobili e grandi ideali
    che sovente ci hanno aiutato
    a sopportare meglio tanti mali.

    Sulla breccia da stoico sei rimasto
    fino alla fine tu a cantare,
    mentre da fiero, incolto contrasto
    continuava coerente a fare

    il tuo bell’aspetto esteriore,
    che ribelle sempre hai mantenuto,
    contro un mondo che esser migliore
    avrebbe senza fatica potuto

    se molti altri avesser seguito
    le tue orme chiare, profonde,
    se avessero almeno capito
    che pure fra le agitate onde

    della vita d’ognuno quotidiana
    in te potevano sempre trovare
    l’àncora che, vicina o lontana,
    mai via la barca non fa andare

    di ogni personale esistenza,
    che a veri valori attaccati
    si poteva restare e che senza
    di essi si è come sradicati.

    E mentre la nostra mesta tristezza
    per fortuna non riesce a stingere
    in noi il ricordo e la dolcezza
    del tuo cantare e dipingere,

    in questo duro e triste momento
    prima che all’artista apprezzato
    il pensiero va con vero sgomento
    all’uomo da noi tutti ammirato,

    che purtroppo adesso abbiam perso,
    un uomo sensibile, generoso,
    alla meschinità sempre avverso,
    un uomo sincero e coraggioso.

    Provo un’impacciata sensazione
    ad ascoltar la tua voce buona
    e limpida con grande commozione,
    voce che purtroppo non più risuona

    dal tuo respiro ormai cessato;
    ma mi faccio forza a continuare
    a sentirti dal nastro registrato,
    perché è cosa giusta ricordare

    sia pur in questo modo modesto
    un amico che ci ha or lasciato,
    un amico che sempre fu onesto
    e che non sarà mai dimenticato.

    Il mio umore ora è stanco,
    dalla tristezza inciso, eroso
    come fosse l’argilla d’un calanco,
    ma come un dono molto prezioso

    di te, Augusto, sempre conserverò
    un ricordo indelebile, chiaro,
    e certamente non dimenticherò
    l’animo tuo, che mai fu avaro.

    5 novembre 1992, rielaborata il 24 agosto 2001.

    Alla memoria di Augusto Daolio, guida dei Nomadi.
    Di solito una persona muore due volte, quando si spegne fisicamente e quando viene dimenticata. Augusto è stato uno dei pochi a morire una volta sola.
    7 ottobre 2012: vent’anni dopo, Augusto continua a vivere nei nostri cuori.

  59. Giulio Gallucci , invio questa poesia per la sezione A , e dichiaro di accettare i termini del concorso .

    Titolo: Cielo

    Brividi blues
    Lungo la schiena ,
    Amnesia si contorna
    di ghiaccio e veste
    mantelli blu notte ,
    corro sui limiti del
    cielo , aggrappato ai
    bordi di un etere tetro .

    Vorrei – e quanto l’ ho
    immaginato , quanto ? –
    sentirmi l’universo
    dentro e il silenzio
    profondo , sentirmi
    niente , tenue
    riverbero
    d’un sogno !

    Sonno che acceca
    la belva attratta
    dalle luci del mondo
    sonno che spreca
    sguardi importanti ,
    destaci e portaci
    avanti , qui a rimirar
    le stelle siamo in tanti ,
    persi nel vuoto
    avvinghiati gli uni
    agli altri , coperti
    dal solo amore che
    ci scalda , nudi e
    pieni di malizia
    innocente ,
    ruotiamo cullati
    dal marmo dello
    spazio , spirali
    corrotte e
    traboccanti
    energia prepotente ,
    siamo luce che
    si apre ogni istante
    il movimento
    impercettibile
    di una particella
    impazzita , siamo il
    germe della follia
    insito nel canto delle
    cose , la variabile ultima
    frutto di un calcolo
    perpetuamente
    errato , siamo quello
    che è sempre stato ,
    un mucchio di vite
    malinconiche o liete , che
    guardano su , verso il cielo
    stellato .

  60. Con la presente, io Cardone Enzo, invio la presente poesia per la sezione A, e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    Titolo Poesia, sez. A: “Ho scritto del tuo sorriso”, lirica inedita

    La curva del tuo sorriso fa il giro del mio tempo,
    girotondo di un petalo di labbra.
    I tuoi occhi … hanno vissuto il ritorno del non essere.
    Lama di luce il tuo sguardo!
    Quando scrivo del tuo sorriso … le rose mettono radici nel tempio della verità.
    Ma cosa mi spinge a cercarti oltre questa notte?
    Quale follia?
    Quale visione?
    Le spalle, le labbra, i tuoi capelli sparsi al vento!
    Gioisce l’anima … e con essa il corpo …
    Chi sono?
    Chi sei?
    Resta! Dove la follia ci ha portato …
    Resta! Dove gli angeli gemono d’impossibile …
    Ho scritto del tuo sorriso …
    E il tempo ricama i suoi ricordi …

  61. SILENZIOSAMENTE
    NEL MIO CUORE

    Dalle ampie
    vetrate
    osservo
    il mare impetuoso

    agitare
    le schiumose
    criniere e

    infrangersi
    sugli scogli
    come
    mille diamanti.

    Sei vicino:
    ti sento
    e ti confondo
    con la forza

    imperiosa
    dell’azzurro
    in tempesta

    nelle costanti
    grida
    di cento
    gabbiani in
    volo

    che
    come acrobati
    di un circo
    lontano

    rompono
    la quiete di
    queste distese
    verdi e
    sconfinate.

    Ora
    nubi bianche
    nel cielo
    azzurro

    sembrano
    uscite da
    un disegno

    entrando
    silenziosamente
    nel mio cuore.

    Ti sento
    come la pioggia
    estiva
    che ora cade
    d’improvviso

    con ritmo veloce
    e mi bagna
    le vesti,
    mi carezza
    l’anima.

    Sei
    come il vento
    di luoghi
    caldi

    che disperde
    per un’attimo
    le paure e
    e le incertezze
    del domani

    sei
    come la sera
    dagli accesi
    colori che

    riempiono
    il cielo
    in una infinita’
    di linee.

    Sei
    come la notte
    d’estate
    cosi’ sensuale
    nella

    sua calma
    e nell’attesa
    d’amore
    …nelle labbra
    socchiuse.

    Tu
    sei ora qui’
    vicino
    a me

    nel tuo
    sorriso
    nelle giornate
    nel tempo.

    SEZ. A – accetto le norme previste dal regolamento

  62. RICETTA

    Prendi un etto di dolore
    Bravo, quello lì, dal giusto sapore,
    si proprio quello lì, che ti si aggrappa
    al cuore,
    come fossero due ventose,
    che pungono come spine di rose.
    Lo mischi con cento venti grammi
    di allegria,
    che ti rapisce e ti porta via,
    ti fa spogliare di te stesso,
    e nudo ti fa volare
    privo di ogni razionale nesso.
    Amalgama tutto, con forza,
    con vigore,
    fino a quanto la luce,
    sarà privata delle ore.
    Ne usicirà un impasto
    Eccitante, coivolgente,
    denso, ma trasparente
    nel medesimo istante.
    Si appunto, hai ottenuto “i sogni”.
    Spalma lentamente il tuo impasto,
    in tutta la tua vita;
    no !, lascia perdere il passato,
    rovineristi la lievitazione del presente.
    E adesso cuoci tutto al fuoco della passione.
    Mi raccomando è fondamentale,
    deve essere un fuoco, rosso acceso,
    ardente,
    enorme e incandescente,
    affinchè ogni singolo ingrediente
    acquisti nella tua teglia della vita,
    il suo giusto peso,
    la sua giusta dimensione.
    Ricordati, rossa, incandescente passione.
    Assapora ora il gusto di questo pane,
    impastato con il dolore,
    lievitato con l’allegria,
    cucinato con la passione.
    Vai carico di questa nuova energia.
    Permettiti di vivere intensamente i tuo sogni,
    lasciandoti trasportare in questa nuova via.

    Paolo_fogo 2012

    paolo fogo partecipo alla sezione POESIA a tema libero.

    accetto le condizioni del regolamento

  63. Invio ‘sta per ”merda” per la sezione A accettando i termini e le condizioni del concorso.

    CAPITO’ D’ESTATE

    L’estate, abulica e tremante,
    poneva afosamente al termine.
    Il pensiero però, che ribolliva tra il mio cinismo,
    rinverdiva ferocemente,
    straziandomi, umiliandomi, infastidendomi,
    nauseandomi, come un tanfo di cagna in calore
    che appesta le viuzze di un paesino abbandonato.
    Non so neanche io perché decisi di
    intraprendere quel viaggio.
    Forse la tua descrizione di Augusta meretrix:
    lassata virum necdum satiata recessit
    mi incuriosiva alquanto.
    Non ci volle molto a confermare tutto ciò.
    Qualche bicchiere di primitivo e qualche
    Gettone ad un videogame
    furono la mia fortuna.
    Non cozzavamo, anzi copulavamo!
    Il tuo amico dallo specchietto retrovisore
    assisteva a morbosi grovigli.
    Cercasti subito il pene eretto, che come
    un fungo alla quarta pioggia autunnale
    automaticamente sbuca. Lo trovasti!
    Quando la tua calda schiena tange
    le artiche piastrelle, sai che una sola
    cosa ti sta per accadere.
    Ormai quel pavimento era caldo,
    e anche un po’ bagnato.
    La tua insaziabile bocca deglutiva avidamente
    la mia calda essenza come un
    malato sistema congloba a se
    una mente sana. E ancora.
    Mi stupii, anche un po’!
    Bastarono tre tirate per sentirmi
    dinuovo in forze.
    E ripetemmo,forse anche noiosamente.
    Il rossore glandeo mi costringeva
    particolarmente, ma impavido resistevo.
    Quella notte cadde, solinga, cancerosa,
    con l’implicito detto che sarebbe
    prima o poi tornata. Le credetti!
    Il giorno dopo tacque,ma la notte,
    se non consiglio, mi porto senz’altro voglia.
    Eri sazia di me, ma io ancora, ingordo,
    lambii bramosamente le tue grandi labbra
    invogliandole con la mia languida lingua.
    ‘’Dietro’’ mi dicesti!
    Volevi che ti facessi male
    Cercai il tuo sfintere. Lo trovai!
    Le tue funeree urla mi impaurivano.
    Decidesti che era tardi.
    Ti affrettasti a farmi venire dentro
    e mi baciasti come se fossimo innamorati da sempre.
    Rattoppai la cintura e sgattaiolai
    dalla porta di servizio.
    Neanche un saluto ma solo un cenno
    Di sottile accondiscendenza
    Fecero da sipario a quella
    chissà quante volte rivista scena.
    Passata era la notte
    e dimenticata l’ebbi con lo scotch di Donny.
    Partisti! Ci riflettei…. forse anche un po’troppo.

  64. Sezione A -accetto il regolamento

    LA FINESTRA SUL CUORE

    Buongiorno mondo
    ti auguro ogni bene …
    il bene che mi vuoi
    e che mi hai donato,
    quello che non capivo
    e che, a volte, ho rifiutato.
    Ti auguro il colore
    e un nuovo “sguardo”…
    la pace ed il “calore”
    nel tuo traguardo.
    Ti auguro l’equilbrio
    e la dolcezza,
    la grande umanità
    di una carezza …
    la forza e la tenacia
    nelle decisioni
    ed anche la coerenza
    nelle azioni.
    Ti auguro di vivere la vita …
    di arrampicarti
    nella sua salita!
    Ti auguro l’amore
    in ogni sua forma,
    la gioia e il turbamento
    trasmesso da un abbraccio
    dato con sentimento.
    Ti auguro emozioni
    e positività,
    grandi momenti
    di serenità.
    Ti auguro di leggere
    ciò che hai scritto dentro
    e di trovarvi tutte le parole:
    affacciati mondo
    alla finestra sul cuore!

    Tiziana

  65. Sezione B

    L’ALBERO PAFFUTO

    Sulla collina di un villaggio se ne stava tutto solo, al centro di un piccolo giardino, un albero paffuto.
    Le sue foglie erano verdi e copiose, i suoi rami forti e robusti, le sue radici profonde e ben aderenti al sottosuolo. Dava ombra e frescura a chi, innaffiandolo qualche volta, si prendeva cura di lui.
    Gli uccellini gli facevano compagnia poggiandosi sui suoi bei rami, cinguettando allegramente.
    Era davvero un bell’albero …
    Un pomeriggio d’estate in cui il caldo era afoso e soffocante alcuni abitanti del villaggio andarono presso di lui a cercare frescura e refrigerio.
    Fu molto contento di poter donare un po’ d’ombra con le sue fronde rigogliose.
    Nei giorni a venire si sparse la voce che l’albero paffuto del giardino sulla collina faceva ombra e dava frescura, così nei seguenti pomeriggi sempre più abitanti del villaggio andarono sulla collina per godere della sua fresca ombra.
    Si stendevano sul prato portando con sé cibi e bevande e si trattenevano fino a sera mangiando, bevendo e facendo baldoria.
    Restavano nel prato, però, i resti del loro cibo: torsoli di mela, bucce di arancia, sacchetti di carta … tanta roba e tanta immondizia.
    Gli animali dei dintorni, che avevano sempre ammirato e apprezzato quell’angolo di cielo sulla collina, cominciarono a vedere rattristarsi l’albero paffuto.
    Ogni giorno l’immondizia aumentava …
    Lui continuava a donare con amore la sua ombra … ma c’era chi non aveva rispetto per il suo giardino.
    Sempre più spesso dimenticavano perfino di innaffiarlo.
    Innaffiavano, però, con rosso vino liquoroso, le loro gole assetate di gozzoviglia.
    Fu così che le sue verdi foglie presero ad ingiallirsi ed a cadere. I suoi rami diventavano ogni giorno sempre meno resistenti. Anche le sue radici non erano più così saldamente aderenti alla terra sottostante.
    Gli uccellini non gli davano più volentieri la loro compagnia perché lo vedevano triste.
    Cosa stava accadendo all’albero paffuto?
    Si era di colpo invecchiato …
    Il dispiacere di non essere curato e rispettato aveva messo l’inverno nel suo cuore.
    Il cuore é il motore di ogni creatura, é lui che guida e dà forza e sostegno all’animo ed é lui che dà ad ogni creatura lo slancio vitale.
    Il cuore dell’albero paffuto si era ammalato per la mancanza di cure da parte di chi aveva potuto godere dei suoi benefici. Ciò che egli aveva donato con amore non era stato apprezzato; non vi era rispetto nel prendere ciò che egli donava senza aver cura di mantenere il suo spazio curato e custodito.
    Un giorno un bimbo si recò sulla collina, con il suo carretto, per fare compagnia all’albero paffuto.
    Gli disse :- ” Non devi essere triste … C’é chi ti vuole bene davvero e chi avrà sempre cura di te non dimenticando mai ciò che tu hai fatto con amore e sarà amore che ti darà in cambio…sempre e comunque!”
    Dopo aver detto queste parole, il bimbo cominciò a raccogliere da terra l’immondizia e a riporla nel carretto. Una volta pieno il carretto tornò al villaggio a svuotarlo.
    I bimbi, suoi amici, videro ciò che aveva fatto e gli chiesero di poter fare lo stesso. Così il pomeriggio successivo furono diversi ad andare, con il loro carretto, a far compagnia all’albero paffuto … ed a prendersene cura.
    Nel giro di pochi giorni il piccolo giardino intorno all’albero paffuto era di nuovo pulito.
    L’albero paffuto in cuor suo si commosse e capì che non bisogna mai rattristarsi pensando di essere soli al mondo, c’é sempre qualcuno che ti vuol bene e avrà per te cure sollecite e amorevoli, riconoscente e rispettoso del tuo amore donato con “amore”.
    Nel tempo l’albero paffuto si riprese … Le sue foglie tornarono ad essere verdi e copiose, i suoi rami forti e robusti e le sue radici ancora più salde al terreno sottostante. Le sue fronde ripresero a donare ombra con amore … Gli abitanti del villaggio avevano capito, grazie ai bimbi con il carretto, una grande lezione di vita che può essere riassunta loquacemente con queste semplici parole: “l’amore in cambio non vuole altro che amore … e non é mai troppo tardi per donarlo”!

    Tiziana

  66. Con il presente, io Granati Cesare, invio il racconto per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    Poesia sezione A

    IMMAGINE IMMOBILE

    Vorrei poter parlare,
    conoscere la bellezza
    che l’immagine immobile
    mi lascia guardare.

    Conoscere più del tuo nome,
    mai ho avuto il coraggio,
    mai ho avuto l’ardore,
    vorrei chiederti, come?

    Come guardi il mondo?
    Che gusto ha il tuo corpo?
    Cosa vedono i tuoi occhi?
    Cosa brucia nel profondo?

    Ora è troppa la distanza,
    resta solo un’immagine,
    una folle idea
    che nella mia mente danza.

  67. Con il presente, io Granati Cesare, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    racconti brevi B

    OLEZZO DI CANE BAGNATO

    Il maggiolino color salmone era la sua unica certezza. Non lo abbandonava mai in panne ai bordi di qualche sperduta strada di campagna, non serviva particolare manutenzione: una vera auto tedesca. Che disciplina, che forza di volontà racchiuse in quel piccolo gioiello. Mentre entrava nel parcheggio della scuola riservato ai docenti, pensava come quella decadente istituzione didattica fosse diversa rispetto alla sua invincibile vettura. Ormai l’anarchia governava sovrana. Cosa avevano in testa i suoi colleghi? Volevano favorire la creatività degli alunni? Jack Gudfood la pensava in maniera diversa. Ordine e disciplina. Queste erano le parole d’ordine del suo metodo di insegnamento. Le forze che governavano il suo perfetto universo matematico. Era sufficiente guardare l’interno della sua auto per capirlo. Tutto perfettamente in ordine. Non un CD o una musicassetta abbandonati in giro, non un pacchetto di fazzoletti disperso sotto i sedili, il cruscotto era immacolato, nel porta bagagli solo la ruota di scorta e un ombrello per un eventuale acquazzone improvviso, sia mai che il cielo decida di darsi all’anarchia. Mentre usciva dalla macchina, arrivò la Professoressa Wisemuller. Quando era entrata a far parte del corpo docente Gudfood era felice di sapere che una collega di origine tedesca, come la sua auto, fosse finalmente arrivata nella scuola. Quanto mal risposto era quell’entusiasmo! La Wise, come la chiamavano gli alunni, era innamorata della cultura classica, in classe non si faceva mettere i piedi in testa, ma soleva dire “Il modo migliore per disciplinare i ragazzi è fargli capire quanto sia meravigliosa la cultura, quanto sia possibile migliorarsi attraverso lo studio.” Che stupidaggini, pensava Jack Gudfood. Meraviglia, miglioramento? Uno 0 resta uno 0 e basta, e un individuo può solo avere consapevolezza di sé. “Miglioramento? Questi ragazzi già crescono con l’idea di poter fare tutto, se incentiviamo questa follia saremo colpevoli quanto quei debosciati dei loro genitori. Che imparino la rigidità del mondo attraverso la severità dei loro insegnanti e la durezza delle materie che siamo pagati per inculcargli nel cervello.” Avevano avuto questa discussione diversi anni prima, da allora praticamente non si rivolgevano la parola. Quando quella mattina la Wise arrivò e scese dalla macchina, Gudfood le diede le spalle fingendo di sistemare qualcosa nella sua valigia da professore d’altri tempi. Lei, che oltre ad essere colta ed elegante era anche bellissima, non poté che sorridere di fronte alla vigliaccheria di quell’ometto arrabbiato. Il suo sorriso ironico fu spezzato da una smorfia di disgusto quando l’olezzo di cane bagnato che impregnava Gudfood le invase il naso. Affrettò il passo e lasciò il professore a frugare tra i suoi libri e i compiti degli sfortunati che avrebbero dovuto sopportarlo quella mattina. Gudfood aspettò di sentire la porta di servizio chiudersi alle sue spalle e poi si voltò. Il professor Metalstock sgommò con la bici peggio di un ragazzino. Come sempre legò il lucchetto intorno all’alberello di poco distante dall’auto della Wise, così all’uscita avrebbe potuto scambiare due parole con quel bel pezzo di professoressa. Gudfood provò a ricambiare il cenno di intesa che il collega gli lanciò mentre si rialzava dopo l’operazione di ancoraggio. Andrew, questo il nome del professore di educazione fisica, decisamente sovrappeso per essere un insegnante di ginnastica, compativa Gudfood e tentava di essere gentile con lui. Quel giorno però l’omino pazzo e baffuto aveva dimenticato di lavarsi, probabilmente non si lavava da un pezzo. “Jack, ma ti pare che sia possibile puzzare in questo modo?” Disse Metalstock mentre si allontanava dalla bici. Il mezzo sorriso sul volto di Gudfood si trasformò in un’espressione di puro odio. Ignorante, panzone, ladro di denaro pubblico. Puzzare? Ti pare che potesse sprecare della preziosissima acqua pubblica per lavarsi tutti i giorni. Una volta a settimana era più che sufficiente. Lo stesso valeva per il ricambio e il lavaggio dei vestiti. Puzzare? Ma chi si crede di essere, un mio amico? Avrebbe voluto dirglielo a quel buontempone, lui, Jack Gudfood insegnava la materia più preziosa dell’universo, la matematica, Metalstock era uno scandalo che fosse chiamato professore. Educazione fisica? Non si può nemmeno considerare una materia.
    Questi pensieri affollavano la mente del Professor Gudfood quando entrò in classe. Bene, finalmente poteva scaricare un po’ di quel risentimento sui suoi alunni.

  68. Luca Bagordo – Sezione B – Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso “Toccare il Cielo”.

    (E se piove, aspetteremo il sole)
    Non temere
    le più oscure nubi
    tra cielo e terra,
    tempesta d’inchiostro
    sui vergini fogli
    della tua sensibilità.
    Non aver paura dei fulmini,
    anima folgorata dall’ansia,
    come lo scheletro di un ombrello
    che giace sulla strada bagnata,
    dilaniato dalla pioggia
    e dal vento della bufera.
    Stringiti forte a me,
    e se piove,
    aspetteremo il sole.

  69. Io Pino Frau partecipò alla sezione A del concorso e dichiarò di accettare i termini del regolamento

    commozione

    bella
    questa terra
    la mia
    terra
    distesa

    sane le parole
    che la cantano
    puri i pensieri
    che la pensano
    la mia terra
    la mia

    bagnati
    i movimenti
    che la ispirano
    e le linee
    quando la pensano

    come le lacrime
    che nascondo
    per non farla soffrire
    questa terra
    la mia terra
    la mia

    perchè le manco
    davvero
    alla mia terra
    e lei lo sa
    da sempre

    come lo so io
    dal terrazzo di
    questa vita
    la mia vita
    la mia

    sono io
    la mia terra
    e lei è come me

    lontani e vicini
    compresi e incompresi
    affamati noi
    entrambi disperati
    rassegnati
    felici e innamorati

    sardi entrambi
    non solo per gli altri
    separati per amore
    …da sempre

  70. Con il presente, io marcello de santis, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    COME TI VORREI…

    Come ti vorrei…come ti vorrei, vorrei, vorrei…

    La voce di eros ramazzotti scorre dolce sul suo corpo di ragazza, fino a scon-volgere il fondo della sua anima, del suo cuore in tumulto.
    Sembra che stia cantando solo per lei, nel sole che si compiace di accarezzare la sua pelle dorata. E’ distesa sulla sabbia rovente, gli occhi a una rivista aperta, che non vede neppure.
    Tutto il suo corpo è scuro, abbronzato, che nel tempo ha assunto il colore del miele. La voce e la musica la portano verso i ricordi.
    Lui glie l’aveva accennata in lievi sussurri, quella sera, mentre la cingeva forte con le braccia; leggeri baci prima sul viso, poi sulle labbra di granato.
    E ancora : “come ti vorrei…”.

    Adesso la sua mente non è più; nella testa solo sabbia,, sole, cielo, mare…
    nel cuore, niente.
    …come ti vorrei…come ti vorrei…vorrei…

    Era durato il tempo di una rosa, quell’abbraccio, quel bacio.
    Ora al ricordo la scuote un tremore inconsueto.
    S’era ripetuto poche volte, quell’abbraccio, quel bacio.
    Poi ne vennero altri, pochi invero.
    Due, tre, forse quattro.
    Dopo, lui s’era messo appresso a luana.

    Veniva dal sud-africa; biondissima, parlava quasi bene la nostra lingua.
    Era bella… e più libera di lei.
    Alle sue strette, lei si lasciava andare (gliel’aveva confessato proprio lui, non richiesto, quell’ultima volta…), alle sue carezze luana rispondeva con sospiri di pia-cere, ai suoi toccamenti ai capezzoli d’ambra – così s’era espresso – emetteva grido-lini d’estasi.
    A lui piaceva tutto questo; tutto questo, che con lei non era.
    Con luana, si sentiva un altro.

    L’estate era arrivata subito, quasi improvvisa, e il dolore dell’abbandono si confuse con il sole e il mare, e il cielo.
    Ma era più forte del sole, più grande del mare, più vasto del cielo.
    Lacrime, quand’è sola, inutile cancellarle col dorso della mano, si uniscono al sale dell’acqua sul viso, e filtrano pesanti nel suo cuore.

    …fermati un istante…non fuggire…
    questo amore mi divora, sai…
    come ti vorrei…
    come ti vorrei…

    E’ sulla sabbia di fuoco, con il fuoco dentro, solo l’anima è di ghiaccio.
    Si preme le dita sulle palpebre chiuse a scacciare il ricordo di un amore, sof-ferto solo da lei.

    … come ti vorrei… come ti vorrei…

    Si solleva sui gomiti, la testa bassa alla rivista, che non vede; adesso è in piedi e scuote i capelli rossi, li tira indietro e li imprigiona in una bianca stoffa elastica.
    Con le gambe ambrate di sole e di sale, corre verso l’acqua che gioca quieta alla risacca. Fa qualche passo sul bagnasciuga, bella negli occhi, il petto prorom-pente di desiderio sotto la breve tela leggera.
    E’ sola come mai.

    Due anziani bagnanti al largo, lontani, due ragazzine che giocano sulla spiag-gia col tamburello.
    Ella vola leggera, per un tratto, nell’acqua bassa, alzando ed affondando in-nanzi a sé le gambe di gazzella.
    Rallenta, ora che l’acqua è alla vita, e si tuffa a testa in giù per riemergere più in là.
    Poi scompare,
    rispunta,
    e nuota verso il largo.

    … come ti vorrei.. come ti vorrei…

    Sulla sabbia la canzone che viene dal juke-box del bar s’attenua, lei se ne va laggiù, e aspetta l’onda bianca che sta arrivando, per stare sola, per stare più sola, più sola…
    Per piangere, e confondere le lacrime con l’acqua, senza doversi passare il dorso della mano sulle gote…

    marcello de santis
    mdsantis@email.it

  71. Con il presente, io marcello de santis, invio la poesia per la Sez. a e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    IL CALCIO DI RIGORE

    Si stagliò in volo d’angelo il portiere
    ed abbrancò all’incrocio quel pallone,
    e se lo tenne, a terra, stretto al petto
    in un atto d’amore.
    L’allenatore
    esultò quasi pazzo di allegrezza.

    Plaudirono l’impresa nel delirio
    gli spalti elettrizzati; la prodezza
    si confuse in un mare d’emozione.

    Non venne il sonno a casa quella sera;
    con la sua donna al fianco, ripensava
    al calcio di rigore,
    e respirava
    la nuova primavera della squadra:
    un fantastico inizio di rimonta
    per evitare la retrocessione.
    Quel pallone
    bloccato tra le braccia
    rimase nei suoi occhi lungamente.

    Lo prese un batticuore…
    si volse alla sua donna
    gli occhi chiusi…
    le chiese: dormi amore?
    una voce sottile: t’aspettavo!
    E allora si sentì scoppiare il cuore.

    marcello de santis

  72. AUTUNNO
    Bentornato mio anelato autunno
    ora portami con te
    fammi volare
    con ali di foglie bagnate
    dalle tue piogge dispettose
    intingi i miei sogni sempre nuovi
    nella glauca cascata
    del cielo mai stanco
    e sorreggi le mie parole

    a volte vaghe
    sulla scia argentea delle stelle
    riflettendo il loro senso
    nel lusso rubato
    alla luce di una luna piena…

    (Alessandra Corsano) dichiaro di accettare il regolamento SEZIONE A

  73. Con il presente, io Pisano Filippo, invio la poesia per la Sezione A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    TOGLI LA MASCHERA E RICONOSCERAI TE STESSO

    Vita,
    maschera affascinante dall’espressione indefinita,
    il tuo volto sorridente sfugge,
    la tua voce e’ innocente,
    nella tua piu’ grande espressione: l’amore.

    Il creato ruota nel cerchio della vita, dove tutto accade
    e viene vissuto come riflesso in un moto rotatorio.
    Non armonizzando la nostra stessa natura,
    la conseguenza e’ di non armonizzare noi stessi.

    Artefici del nostro essere artificiale viviamo in superficie,
    ci affidiamo ad illusioni da noi create.
    Condizionati dalle abitudini svolgiamo compiti,
    produciamo pensieri preconfezionati,
    perdendo l’origine del nostro sentire.

    Così facendo rinneghiamo noi stessi,
    il nostro essere piu’ intimo e personale,
    tradendolo.

    L’accettazione attrae il centro del vortice
    fino a raggiungere la pace dello stesso.
    Centrati come perno di una ruota d’amore,
    per essere vite della vita.
    La vita e’ una ruota che ti riporta a te stesso.

  74. Con il presente, io Giancarlo Pizzuto, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Nuove albe, nuovi cieli
    Si, quella sveglia che suonava alle 5 del mattino era fastidiosa.
    Spezzava il sentirsi coccolato nel tepore delle coperte, allontanava, d’improvviso e in maniera brusca, la sensazione di benessere, data magari da qualche bel sogno o dalla consapevolezza di aver cercato di fare il proprio lavoro, di geometra, di padre e di marito, al meglio delle proprie possibilità, almeno fino al giorno precedente.
    Si, era fastidiosa quella sveglia, ma bisognava farla smettere, Angela la sentiva e anche se da lì a poco si sarebbe alzata anche lei dal letto, qualche altro minutino mi piaceva regalarglielo, però è vero che il più delle volte era lei che mi scuoteva e mi chiamava all’ordine, comunicandomi l’orario.
    Angela ha sempre avuto il sonno leggero, è sempre stata capace di sentire il lievi gemito dei nostri figli quando non stavano bene, saltando giù dal letto immediatamente per andare a controllarli.
    Pur nella sua stanchezza, accumulata lavorando e poi facendo la madre e la moglie, con lo sforzo immane di farlo al meglio, così come intende gli impegni mia moglie, si svegliava immediatamente e già con tutti i sensi e le funzioni al massimo dell’efficienza…come possano le madri fare questo non lo so, saranno bioniche…io ho tentato di farlo, qualche volta, ma dopo uno o due passi dovevo sedermi…mantengo la pressione bassa e l’alzarmi di botto mi provoca giramenti di testa, quindi era sempre lei ad essere immediatamente al capezzale dei bimbi, fosse stata o no una giornata pesante, lei era sempre lì al primo accenno di tosse o di lamento, quindi quel trillo fastidioso era come un colpo di cannone per lei.
    Scendere al buio per non infastidire i miei figli molte volte portava a rischi per la mia incolumità, non di rado inciampavo in qualche pupazzo dei Power Ranger, di Hamtaro o di Toy Story, l’ordine a casa mia non è mai stato molto pressante nella mente mia e dei miei figli, cosa che ha sempre fatto disperare mia moglie, ma nel nostro “apparente” disordine noi trovavamo tutto, cosa che non si riusciva a fare quando Angela metteva in “ordine” le stanze.
    Caffè, abluzioni e tutto il resto non portavano via più di mezzora e afferrate le chiavi della macchina e gli strumenti che occorrevano quel giorno in cantiere, uscivo per magari percorrere cento-centocinquanta chilometri.
    Alzare gli occhi e guardare il cielo era cosa che facevo ogni mattina, un gesto istintivo per cercare, in quel velluto scuro che andava colorandosi ad est, l’ombra di qualche nuvola temporalesca, deleteria per il mio lavoro, ma ancor di più per il lavoro dei miei ragazzi, autisti, carpentieri e manovali, a cui la pioggia avrebbe portato via quella giornata di paga; pur essendo in cantiere, se pioveva non venivano pagati, non c’era indennità pioggia da noi, mentre io ero stipendiato.
    Non poche volte, in cantiere, dopo aver già fatto qualche ora di lavoro, capitava una pioggia fittissima, che non poteva far altro che farmi fermare i lavori. Se si era in zona lavica allora si aspettava un po’, sperando che spiovesse, ma quando si era nelle zone argillose, il fermare i lavori era anche presupposto che, questo fermo, sarebbe durato qualche giorno, per far asciugare il fondo. In quei momenti era pesante per me guardare le facce dei ragazzi, loro vivevano di quel lavoro.
    Si, anche io, ma come scritto prima, io ero a stipendio e a fine mese sarei stato pagato sempre lo stesso, loro segnavano le giornate lavorative sul calendario e quando ne veniva a mancare qualcuna significava qualche spesa in meno per loro, anche se necessaria.
    Ebbi degli scontri con il mio datore di lavoro in quanto segnavo e cumulavo le varie mezze giornate lavorative e cercavo di fargliele recuperare e non poche volte mi sentii dire “ma se di pomeriggio ha piovuto!” e questa sua affermazione significava che non aveva considerato quella giornata nel conteggio, ma la mattina? Tutte le mattine in cui poi era piovuto di pomeriggio? No, non avrei mai tolto quei soldi dalla tasca dei miei ragazzi io! Sono anomalo come geometra? Che ci posso fare, così sono! Per le cose giuste ci vado pure a morire e non mi è mai sembrato corretto mangiare le ore di lavoro degli operai.
    Cercare di sdrammatizzare un po’, improvvisando in cantiere, mentre piovigginava, una danza della pioggia al contrario fatta da tutti noi era un modo come un altro di cercare di far passare un po’ di tempo, per aspettare una schiarita, ma girare attorno al fuoco, cantando “heya hoo, heya hoo!” come gli apache, ci faceva guardare strano dai vari proprietari che andavano via con un mezzo sorriso, ma per lo più con quell’aria perplessa di uno che pensa “saranno scemi questi di questa impresa?”.
    Si, guardavo il cielo, ma non mi soffermavo sull’intrinseca bellezza che il levarsi del sole ad est dava a quel cielo, non mi soffermavo sugli splendidi colori che la natura riesce ad esprimere in un’alba o in un tramonto, era uno sguardo fugace e interessato, uno sguardo distolto subito dopo aver constatato la mancanza o la presenza di nuvole.
    L’alba molte volte mi accompagnava in macchina verso il cantiere, e all’atto della bitumazione della strada, quando doveva arrivare la finitrice, la macchina per stendere il bitume, voluminosa e per questo veniva spostata e portata in cantiere di notte, l’alba la vedevo dal cantiere stesso.
    Erano albe che si schiudevano su cieli per lo più sereni, la mitezza del clima siciliano fa sì di avere pochi giorni piovosi, erano albe che si schiudevano anche su cieli che vedevo sereni anche dentro il mio animo, dei cieli azzurri che mi accompagnavano nella mia vita e nel mio futuro, albe magari tutte uguali, ma albe su cieli senza nuvole per quello che poteva essere il mio lavoro.
    Ora dormo poco, già alle tre-quattro del mattino sono in giro, i pensieri non mi fanno più riposare, ho perso il lavoro nel 2009 e da quel momento non sono più riuscito a rientrare in questo mondo del lavoro, si guarda alla mia età, adesso ai miei 52 anni, e le albe sono uno spettacolo che mi accompagna ogni mattina, dai lucernari di casa mia o in terrazza se mi viene voglia di fumare, ma sono albe dai colori attenuati, sono albe che ancor più di quando lavoravo, guardo a stento, perché sono solo l’affermarsi che un nuovo giorno si è cumulato sul mio curriculum vitae e quasi le odio.
    Sono nuove albe che si schiudono su nuovi cieli, ma il terso di quei cieli non esiste più per me, sono albe che si schiudono sempre in cieli pieni di nuvole tempestose, con ormai solo piccoli sprazzi di sereno.
    Si, nella mia vita, dal 2009 ad ora, si vedono nuove albe e nuovi cieli, ma non hanno niente di sereno.

  75. UNA SCIA DI LUCE

    Una lunga scia di luce
    mi spaventava…!
    Notte strana d’un giorno
    qualunque che finiva!
    Come una cometa
    alzatasi in cielo…
    tutto scompariva
    nel nulla…
    Svanita!
    Come la voglia tremenda
    di lasciarmi alle spalle
    lancinanti lamenti…
    pause che attendevano
    una risposta risolutiva!
    Quel profumo intenso
    che arrivava dal mare…
    sapeva d’antico…
    di momenti gioiosi
    con persone amiche
    che ora…
    non sono più qui!
    Quella lunga scia di luce
    mi trascinava sfinito
    in un giorno qualunque
    che finiva!

    Io sottoscritto, Franco Maccioni, accetto le norme previste dal regolamento per la Sez. A.

  76. Carmelo Anastasio 13.10.2012 – Accetto il regolamento – sezione A

    Ghirigori

    Esiliato dal tempo
    non posso viverti
    e pallidamente aspetto
    di qua e di là
    come morto
    non ancor risorto
    senza gloria.

    Loschi bagliori.
    Eppure questo corpo sguscerà
    per vivere la serpe
    in questo nulla che ci separa.

    Clandestina novità
    che si arrampica,
    che sale
    che scende
    e s’aggrappa spingendoti
    ora in alto,
    ora in basso.

    13

    Potremmo alzarci urlando
    mano nella mano
    schiena contro schiena
    investendo i colori
    ora il rosso, ora l’azzurro
    oltre la spiaggia
    sempre più piccola sino al punto.

    Non possiamo cadere.
    Noi non ci siamo.
    E ancora più su
    rapiti dal vento
    zavorrati solo dai genitali.

    Poi, a poco a poco,
    riportandoti giù
    assaporare ancora
    quell’attimo magico
    l’uno nell’altra
    cullati nell’arco di luce.

    E infine silenzio
    nella vertigine
    leggero come l’aria.

  77. Con il presente,io Anna Giordano, aprtecipo per la Sezione B “racconto breve” e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    La rosa nel giardino

    Era da anni che più nessuno si occupava di quel giardino infondo al parco, circondava una vecchia villa decrepita. Le erbe infestanti facevano da padrone, avevano occupato tutti gli spazi che ormai da tempo non erano stati più curati.
    Il Giardino si guardava intorno per scorgere se si fosse salvato al meno un fiore di quelli che aveva visto tante volte colorare i suoi giorni.
    Ogni mattina al sorgere del sole si guardava e ricordava quello che era stato, ornato da tulipani colorati, da primule e viole, mimose e tante margherite che coprivano la sua superficie… I ricordi lo facevano sognare. Ogni sera prima di addormentarsi raccontava alla luna che gli teneva compagnia, la sua disperazione per l’unica rosa che aveva nella sua terra piantato le radici, sino a toccargli il cuore e della quale si era innamorato, ma che purtroppo, non era più rifiorita. Raccontava di lei, la sua bellezza, sussurrando alla luna il velluto dei suoi petali rosso fuoco, della sua eleganza vestita di spine e foglie verdi e del profumo che l’inebriava ogni sera… La luna l’ascoltava e una sera di maggio, intenerita dalla sofferenza del povero giardino, lasciò cadere una lacrima che brillava di una luce bianca e pura, appena tocco il suo suolo si formò un cerchio, nel centro del quale spuntò una piccola gemma, con i suoi raggi l’illuminò mostrandola al giardino.
    Poi sparì dietro una nuvola ed il giardino ebbe giusto il tempo per vederla. Un brivido percorse la sua terra e felice del dono si addormentò aspettando il giorno. Quando la mattina seguente si svegliò, la piccola gemma era già cresciuta, era una pianta di rosa, quando se ne rese conto la gioia lo pervase e tremò tutto il terreno, tanto che le erbe infestanti ne furono scosse.
    La rosa per qualche giorno rimase anonima, nessuno si era accorto di lei, ma le attenzioni che il giardino le prodigava scuotendo le erbacce perché non invadessero il suo spazio, fece ingelosire l’edera e il giorno che la rosa sbocciò e si elevò al disopra delle erbe infestanti, sfoderando tutta la bellezza dei petali vellutati cosparsi di brina mattutina. Brillava al sole come una regina con il diadema di diamanti gocciolanti, poggiati dalla notte sulla punta dei suoi petali aperti e sorrideva al giardino innamorato che estasiato teneva a bada le erbacce perché non le facessero male.
    L’edera gelosa strisciò silenziosa ed uno dei suoi tanti tentacoli avvicinò la rosa, poi fingendosi amica elogiò la sua bellezza e le domandò di abbassare le sue spine per poterle porgere una carezza. La rosa gentile acconsentì ed abbassò le spine sotto lo sguardo del giardino che nulla poté fare per impedire all’edera di avvinghiarla appena si svestì delle sue spine e con una forza estrema, l’edera, serrò forte il bocciolo di rosa che soffocò e cadde sulla terra del giardino che la strinse sul suo petto e pianse insieme al cielo il suo amore.

  78. Partecipo per la sez. A e ACCETTO QUANTO STAILITO DAL REGOLAMENTO DEL CONCORSO.IL CIELO DELL’OBLIO

    Si,ci sarò un giorno
    in quel cielo che illumini,luna,
    ci sarò tra le macerie
    del mio corpo finito,
    attraverserò praterie
    e mari sconfinati,
    la luce infinita attraverserò,
    salirò su vortici di stelle,
    il mare dell’oblio bagnerà il mio corpo
    etereo e leggero,
    il sole calante cullerà
    i miei sogni infiniti,finiti,
    sulla cima dei monti
    cullerò la mia essenza,
    bandiera sventolante di ciò che ora sono.
    La strada immortale dell’eterna vita
    mi abbraccerà,
    la mia terra sarà ,ormai,lontana,
    io,oltre la luna infinita
    stella luminosissima sarò …
    Trascorre in fretta il mio tempo,
    terre lontane e suoni distanti,
    paesaggi vissuti,erbe,
    che mi abbracciano,
    stesa a sentirne il profumo ancora,
    ore sconfinate,bui luminosi,
    cieli trasparenti come l’essenza
    di ciò che ora sono …
    Un tetto in cima al mondo ,
    l’ultima dimora,
    accarezzata dal profumo dei desideri
    soffocati al mio tramonto
    e al mio essere,ormai ,troppo
    distante e per sempre,
    dal mondo che abitai,che amai …
    La strada infinita finirà per me,
    attraverserò sogni e desideri,
    sola ormai e lontana
    osserverò ciò che fui
    e che più non sarò!
    Altri cieli ,che non conosco ,mi terran-no,
    altre luci,altri saranno i sogni,
    bagnata dal mare dell’infinito
    cui apparterrò per sempre,
    stringerò la mia voglia di voi,
    vi cullerò nei miei sogni,
    tempeste di desideri,forse,
    o forse il nulla ….

  79. Racconto fortemente autobiografico dal titolo “Il vestito rosso”… Ricordi della mia infanzia. Dichiaro di accettare le condizioni del concorso …
    Sez.B

    IL VESTITO ROSSO

    Quando la luce dell’alba cominciò ad insinuarsi nella stanza con la tenera luminosità di un nuovo giorno, io ero già sveglia.
    Sentivo gemere la voce del vento che filtrava dagli spifferi delle persiane e dalle finestre ancora chiuse. Il vento mi procurava un senso di oppressione ma, stranamente, in quelle ore mattutine di quella domenica di Pasqua, la tristezza non aveva nessun rapporto con me, la lasciavo all’esterno libera di appartenere a tutti, tranne che a me.
    Io ero un mondo a parte.
    Niente e nessuno poteva strapparmi dalle viscere quel sentimento di gioia e di unicità che mi esplodeva dentro. Ogni tanto uno sguardo pieno di ammirazione correva sul mio vestito, finalmente pronto da indossare. Vivevo quell’attesa sin da quando, eccitata, scelsi il colore della stoffa, un fresco lana di uno sgargiante rosso porpora.

    La signora del piano di sopra, che faceva la sarta, mi aveva presa per le braccia con le sue grandi mani, posandomi eretta sulla sedia.
    Aveva l’aspetto severo di una matrona d’altri tempi. L’abito le si stringeva attorno al corpo robusto. La testa, sull’ampio collo, si muoveva in continuazione verso destra senza alcuna ragione in un angoscioso, anomalo tic … E non simulava certo la sua onnipresente stanchezza. Lo si poteva dedurre anche da come camminava, strascicando i piedi.
    Parlava con forte accento nasale. Non riuscivo a indovinarne l’età. Ma, nonostante i suoi capelli radi e grigi, dalla pelle del viso ancora fresca, potevo dedurre che fosse ancora giovane.
    “Devi stare molto ferma!“ – diceva –
    Ed io, impaurita, trattenevo per quanto mi era possibile anche il respiro.
    Intanto lei col suo metro giallo mi misurava la circonferenza del torace e il giro vita, la lunghezza delle braccia e quella totale del vestito appena sopra il ginocchio.
    Me lo avrebbe confezionato con la gonna ampia a piccole pieghe e con il colletto e i polsini bianchi, come piaceva a me …
    Da quell’altezza il mio sguardo colmo di stupore, nella grande stanza, si soffermava sull’enorme tavolo bianco posto ad angolo tra due pareti tinteggiate di un verde pallido, sul quale spiccavano scampoli di cotonina a quadretti e a pois rosa e bianchi. Altri con disegni di piccoli fiori campestri e tante scatole di latta grigie traboccanti di nastri, merletti, elastici , bottoni coloratissimi, aghi, spilli, vecchie fibbie e fermagli di varie fogge.
    Appena più su, in un ripiano ancorato al muro, decine di piccoli cassetti trasparenti ospitavano rocchetti e spagnolette di filo di seta e di cotone in una splendente gamma di colori: dal bianco al celeste, dal turchese al lilla chiaro, fino al tetro blu notte e dal carminio al rosso, fino alla sfumatura più pallida.
    Al di là delle dovizie del grande tavolo bianco, le poltrone erano vecchie e scolorite, i tappeti logori e spenti. Le tende consunte, in organza bianco, lasciavano intravedere oltre i vetri gli alberi di betulle del viale sottostante.
    Ovunque guardassi l’impronta di ristrettezze si rivelava anche dietro la più abile mascheratura.
    Fu quando mi misurò il vestito per la prima prova che cominciai a vivere come un’altra persona.
    La consapevolezza della mia serenità interiore la sentivo come una sorta di sofferenza.
    Nemmeno un parco di divertimenti sarebbe stato in grado di procurarmi certe sensazioni.
    Avevo lasciato dietro di me quelle giornate color ghiaccio che col vento pungente dell’inverno scavavano nella mia piccola anima profondi buchi neri, molto simili a quelli di una desolazione senza fine.
    L’euforia dell’attesa la vivevo anche a scuola, distratta e irrequieta, e le notti erano gonfie di sogni turbolenti.
    Quel mattino di Pasqua la casa era tutta in subbuglio.
    Il mio vestito rosso spiccava disteso sul lettone dei miei genitori, rifatto con il copriletto di picchè bianco fresco di bucato.
    Era bellissimo.
    La mia gioia illuminava la stanza.
    Adesso si, le mie compagne di scuola mi avrebbero notata e forse sarei stata apprezzata come Nirvana, che indossava tanti bei vestiti e le si facevano intorno appena la si intravedeva. Lei era una figura importante nel gruppo della scuola, anche la maestra Velia la privilegiava.
    Lei era figlia di un sott’ufficiale dell’esercito, non di un minatore.
    Adesso anch’io avrei fatto la mia bella figura fra loro.
    Contemplavo il vestito, lo veneravo a dismisura al di sopra di una qualche divinità, lo annusavo, lo accarezzavo per tutta la sua lunghezza assorbendone avidamente il suo aspetto così nuovo.
    Avevo timore a toccarlo per non stropicciarlo o macchiarlo con le mie mani eternamente umide .
    Immaginavo il mio esile corpo di bimba rivestito di rosso.
    Di rosso porpora.
    Chissà se fra le tante, la mia gonna avrebbe fatto la “ruota“ più ampia?
    Sotto il colletto ricamato a mano, il carré era diviso da un’apertura sul davanti che si chiudeva tramite bottoncini molto simili a piccole perle bianche … Li adoravo.
    Ogni tanto, dalla cucina, mi scuotevano i richiami di mia madre per ricordarmi che la colazione si freddava. L’odore del caffè bollito aveva impregnato anche le camere da letto. Mia madre lo preparava tutte le mattine in un enorme bollitore panciuto di ferro smalto azzurro, e lo versava bollente nelle nove tazze disposte sul tavolo apparecchiato di primo mattino, sul quale troneggiava una grossa scatola di latta stracolma di superbe fragranti ciambelle che mamma, per l’occasione, aveva appena sfornate. Ma il caffè lo detestavo.
    “ Bevi,” mi pregava, ti scalda lo stomaco”.
    Così, per indurci a mandarlo giù, incominciava a decantarcelo come la miglior ghiottoneria, sostenendo che il caffè era la bevanda degli intellettuali, l’amica dei letterati, degli scienziati e dei poeti, perché scuotendo i nervi, rischiariva le idee, sviluppava l’immaginazione e rendeva più rapido il pensiero …
    E, come sempre, ancora, finiva col canterellarci il sonetto che aveva da tempo imparato nelle pagine di un suo vecchio libro di cucina (che oggi custodisco gelosamente):

    “Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
    E dalle carovane in Spagna portato.
    L’arabo certamente sempre è il caffè migliore;
    Mentre spunta da un lato , mette dall’altro il fiore.
    Nasce in pingue terreno, vuol ombra e poco sole.
    Il frutto, non è vero, ch’esser debba piccino,
    Anzi dev’ esser grosso, basta sia verdolino.
    Usarlo indi conviene di fresco macinato,
    In luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.
    A farlo vi vuol poco;
    Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco
    Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto
    Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto”.

    Mamma riusciva quasi sempre nel suo intento. Odiavo Goldoni…

    Ma quella mattina l’odore del caffè per la casa mi infastidiva e mi nauseava.
    Il mio vestito nuovo avrebbe subito conseguenze impregnandosi anch’esso di quell’effluvio?
    La mano invisibile di quell’acqua scura ne avrebbe offuscato il luminoso rosso porpora?
    Ma ecco, da fuori, un frastuono di mortaretti spaccavano il cielo e, dalla chiesa vicina, lo scampanio diventare più serrato e assordante.
    Ero pronta per la mia grande “avventura”.
    Sentivo il battito eccitato del mio cuore fuoriuscire dal carré del mio vestito nuovo, appena indossato.
    Le ultime raccomandazioni di mia madre battevano ancora ai miei orecchi: dovevo affrettarmi o sarei arrivata tardi a Messa.
    La giornata era grigia, ma che importava?
    Il sole sotto il viale di betulle avrebbe trionfato ugualmente … Anche se così piccolo e fragile.

    Maria Mattana

  80. Amori passati

    Io non ho amato tante volte,
    bensì una volta solamente
    tante donne diverse,
    in modo unico e differente.
    Non ho condiviso l’amore con le donne:
    loro mi hanno insegnato ad amare.
    E mi hanno estasiato,
    e mi hanno spezzato:
    ed io ne sono grato.
    La mia bocca ricorda
    ogni parola che ha detta,
    le mie dita conservano il tocco
    di tutti i fianchi sfiorati:
    io non ho amori perduti,
    ho solo amori passati.
    E lei che amo ora
    non sa che è già per sempre:
    quando m’avrà scordato
    lei per me ancora
    sarà colei che ho amato.

    Maurizio Salvemini
    Sezione A
    Accetto il regolamento

  81. Autore: Sergio Puglisi
    Sezione: A
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso.

    CIECHI
    Tu frequenti gente molto strana
    Che la notte è cieca e al mattino è lontana
    Ho già avuto a che fare con farisei e miscredenti
    Già ballano sui carboni, già sbattono i marcissimi denti
    Le loro mani storte non servono a niente.
    C’è gente che assaggia il vino e cerca di capirne la provenienza
    Da dove vuoi che provenga?: – E’ succo d’uva fermentato
    Che gusto vuoi che abbia? Di succo d’uva fermentato.
    Conoscendo businessmen in vacanza si incappa spesso tra le loro lenzuola
    Buono a sapersi, lascerò pinoli alle loro finestre
    Lancerò graziosi fiori alle ginestre
    E le ginestre appassiranno
    Ciò che non è raccolto adesso, morirà entro il prossimo anno
    E cantando in mezzo ai boschi, tra tipi molto loschi
    Segneremo il territorio con briciole di pane nero
    Così nero che gli uccelli giammai le mangeranno
    Coloro che hanno gli occhi ciechi giammai vedranno
    Le infinite possibilità che offrono gli schizzi di fontana
    E la vita è già lontana, l’alba è fredda e si è impiccata
    La diafana azzurrità del cielo è consolata
    Andate a rubare tra i nidi dei ciechi
    Essi non se ne accorgeranno
    Andate a rubare tra i nidi dei ciechi
    Vi sentiranno, ma di voi paura avranno.

  82. SEZIONE RACCONTI
    VALENTINA CARMEN CHISARI
    La mia vita da nerd

    Ci sono quasi, non devo mollare proprio adesso. Non sono riuscita a contattare Clara, con tutti quei cellulari non risponde mai a nessuna telefonata, volevo parlarle dei miei progressi di oggi. Sarà troppo impegnata con la sua vita da nerd, mi pare che si dica così; io, per curiosità, sono andata a cercarne il significato arrivando alla conclusione che sono una nerd anch’io. <>, mi calza perfettamente, la differenza è che Clara sta sui social network, anche se non risponde alle mie telefonate.
    La giornata di ieri é stata molto impegnativa, ho conosciuto un amico di mio nonno che mi ha mostrato come si fa l’intreccio finale; é proprio difficile, non so se sarò in grado di farcela da sola. Devo imparare in fretta. Clara mi ha mandato un sms: <>. Impossibile, in campagna non c’è connessione internet.
    Oggi mio nonno é proprio in forma, mi ha portato in giro tra le piante di salici: <>. Quanto gli voglio bene. Mia nonna deve aver avuto un colpo di fulmine con lui, non gliel’ho mai chiesto ma so che era davvero un bellissimo ragazzo; le foto nella sua camera da letto lo ritraggono nei suoi anni migliori, muscoli (quelli veri) e uno sguardo ammiccante, lo stesso di adesso.
    Clara mi ha detto di voler venire in campagna perché vuole “postare un video del posto”, parole sue. Per me, il programma di oggi è quello delle bottiglie, ho vaghi ricordi di gente che veniva qui a comprarne a decine, mio nonno é sempre stato bravo negli affari: <>, diceva a tutti. Non credo che sarò mai così convincente. Dopotutto, quella della persuasione é una sua dote naturale, da sempre: con la sua verve, mio nonno vuole sempre farmi credere che va tutto bene. E vorrei crederlo davvero come facevo da bambina, non sa quanto.
    Ho parlato con il signor Conti, mi ha dato la sua parola di abbassare l’affitto del negozio di mio nonno: <>. Clara mi ha consigliato di aprire un negozio on line, non potrei mai. Mi mancherebbe quel contatto con la clientela protagonista di tutti i racconti di mio nonno, ricordo ancora l’episodio della vecchietta, il suo cavallo di battaglia: <>. Ridevamo tutti, ogni volta.
    Se n’è andato un giorno di settembre. Non so quante lacrime ho versato, di sicuro so che la sua passione sarà la mia missione.
    Ho ventisette anni e, non per vantarmi, ma sono la migliore nella realizzazione di ceste in vimini, bottiglie, sedie e tutto ciò che mi viene chiesto. Secondo Clara dovrei aprire una pagina “vintage” su un social network. Io, intanto, mi intreccio sta cesta.

    Valentina Carmen Chisari
    accetto il regolamento

  83. SANNIPOLI SANDRA – 15.10.2012 – Accetto i termini del presente regolamento – Sez. A

    UN SOFFIO LEGGERO

    È quando riesci ad accendere il sole, che ti scaldi
    È quando riesci a raccogliere un fiore, che sorridi
    È quando riesci ad accarezzare un bambino, che ti emozioni
    È quando riesci a guardare negli occhi un amore, che tremi
    È quando riesci a volerti bene, che sei libera
    Ma quando non puoi vedere il sole
    quando non puoi raccogliere un fiore
    quando non puoi accarezzare un bambino
    quando non puoi leggere nel cuore di un amore
    quando non riesci a volerti bene
    vuol dire che non vivi
    che non appartieni a nessun luogo
    che non appartieni a nessuno
    neanche a te stessa
    Solo la notte protegge con amore
    la tua stanchezza infinita
    Solo la notte è una dolce compagna
    che ti accarezza lievemente
    e con tenerezza bacia i tuoi occhi chiusi.
    Un soffio leggero che avvolge
    e porta via il tuo cuore
    in un posto tranquillo..

  84. Tutte le voci dei poeti
    non influenzano
    il corso degli eventi
    Un fruscio di carta
    la parola
    sola, resta nel vento
    Forse perché manca l’attenzione
    Sempre la memoria
    porta con sé
    qualcosa di noi
    Di quelli che un giorno
    avevamo creduti eterni
    oggi ci giunge il silenzio
    e il tempo passa
    senza fermarsi
    alla tua porta.

    Accetto il regolamento

  85. io sottoscritta paola bosca 15/10/2012
    dichiaro di accettare il regolamento del concorso. sezione A

    nuvole invaghite.

    affacciata all’amore
    aggrappata alle tue parole
    ti saziavi delle mie voglie.
    della stagione calda
    a piedi nudi sui cuori
    abbiamo concupito il fuoco.
    mano nella mano
    a vagare in quel mare
    eccitato di noi.
    promesse cantate
    sposavano la lirica ammaliatrice.
    sogni
    costruiti su nuvole distratte
    ora muoiono nel gelo di una prepotente verità.
    due statue di sale
    una accanto all’altra
    si sfiorano senza guardarsi.
    su di loro piove grandine.
    gemono le anime ibernate nell’incanto.
    (paola bosca)

    1. Se fossero castelli di sabbia il mare se li porterebbe via. Ma sono statue di sale e allora quel dolore rimane lì, in attesa di essere sciolto.

    2. Io donna..aggrappata alle parole…
      tu ..uomo…aggrappato alle voglie….

      è un classico….
      ( bella)

    3. … fuoco di paglia spento dalla prima “pioggia” e ibernato da un vento ancora più gelido di fredde parole che nascondono verità; … ora nere nubi oscurano quel sole “dentro due Cuori di ghiaccio”. … meravigliosa Anima; … riesci sempre a descrivere una “vita” con semplici e mirati di versi, quasi a disegnar di essa un “quadro d’autore” … ! ! ☼ (~.~) ☽ ! !

    4. Cara Paola anche questa è bellissima..come tutte le altre che ho letto del resto.
      Con te mi si è aperto un mondo tutto nuovo..quello della poesia..mai e poi mai avrei pensato di piangere leggendone una.
      ..col tuo modo di scrivere riesci a far uscire da ognuno di noi un turbinio di emozioni..SEI UNA CERTEZZA..è bello leggerti..è bello conoscerti ;)

  86. Valeria Centorame, Sezione A Accetto il regolamento.

    Io Sono
    Io sono la schiava…
    Umiliata, torturata e venduta…
    Con il cuore gonfio di speranza ed il volto di donna sfigurato dal male..

    Io sono la strega..
    additata,allontanata ed ingiustamente giudicata,
    figlia della credenza popolare..
    ardo tra le fiamme dell’invidia e del dolore…
    che inceneriscono la mia anima gentile di donna…

    Io sono la donna perduta..
    giustiziata..dalle pietre taglienti martoriata..
    che lasciano il segno del verdetto
    sulla mia pelle di donna delicata..
    per il frutto che porto in grembo del mio dolcissimo amore…

    Io sono la bambina..
    innocente e promessa in sposa..con le ali tarpate
    ed il destino ormai segnato da un percorso illogico e deviato…

    Io sono l’ape regina…
    forte..temuta e rispettata..
    con la saggezza femminile e la pazienza mai ceduta…

    Io sono l’amante spregiudicata, la madre premurosa, la figlia maltrattata..
    l’amica delicata e la sorella giudiziosa…tutte.…io sono…
    Racchiuse in un unico sguardo profondo..e perse nell’intimo sentire..

    Una donna e tutte le donne del mondo….

    Valerya

  87. MARIELLABINETTI – 15.10.2012 – Accetto i termini del presente regolamento – Sez. A

    “Pensando a Sandy”
    Si baciano davanti
    a un quadro di Mirò
    nella luce a tratti
    della sala quasi vuota
    Non c’é altro tempo
    nessuna attesa
    Qualcuno passa
    sulle loro ombre
    di manichini umani
    Non uno sguardo
    a Sandy
    Non uno sguardo
    alla fanciulla davanti al sole
    Le pulsioni d’amore non sanno aspettare
    I corpi hanno annullato la distanza
    Le labbra umide si schiudono
    Non ha voce e respiro
    l’aria che li circonda

  88. Partecipo alla sezione B e accetto il regolamento.

    TITOLO: Il sale di mia madre

    Mia madre mi diceva:”poco sale nella pasta ma molto sale nella zucca”.
    Avevo appena otto anni e della zucca non ne sapevo niente, nemmeno di quella di Alloween, che nel 1958 non era ancora diventata quella specie di carnevale dell’inverno.
    E poi, sale doppio o sale fino da mettere in quella fantomatica zucca?
    Ma andiamo per gradi, dove la trovo la zucca?
    Ho imparato a leggere a quattro anni.
    Merito di mia madre che aveva sempre sognato di fare la maestra di scuola elementare ma il tenore di vita della sua famiglia non glielo aveva consentito.
    Ci ha provato su di me e non gli è andata male, infatti divorare libri da quel giorno in poi è stata l’attività che ho amato e amo di più.
    Imparo tante parole, comincio a costruire frasi semplici e poi sempre più ricche e di ogni frase conosco il significato delle parole. Parole semplici del vissuto quotidiano o spiegate attraverso disegni. Ma quella frase lì proprio non l’ho mai sentita.
    Per quanto rovisti nei cassetti, nelle ceste, sopra e sotto i letti, sui mobili più alti, in ogni ripostiglio, in ogni scatola o cassetto la zucca non c’è!
    Tutti i libri che leggo non parlano di zucca, tanto meno di sale; figuriamoci di “sale nella zucca”.
    Non voglio chiedere spiegazioni a nessuno.
    Voglio risolvere i miei problemi da sola, ma non ho ancora conosciuto un libro più grande degli altri e che occupa un bel po’di spazio sulla mensola vicino al tavolino dove svolgo i compiti.
    Si chiama: “Dizionario della lingua italiana”.
    Ma così grosso non può essere un libro per bambini!
    E’ un po’ logoro, con la copertina nera per una rilegatura non originaria, senza alcun tocco di colore che non sia il bianco del titolo. Non attrae affatto.
    Già, perché, la prima cosa che mi attrae da sempre di un libro è l’immagine della copertina e la sensazione quando lo tocco e lo guardo. Deve avere un’anima, deve comunicarmi qualcosa. E poi il titolo deve farmi viaggiare con la fantasia. Quel librone non mi dice nulla.
    E’ passata una settimana da quella prima frase quando mia madre, chiacchierando con un’amica dice: “Certe persone se avessero un po’ di sale nella zucca non si comporterebbero così”.
    Un attimo…
    Cedo al mio orgoglio e alla fatica della ricerca e le chiedo cos’è una zucca.
    Lei pronta mi dice di prendere quel brutto librone, lì cercheremo insieme la risposta tanto attesa.
    Il suo “sale nella zucca” non mi regala il “piatto pronto”, mi spinge a ricercare.
    Per ora con il suo aiuto, quando sarò più grande dovrò farlo da sola.
    Zucca: pianta delle Cucurbitacee, di cui parecchie specie sono commestibili/scherz. testa.
    Cucurbitacee è troppo difficile da leggere, figuriamoci da capire. Forse è una pianta che si può mangiare, basta aggiungere molto sale perché è dolcissima.
    E testa?
    Che confusione! Testa di chi, da riempire con molto sale?
    Ma come si fa ad aprire una testa per riempirla di sale!
    Quale medico fa questi interventi, sarà uno stregone come quelli delle fiabe o chi altro.
    Sto peggio di prima.
    Rileggo ancora una volta la definizione e qui mi accorgo che non ho letto tutto fino in fondo,
    “non ha sale nella zucca” si dice di chi non ha ingegno, non ha buon senso.
    Sale grosso o sale fino? Qual è quello migliore per avere un buon ingegno?
    Mentre continuo a leggere e a studiare cresco e continuamente ripenso a quella frase.
    L’ingegno è la curiosità e i perché dei bambino, la voglia di esplorare dei ragazzi, le sfide degli adolescenti contro tutti e contro tutto alla ricerca di una identità, la studio consapevole e mai esaustivo di chi sogna grandi progetti e ambisce a grandi mete, la capacità di allargare le proprie frontiere cognitive reinventandosi di giorno in giorno, la volontà di sopravvivere quando tutto sembra perduto, la…….
    Il buon senso è mia madre e i suoi poveri strumenti a disposizione di tutti, il controllo di ogni eccesso, la mediazione con l’altro, il rispetto delle diversità….
    In una sola parola è: cultura.
    Non ho mai contato i granelli di sale racchiusi nel pugno di una mano, ma un pugno e poi un altro e poi un altro ancora senza fermarsi mai sono le conoscenze che posso aggiungere di volta in volta nella mia zucca, le competenze che riesco ad acquisire, l’esperienza che ogni giorno arricchisce me e che posso scambiare con l’altro.
    L’altro da me, ricco della sua diversità. Le molteplici individualità che si confrontano, si contaminano, si conoscono e disconoscono.
    I tanti sali delle tante zucche di ogni età, categoria, stato sociale, razza, cultura.
    La storia di ognuno nella storia di questo mondo, non sempre bella, a volte triste e tuttavia varia e colorata.
    Colorata per la pelle, colorata per la natura, colorata per il sangue delle vittime di paesi senza pace….
    Se la testa di ognuno di noi fosse trasparente, forse potremmo guardarci l’un l’altro e consigliarci reciprocamente qualche dose in più di sale nella zucca.
    Non importa che tipo di sale, basta che sia sale.

    1. Bel racconto,insolito ma piacevole,un po’ intimista e d’altri tempi….spinge alla riflessione ,come dovrebbe e fa “l’atteggiamento , le parole , i modi di essere e di agire , di dire di una Madre”: uno scritto garbato ,molto delicato !

  89. Alessandro Pedretta – sezione A – dichiaro di accettare il regolamento

    Pezzi (Questa non è una poesia, è una bestemmia alla divinità del mio essere umano)

    Penso che cadrò in pezzi
    uno di questi giorni.
    O forse sono solo un pezzo,
    o me ne manca qualcuno,
    o me ne sono fatti troppi.
    Forse non è possibile che accada questo
    perché non sono normale:
    non ho grandi aspettative
    non mi piacciono le auto veloci
    mi urtano gli elettrodomestici
    odio ascoltare la gente
    non mi drogo più e preferisco il buio.
    Forse nella mia vita ho vomitato troppo
    e ora la mia lingua non sente più gusti buoni.
    Sarà che ho viaggiato poco
    e girato sempre in circolo.
    Sarà che ho vissuto con i cani
    e mi hanno ammazzato le scimmie.
    E quante botte botti bottiglie.
    Quanti buchi lutti voglie da lupi.
    Quanta frenesia senza senso,
    quanto sesso frenetico senza speranza.
    E Miller, Céline, Bukowski,
    i locali loschi, i posti nascosti,
    il sangue sulle braccia, la caccia ai soldi, dormire ai bordi.
    Forse sono troppo giovane per alcune cose
    e troppo vecchio per altre.
    Forse morendo troppe volte
    non ho vissuto abbastanza.
    Forse ho chiesto troppo alla mia carne
    e la mia carne ha risposto picche.
    Forse è vero:
    cadrò in pezzi uno di questi giorni.

  90. Alessandro Pedretta – sezione B – dichiaro di accettare il regolamento

    Il fondo del caffè

    Ora si accende la luna.
    Poi si spegnerà. E sarà il sole. E di nuovo la luna.
    Questa intermittenza da teatro psichedelico.
    Questa pantomima che si chiama tempo.
    E’ un mondo preregistrato, penso, mentre mi porto la tazzina di caffè alla bocca.
    Una crudele serie di sequenze di una pellicola di fotogrammi rattoppati.
    Il Macchinista se la ride. E pianifica la banalità dell’ovvio.
    Se mischi una Scala di picche, in mano avrai sempre una Scala. Solo, il Fante ora sarà dopo la Donna, o il Re prima del dieci, ma il tuo gioco sarà lo stesso, credimi, solo un po’ più confuso, e disordinato. E, con tutta probabilità, il tuo avversario avrà un poker e la tua Scala è fumo e tu perdi, e l’hai già fatto e lo rifai.
    L’ovvio si nasconde, si mimetizza e cambia di posto. E’ ovvio.
    In questo mondo preregistrato la tazzina di caffè dalla tostatura chiara, la miscela di 6 componenti e la macinatura fine è un desiderio (basso? medio? forte? barra la casella) che fondamentalmente è indotto da quella signorina svestita che mi vende anelli alla tv. Quel grottesco ingioiellato dito peloso in inquadratura macro è l’appendice di un mostro che mi divora. 15 carati, rubini birmani, topazi azzurri. 10 anni di meno. Spesi a guardarti, baldracca aliena.
    Tutto si rimescola, viene ammassato e poi rigettato al pasto dei tuoi occhi, le tue orecchie – le tue voglie inespresse e ora convogliate.
    Viene tutto pestato e passato al tritacarne e di nuovo compattato.
    Ci stanno vendendo la stessa carne dei nostri sogni. Ma carne mutata, operata e ricomposta in corpi diversi e dementi. Hanno sfregiato i nostri desideri e poi hanno lavorato chirurgicamente e ci hanno donato disperate cianfrusaglie.
    Ora i nostri sogni di libertà sono una Mercedes quattro ruote motrici e uno shampoo che ci possa far danzare al vento i capelli a bordo di una coupé.
    Il nostro fine è l’agiatezza di 120 sensori vocali sparsi per la casa – non ci puliamo neanche più il culo perché ci pensa mamma-robot.
    Le vacanze sono per forza in un’isola. Con belle palme, erette come pantagruelici falli pretenziosi. Attorno silenzio. Silenzio mortale.
    Le parole hanno perso il loro senso originario.
    Le parole ora sono slogan.
    Queste fottute parole – le dobbiamo uccidere.
    L’uomo deve stare zitto per i prossimi 10.000 anni. Poi potrà riacquistare la padronanza della propria lingua. Ora la lingua si muove come un muscolo scosso da punture elettriche, e sobbalza come acquiescente mollusco in grotta d’ossa.
    Non ci è dato capire. Ma ci è dato parlare. Idiomi come scorregge di potere. Vocali al sentor di controllo.
    Il mio caffè è freddo. Non ho più voglia di berlo.
    Tutte queste voglie e non-voglie.
    L’assurda pretesa di pensare di volere.
    Di voler pensare.
    Quanto stanca il pensare se il pensiero è comune.

    1. E’ tutto ovvio ?
      E’ tutto ovvio !
      Pensare , volere , voler pensare …
      Ma il senso di tutto dov’è ???
      In ciò a cui ambiamo ed aspiriamo ?
      O in chi amiamo ?
      Forse , in ciò a cui DIAMO SENSO….

      Complimenti a lei !

  91. Partecipo alla sezione B e accetto il regolamento.

    TITOLO: Mi manca il mare

    Mediocre , ottimo, insufficiente, insufficiente, insufficiente,……., fino alla nausea!
    E’ l’ultimo compito da correggere ho bisogno di aria, non riesco ad andare avanti.
    Due orizzontale, tre verticale, elaborati da battaglie navali! Riuscirò a beccare un esercizio corretto? Il disordine è sovrano. Alla faccia della matematica!
    Classe terza, classe quarta, classe quinta, sguardi rivolti verso non luoghi, voci mute perdute in labirinti senza uscite o sovrapposte in una Babele di suoni e grida senza senso.
    Che ci sto a fare io con loro? Ci sarà pure un modo per dialogare.
    Al mattino ho spazzato via la rabbia di ieri ed entro in classe.
    “Non è successo niente mai!”. Punto e a capo.
    Un onda durante la tempesta acquista sempre più vigore man mano che giunge a riva, la mia rinnovata disponibilità, ora dopo ora, si frantuma sempre più violentemente contro gli scogli.
    Sono di nuovo in crisi, ogni giorno in crisi.
    “Va tutto bene” dicono i miei colleghi. Sarò fatta male io.
    Ho deciso: “Da oggi basta! Mollo tutto e faccio la docente con la D maiuscola”, del tipo nessuna parola che non sia di matematica, nessuna emozione, nessun gesto fuori dell’ immagine che il ruolo impone.
    Magari fosse possibile!
    Ma il mio DNA è sbagliato! Non posso cedere, non devo cedere.
    Ci sarà pure il loro gergo, lo sport, la musica, un amore, qualche accidente di “COSA” di cui vogliono parlare!
    Dico casino e non baccano, avete rotto e non smettetela, parlo il loro linguaggio “Perché forse così ci capiamo”. Dura lo spazio di una folata di vento.
    Poi di nuovo, ogni minuto scorre una immagine nuova. Il mio orizzonte si popola di isole.
    Nicola, dall’ultimo banco, non vuole essere disturbato ma ogni suo sguardo fugace è una richiesta, ogni protesta è un desiderio. Vuole essere preso per mano anche se la sua stenta a toccare la mia. Ha tutto ma non ha un braccio che si poggi sulla sua spalla, una carezza che lo rassicuri.
    Leonardo, nel suo banco, fa trasparire il continuo movimento del suo corpo al ritmo frenetico di quei balli che sono la sua passione. Stamattina è più incazzato che mai. “Studio, ma queste cose non le posso capire” dice, “ è inutile continuare a discutere, non le capisco e non le voglio imparare a memoria”. Alzo la voce e lo provoco una, due, …..infinite volte, “se sei scemo sono molte di più le cose che non capisci”. Gesticola, si agita, arrossisce, balbetta. Ma alla fine disegnando in aria come su un foglio a quadretti: “Adesso si che è chiaro” risponde. E’ stata dura ma sono felice.
    Mariangela, fuori dall’aula al riparo dai compagni sempre distratti ma altrettanto pronti a spiare ogni movimento dell’altro mi dice per l’ennesima volta:”Studio, però quando sono interrogata non ricordo più niente”. Non so più quante volte me lo ha ripetuto in tutti questi anni! Eppure ce l’ha sempre fatta. L’eterna insicura, sempre con lo stesso film nella testa: “Non sono capace”.
    Nicolò, con la sua difficoltà di linguaggio, ogni tanto si arrende e necessita di una dose di coraggio.
    Fabio, è sempre disponibile ad aiutare gli altri ma non ce la fa più a reggere questo carico e gli dico: “Adesso basta pensa un po’ più a te”.
    Quante isole nell’arcipelago della mia carriera. Leggere come foglie sull’acqua, pesanti come macigni che affondano.
    Grandi e piccole, tutte diverse, a volte semplici spesso difficili o anche impossibili da esplorare.
    Me ne frego della matematica se volete, ma non posso dire altrettanto delle mie isole e del loro mare.
    Ho provato a fare viaggi in altri luoghi assolati e piatti; sulla terra ferma in torri protette.
    Ma mi è mancato il mare. Le sue onde che sferzano le rive agitate dalla tempesta, i rami degli alberi scossi dal vento, il volo dei gabbiani che planano sulla sabbia.
    Sono sempre tornata, anche se a volte stanca, tra le mie isole.
    Le vedo in lontananza, mi sembrano vicine.
    Di nuovo si allontanano.
    Mare agitato, bassa marea, alta marea, calma piatta, mare agitato……..

    1. Efficace,a tratti tenero , racconto di una “quotidianità ” dei nostri giorni ….a dipingere anime e caratteri, volti e personalità ora confuse ora bisognose di solide spalle e braccia a cui appoggiarsi ,ora spavalde ed infingarde ma solo all’ apparenza : un bel ritratto del difficile mestiere del ” facilitatore ” del sapere e non solo…

  92. TUAREG_SENZA DIO
    Raccontami dell’indaco profondo e stropicciato.Di lini stinti e arrotolati.

    Raccontami del deserto.Dell’aria secca e sabbiosa. Della sera fredda.

    Raccontami delle piccole notti da principe.Degli zaffiri negli occhi delle capre.

    Raccontami del male. Del signore dei morsi avvelenati.

    Stanotte non riesco a dormire.

    Una risacca blu.Una carlinga arrugginita.Una sciarpa da aviatore.

    Ginocchia a cui mi abbraccio.Voglio ascoltarti così.

    Metti la tua preghiera a terra. Che sia nido di scorpioni.Che sia miele dei cantici.Che sia amore.

    sezione A – accetto il regolamento

  93. Con la presente, io Antonella fareni, invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Gonfio d’inganno,
    agile il passo
    l’intruso presagio,
    infrange il pensiero, conquista la mente.
    Ed entra,
    si adatta,
    nel sangue che scorre, e varca
    straniero
    la porta del cuore;
    Indifferente
    a quella vastatità
    spacca furioso,
    incosciente, ignorante di quella sua rabbia,
    e di quell’onda sua che
    seppur violenta,
    infrangendosi,
    s’nchina,
    esiliandosi da sè,
    e poi più non torna.

    A.F -L’intrusa Passione-

  94. Con il presente, io bertacchini lisanna, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    PICCOLO MONDO…

    Arrivati a Città Sant’ Angelo, si comincia a vedere la mia terra,
    la mente torna a quarantatré anni prima.
    Da Francavilla, ripercorro la strada fatta infinite volte,
    quella che porta a Chieti.
    Giunta sul piazzale a Sant’Anna, la mente fa ciò che vuole,
    e il passato si ripresenta:
    il verde filobus, quello con la guida centrale e l’interno in legno lucido,
    è in sosta nel caldo estivo, sembra riposare,
    via Boschetto mi attende, mi fermo un attimo, il cuore in gola imbocco la salitina,
    dietro i vetri scuri, la solita pettegola mi osserva,
    passo senza voltarmi, corro incontro alla mia infanzia,
    svolto e miei cari sono lì, come sempre, come se mezzo secolo non fosse passato.
    Gli odori di cose buone mi accolgono,
    alzo gli occhi, mia zia Dora seduta sul balcone, cuce sorridente,
    i suoi occhi azzurri ricordano il cielo d’estate,
    piccola miniatura allegra,
    nonostante la vita le abbia strappato dalle braccia una figlia ancora bimbetta,
    posso leggerle sul viso che nel cuore il suo ricordo ci sarà per sempre…
    Arrivo al cancello, le scale aiutano i ricordi a salire verso il portoncino marrone,
    mentre mi arrampico stringo forte con le manine la ringhiera,
    le piccole dita si incastrano tra i ferri disposti a V,
    improvvisamente la porta si apre, mio zio Ruggero sorridente,
    mi prende in braccio, seduto al tavolo mi imbocca,
    nel piatto profumate polpette e poi un sorso di vino,
    sono felice, serena, lui mi tiene sulle sue ginocchia
    il viso onesto, sento ancora la sua voce,
    ricordo i suoi baffetti che mi sfiorano la guancia,
    devo avere due o tre anni non di più.
    Proseguo verso la casa di mia nonna, dove sono nata,
    lei seduta nel fresco della piazzetta, gioca a carte, i capelli candidi,
    entro, attraverso la stanza che funge da ingresso,
    raggiungo la cucina, la sala, profumo di salsicce appese a seccare,
    di vino cotto e peperoni arrostiti…
    Esco nell’orto, il grande fico fa ombra da sempre,
    le galline razzolano nel recinto, le cicale cantano al sole d’agosto,
    sfioro la pianta di mentuccia, solo qui ha questo profumo,
    mi volto la bella casa di mattoni è silenziosa,
    posso scorgere zia Emilia dietro le tende candide, della stanza da letto,
    che ricama…
    Salgo le scale, profumo di pizzelle, le caramelle rossana sul tavolo in sala,
    sul muro, appeso un violino,
    scendo e osservo la vecchia casa, quanti momenti felici.
    Ripercorro la strada all’indietro, mi giro…i miei cari non ci sono più,
    portati via dallo scorrere della vita, la case sono cambiate, altre persone vi dimorano.
    La vecchia casa di mia nonna, è diventata una moderna villa,
    vi abitano le mie cugine, nulla è più come prima…
    ma mi basta chiudere gli occhi, per sentirli ancora vicini…
    nella mente nulla è cambiato, le solite risate, gli odori,
    il parlare in dialetto, il silenzio della tranquilla contrada,
    il vecchio forno a legna, dove mia nonna cuoceva deliziosi dolcetti con la ciliegia.
    Vorrei che anche loro tornassero,anche se dal mio cuore non si sono mai allontanati.
    Passeranno molti anni, cambierà l’aspetto delle case,
    ma io salendo quella stradina, vedrò solo loro, e in quei momenti le case…
    torneranno quelle di una volta.
    Quelle che il mio cuore e la mia anima,
    vorrebbero ritrovare.

    LISANNA……
    dedicata a chi non c’è più….

  95. Con la presente, io bertacchini lisanna,invio la poesia per la Sez.A, dichiaro di aver preso visione e di accettare il regolamento.

    QUESTA NOTTE

    La notte nemica da sempre
    mi ha aiutata,
    abbiamo aperto l’armadio
    dove la vita trascina le emozioni,
    con mani esperte ha fatto spazio
    per un nuovo dolore.
    Ho aperto il cassetto dell’amore
    e vi ho adagiato l’anima stanca,
    poi il buio mi ha sorriso,
    mi sono voltata…
    e ho visto sorgere il sole.
    lisanna

  96. Livio Gec – Accetto i termini del presente regolamento – Sez. A

    S’accende la luce

    Muovon le foglie
    degli alberi i venti
    asciugando al mattino
    le gocce di brina,
    il bosco si sveglia
    al tepore del sole.

    Or tutto all’intorno
    s’accende la luce,
    variopinte farfalle
    omaggiano i fiori,
    scuriscon le ombre,
    a rinvigorire i colori.

    A far da contrasto
    il ceruleo cielo
    e tutto è disposto
    al rinnovo del bello
    e render prezioso
    il giorno novello.

  97. Il racconto sottostante è stato da me scritto. Accetto il regolamento del Concorso.
    Titolo : SOLO TU
    ————————————–
    SOLO TU

    Qui, dove ora stava camminando con lui, aveva passeggiato due anni prima con Marco. La sua passione grande, la sua follia nata una sera lontana, una sera magica, con i loro occhi che si guardavano sorpresi, due sconosciuti che si amavano già.
    Notti insonni di abbracci senza fine, poesie lette bevendo caffè nero alle quattro di mattina, albe sulla spiaggia stretti sotto un plaid.
    Poi una litigata, una gelosia gridata forte, una porta sbattuta.
    Ora era qui, camminando con un uomo che l’abbracciava.
    Ma lei, la sua mente, il suo cuore, non erano lì, erano lontani.
    «Scusa, vorrei andare a casa.» Lui, contrariato, l’accompagnò tacendo.
    Le scale di corsa, facendo il numero di Marco al cellulare. Per dirgli che tornava, che lo amava, che c’era solo lui nei suoi pensieri.

  98. Tu

    Le dico, mi vuoi bene?
    Mi dice amore si
    insisto ancora, quanto?
    guarda tanto così.

    Apre le nude braccia
    come ali pronte al volo
    tra l’una e l’altra
    c’è mezzo metro solo

    e mi sorride con gli occhi
    color del cielo terzo
    tra le sue braccia tese
    c’è tutto l’universo.

    Sezione A – accetto il regolamento

  99. Donna e Femmina

    LILITH, LA DONNA

    Tutt’una con lo stesso fango
    dell’uom fosti forgiata dal Sommo
    che a lui ti diede per compagna.
    Pari dignità fu desiderio tuo
    e fu grande delusione il vedere
    che umile serva in te cercava Adamo,
    e oggetto di piacere, che in suo
    giaciglio sottostar doveva!
    Non ti confece il tuo triste destino
    e lo spirito tuo ribelle
    manifestò il dissenso per la sorte
    che il maschio dominator
    volea assegnarti! Ti ripudiò
    ed al suo fianco più non ti volle:
    ciò infuriò l’Artefice che dall’Eden
    ti cacciò, dandoti in dote
    ad altro Ribelle che dal suo Regno
    estromesso aveva: e demone
    tra i demoni tu fosti, compagna
    a Satana che ti pose sovrana
    sulle tenebre e la misteriosa luna:
    ma solo oggi riscatto tu trovi
    nel recar esempio ad altre donne
    che padrone di se stesse si fanno
    e della loro famminilità, non più
    succubi del maschio che troppo a lungo
    trionfar volle su loro!
    E l’uomo Adamo urla il suo dolore
    ora che in te vede unica donna,
    sua compagna di vita e ripudiar vorrebbe
    il frutto del costato suo Eva
    che alle lusinghe tue, fatta serpe tentator,
    cedette, cadendo in perdizione eterna!

    EVA, LA FEMMINA

    Il serpe tentatore ti riconobbe:
    dall’ondeggiar dell’anca,
    dall’audacia del seno,
    dallo sguardo sensuale
    e dalla voce tua suadente
    comprese che fosti generata
    per dannare il compagno
    che il Creator ti diede!
    Ed ebbe ragione,
    alle lusinghe sue cedesti
    e corrompesti l’uomo
    senza saper che, in una,
    condannavi anche te stessa
    a deformare il corpo tuo virgineo,
    a partorir con doglie
    ed allattare al seno tuo
    le vite che col tuo gesto insano
    fosti costretta a recare al mondo!
    E ancor paga non sei
    perpetui la tentazione tua
    ponendo la dolcezza
    del corpo tuo sinuoso
    ad esca, cui l’uomo resistere
    non può, per ancestral retaggio:
    Adamo egli si sente
    e d’Eva il pomo accetta!

    MARIA, FEMMINA E DONNA.

    Millenni dalla Genesi trascorsi
    in cui donna voleva dir tormento
    di vita grama, sottomessa e umìle,
    Vergine ebrea, tu nascesti, ignara
    di tua sorte che ti renderà divina!
    Prescelta dal Sommo, per annullar
    Suo errore che avea fatto quando
    in Eden mise, compagne ad Adamo,
    da pria Lilith, spirito libero e ribelle,
    deinde Eva, che cedette alle lusinghe
    che il Demone le fece, portando
    seco il compagno in perdizione!
    E per consacrare il riscatto
    tu fosti pregna del tuo Dio
    che, agli occhi del creato,
    gloriar ti volle, ed il suo errore
    rendere nullo, riconoscendoti qual
    madre di Se e del Figlio suo in terra!
    E, senza aver conosciuto uomo,
    da te discese Geova che in una
    te rese Madre, Figlia e Sposa
    del tuo Signore! Ed egli, per tener
    fede al patto antico col popol suo,
    patì il supplizio della Croce e poi risorse
    osannando Te nei cieli al fianco suo:
    Tu, femmina e donna mortale,
    l’immortalità ricevesti, e Divina fosti
    esempio ad esse che dopo te vennero
    e che, per accogliere il tuo retaggio,
    ben due millenni vollero ad abituare
    lor menti ad aver coscienza del dono
    che lasciasti loro! Ma chi ancor non
    comprende l’impronta che di Te
    il Sommo volle lasciare, è la Chiesa Sua
    che, retta da maschil governo,
    è sorda a riconoscere l’eguaglianza
    che uomo e donna sulla terra hanno!

    Gavino Dettori 8 giugno 2011

    sezione A – accetto il regolamento

  100. Con la presente,io,Francesca Luzzio, invio una poesia per la sez.A E DICHIARO DI ACCETTARE I TERMINI E LE CONDIZIONI DEL CONCORSO.

    CRONO-VALZER

    Libri sul comodino
    vita come film visto da lontano,
    fantastico mondo di pifferaio
    tra ricamate ombre di cristallo boemo.

    Maria in cornice
    nell’azzurra parete di cielo,
    poi tanti mobili lisi
    che sano di tempo, di stantie passioni
    di amare verità alla luce del sole
    retaggio di un flusso che appare e dispare.

    E nell’armadio i vestiti d’occasione
    impregnati di profumato sudore
    che si espande tra i passi di un valzer
    che nessuno ormai suona più.
    -Signorina permette un valzer?-
    Ed io volo: che sogni, che sogni
    spenti dalla porta chiusa che nega
    nel labirinto dei momenti
    la circolare eternità!

  101. I POETI
    I poeti seguono le stelle
    Come astrolabi dell’anima
    Tracciano i sentieri preposti
    Per ogni loro partenza
    Perdono piume dalle ali
    Donando al mondo
    Parole d’incanto
    Incastonandole come gemme
    Nelle pareti del cuore
    Diavoli dispensatori
    Di lacrime e passioni
    Sono il bene ed il male
    Che ognuno porta con sé
    I poeti seguono le stelle
    Laboriosi operai
    Dei sentimenti
    Angeli e diavoli
    Delle più recondite emozioni
    I poeti sono liberi
    Colombe nere e corvi bianchi
    Apotropaici e dannati
    Ma sono ancora in piedi
    Non sono ancora estinti
    Dietro al dito il cielo
    E poi…noi.

    M.Crosera

    Accetto i termini del concorso.

  102. Tiziana Tius Partecipo alla Sezione B Dichiaro di accettare il regolamento

    Il racconto denuncia la distribuzione di farmaci scaduti nei paesi bisognosi di cure.

    Chéri

    Non è stato facile fissare questo incontro. Per ottenerlo ho dovuto mentire sulla mia identità. Mi aspetta nella hall dell’albergo. Mentre mi avvicino perdo tutta la baldanza che mi ha fatto arrivare fino a qui. Vorrei tornare indietro ma è troppo tardi: mi ha visto. Stamani ero sicura che l’avrei fatto senza indugio, ho indossato un paio di scarpe rosse con un tacco 12 a spillo, la gonna svolazza molto al di sopra del ginocchio e la camicetta gioca sul vedo non vedo che piace tanto agli uomini, ero sicura di me stessa come un generale in guerra quando sa che ucciderà il nemico e lo sconfiggerà. La borsa mi scivola dalle dita sudate e l’espressione trasuda paura, ho gli occhi di vetro e tento di usarli a mio favore, non deve capire che ho paura. Un indicibile paura che mi sfiora le cosce e perdo acqua come se avessi rotte le acque, il tremito è camuffato bene, ma io so che tremo e questo aumenta il disagio. Sono partita dalla città dove vivo un mese fa, dopo che tutto ormai era accaduto e nulla potevo se non tentare di salvarmi, almeno io sono ancora viva. Lavoro per una nota casa Farmaceutica da ormai 15 anni, sono un manager che tratta milioni di euro al giorno, parlo con i paesi di tutto il mondo e tratto con i potenti, eppure adesso ho paura e nonostante io parli correttamente tre lingue non saprei dire nemmeno come mi chiamo. La storia è una schifosa parodia, se l’avessi vista in teatro avrei applaudito alla fantasia del creatore, invece questa che sto vivendo è vera e fa vomitare. Tre anni fa nel mio ufficio si presentò Matteo, lo ricordo come oggi, il suo sorriso mi aveva letteralmente folgorata, io che amavo solo il lavoro e non uscivo con un uomo da ormai un anno, io che avevo asceso ad una carriera imprevista in poco tempo eludendo ogni candidato promettente, mi trovavo di fronte ad un ragazzo di dieci anni più giovane di me e mi sentivo pulsare le vene, idiota mi dissi e lo liquidai con uno dei miei sguardi gelidi. Il giorno dopo eravamo nello stesso letto e facevamo l’amore come ci fossimo conosciuti da sempre, mi chiamava Chéri ed era dolcissimo. Empatia o colpo di fulmine non saprei, so solo che i suoi occhi erano calamite alle quali non resistevo, i suoi argomenti mi lasciavano sbigottita. Matteo lavorava all’ultimo piano del grattacelo e si occupava di spedizioni, era responsabile dei medicinali inviati in Africa in vari campi dove i profughi risiedevano a migliaia, la mia Società mandava un numero illimitato di farmaci gratuiti per aiutare i poveretti. Matteo era curioso e si fidava poco di tutto e tutti e così un giorno mentre prendeva un caffè alla macchinetta nel corridoio ad ora tarda non poté eludere il cicaleccio proveniente dall’ufficio in fondo al corridoio. Camminò coi piedi sollevati ed il caffè in mano sino alla porta socchiusa ed ebbe la cattiva idea di ascoltare la conversazione.
    “ Senti cazzo, abbiamo spedito un numero imprecisato di schifezze a quei poveracci, adesso per favore facciamo una spedizione normale, se ci beccano finiamo in galera per il resto dei nostri giorni “ era la voce di Marzio, uno stronzo che lavorava al secondo piano, il pupillo del Vicepresidente, ma che cazzo stava combinando, Matteo doveva saperlo, scivolò con la massima discrezione il più vicino possibile alla porta e allora li vide, in piedi Marzio con le tempie che pulsavano e le mani strette a pugno, il viso imperlato di sudore e la voce roca, aveva paura e tanta ed era incazzato e parecchio. Seduto alla scrivania un uomo che Matteo non avrebbe mai pensato di vedere coinvolto in traffici illegali, perché evidentemente di questo si trattava. Il caffè scivolò sulla camicia e proseguì lento giù fino ai pantaloni, era bollente ma la voce rimase strozzata in gola e Matteo decise di rimanere immobile e ascoltare. Farmaci killer ecco cosa spedivano, tutti i farmaci che uscivano dal laboratorio di sperimentazione e non avevano ancora superato i test, gli uomini di colore facevano da cavia e non lo sapevano.
    Dieci minuti, forse 15 al massimo e l’uomo seduto alla scrivania liquidò Marzio con un vaffanculo e preso per la cravatta gli ricordò che al capo non sarebbe piaciuto il suo atteggiamento e quindi di fare solo quello che gli avevano ordinato, nessuna iniziativa, non era compito suo. La notte in città accompagna le anime sui marciapiedi avvolgendoli di un’umidità che penetra le ossa. L’aria insalubre si conficca nei polmoni senza pietà nonostante il traffico sia minore, nessun passante guarda l’altro se lo si incontra, l’indifferenza mescolata alla paura fa tenere gli occhi bassi. Matteo camminava da ore senza una meta e gli occhi li puntava al cielo, imprecando sulla faccenda e non sapendo cosa fare se non qualche indagine per essere sicuro di avere capito bene.
    Aveva un amico biologo che non gli avrebbe rifiutato il favore. Gli portò un medicinale per analizzarlo. “Ciao Matteo, è un piacere vederti!” “Ciao Paolo, ho bisogno di un favore”era cominciato tutto così, da quella stupida analisi che certificava l’assoluta irregolarità del farmaco e la sua pericolosità, Matteo non sapeva a chi rivolgersi, le cifre erano importanti e chissà quanti coinvolti nell’affare, doveva trovare qualcuno all’interno dell’azienda onesto, capace di vestirsi di una causa scomoda a favore dei più deboli. Arrivò a me in poco tempo, in azienda siamo tanti ma lui sapeva che io ero pulita, e non avrei mai accettato un simile imbroglio. Da lì le nostre indagini presero forma coinvolgendo quanti supponevamo essere sicuri. Le stelle, la notte in città, le immagini, passano sopra la tua fantasia e dentro il tuo cuore, immagini un tappeto luminoso sulla testa e speri presto che le cose cambino, desideri uscire dal polmone di cemento anche se sai che le probabilità di riuscirci sono pochissime. Abbiamo tutti una ragione più o meno valida per rimanere stretti come sardine dentro scatole buie, l’inerzia, l’abitudine il non sapere dove andare, il lavoro, la casa, il mutuo, un mucchio di stronzate che ci fanno morire nello stesso posto da dove abbiamo sempre sognato di andare via. Adesso so che la mia vita è stata uno sbaglio, adesso che l’intrigo è uscito allo scoperto, adesso che Matteo è morto ammazzato per cause imprecisate al vaglio degli inquirenti, ma io so che cosa è successo a Matteo e sono qui per la stessa ragione per la quale lui ha perso la vita. Tentare di arginare il danno e salvare più persone possibili. Ho cambiato colore dei capelli e scelto un nome improbabile, ho documenti falsi procurati a caro prezzo, ma i soldi per me non sono un problema, ho conosciuto gente di tutti i tipi in questo ultimo anno, le indagini mi hanno condotta in paesi stranieri e fatto incontrare persone che credevo immacolate, la mia fiducia nel prossimo veste di nero, dopo questo incontro, se mai ne uscirò viva me ne andrò, lontana per sempre, cercando di dimenticare quanto sia imbarazzante vivere al giorno d’oggi. Lui è un personaggio famoso nell’ambiente dove i potenti si spartiscono grosse fette di denaro per soddisfare i propri bisogni ai danni di altri, sono arrivata a lui vendendomi l’anima, non ho più niente da perdere e quindi devo smettere di avere paura, ormai a questo punto tutto è relativo.
    Gli occhi cercano dentro i miei il punto debole prima di sferrare il colpo definitivo, parliamo sottovoce seduti al bar nella hall dell’albergo e mi sento meglio, come se mi aspettassi di tutto. Il patto è siglato, io consegno a lui le prove che lo incastrano e lui mi chiede di sparire in cambio della mia vita. “Mia cara, non si può essere sempre paladine dei diritti altrui, noi cerchiamo di aiutare i più deboli, qualcuno sopravvive altri no, del resto anche fra di noi non tutti superano le malattie solo grazie alla medicina, alcuni non ce la fanno altri reagiscono ai farmaci, è una legge di natura” serro le labbra in una smorfia, il volto si contrae e vorrei solo piantare le mie unghie in quella pelle tirata da evidente ritocchi chirurgici, è una persona infima e viscida, ma so che non risolverei il problema, Matteo è stato brutalmente fermato così come l’amico biologo e quanti hanno partecipato a questa indagine, quando il potere assume determinate proporzioni ogni tentativo di ribellione pare essere vano, una goccia in mezzo ad un mare infinito. Accetto lo scambio e me ne vado, stamani ho infilato in una busta il disco originale e la documentazione che almeno li fermerà per un po’. Il cielo è terso e la fretta della gente intorno mi fa sorridere, il mio passo è lento e gli occhi si sciolgono dentro lacrime che credevo d’avere perdute, ho 30 anni e so che non vedrò l’alba domattina, afferro la mia mano e sorrido al vento so che ho fatto la cosa giusta. Il colpo è diretto, sento un brusio di voci attorno e le gambe cedere al corpo pesante, qualcuno grida e mi pare che la voce giunga da molto lontano, la mano di Matteo mi afferra dolcemente “Andiamo Chéri hai fatto un ottimo lavoro” adesso so che vedrò le stelle in cielo.

  103. Invio la seguente poesia …e dichiaro di accettare i termini del concorso.

    NOVEMBRE

    Quando l’ombra s’infosca
    intorno al fuoco
    o a tavola,
    ci sono i posti vuoti

    di chi, in punta di piedi,
    s’è affondato nel solco
    e ha lasciato il silenzio
    di care voci spente,

    misti odori di fiori,
    il grigio fumo dei ceri.

    Ecco … Novembre
    spalanca i suoi cieli
    e restituisce i morti …

    Ritornano col vomere
    e le zolle rivoltate,
    e quell’aria che trabocca
    di preghiera …

    cancella i nostri gemiti
    le nostre orme pesanti.

    Mary Mattana

  104. Con il presente, io ABDUL SENSIBILE, invio il racconto per la Sez. a e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    LE FOGLIE

    LE FOGLIE,
    QUANDO CADONO,
    ROMPONO I COGLIONI.

    ABDUL SENSIBILE 2012

  105. Io sottoscritta, Alba Cataleta accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A

    ODE A FACEBOOK

    Una fanfara di qua e una di là,
    tutte a osannar le CELEBRITÀ.
    Bel tempo sarebbe
    se fosse così,
    purtroppo però siamo
    MEDIOCRITÀ.
    Tempi che cambiano!
    I TALENTI si sprecano.
    Mi piacerebbe,
    invece, trovare
    la NORMALITÀ.
    Di lei si ha bisogno,
    però ormai si sa ben poco
    perché non c’è più nulla
    che abbia in sé
    un po’ di semplicità.
    Di vita tranquilla,
    cose piccole e semplici
    che diano il senso della discrezione,
    della sobrietà, della serietà,
    a misura dell’Umanità,
    che si perde tra i mille rivoli
    delle urla inutili
    dell’ umana stupidità.
    Nessun riscontro
    di grandi gesta,
    ma sempre di più
    parole usate come iperboli
    per uso e consumo
    di semplici creduloni
    che a tutto
    abboccano senza fiatar.
    Questa ormai è
    la nostra società?
    Tutt’insieme nel “baraccone”
    – ma com’è triste –
    e anch’io, in prima linea,
    la fanfara a suonar?
    Che amaro in bocca non poter
    più il genio scovar.
    Ci si accontenta di poco.
    “Tutt’erba un fascio”
    mai trovò epoca
    più azzeccata di questa:
    in tutti i campi
    e a tutte l’età,
    pronti ed insieme
    la fanfara suonar.

  106. Con la presente, io Simona Cambria, invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

    E le stelle stanno a guardare.

    Ti affido il mio cuore, la mia anima, tutta me stessa
    in queste notti di luna piena, in cui le immobili stelle stanno a guardare,
    ed il vento, con il suo tocco leggero, ci sfiora la pelle.
    E tutto il mondo resta fuori,
    lontano dalla nostra musica che sentiamo solo noi,
    che suona solo per noi.

  107. Eleonora Cruciani – sezione B – Dichiaro di accettare il regolamento

    “L’ abito turchese”

    Oggi indosso un vecchio abito di seta turchese con delle rose rosso carminio intrecciate a corde di paglia dipinte sul fondo. L’ho scovato in un mercato durante un’afosa domenica di Giugno.
    Stamane, prima di uscire ho notato due macchie scure sul fianco destro, sangue sgorgato dall’indice di quella sarta che l’ha cucito.
    Andava di fretta perché quell’uomo misterioso incontrato mesi prima, per caso, sul treno, era in città e la attendeva alla Stazione per un vero appuntamento.
    Era fremente e aveva dimenticato d’indossare il ditale.
    Ma no, che dico! Sono due macchie di gelato al gianduia, colate da quel cono enorme condiviso sul molo del porto di quella ridente cittadina, in quel piacevole pomeriggio estivo da quella signorina un po’ svampita, con la testa piena di sogni e quell’attraente marinaio in licenza.
    Era imbambolata e non riusciva a far altro che scrutare in quegli occhi profondi.
    Sto sbagliando ancora! Sono due macchie di rossetto impresse sbadatamente sulla stoffa da quell’ audace ballerina avviluppata negli abiti di scena e avvinghiata ai fianchi di quello scenografo, in quel camerino, di quel teatro, di quella graziosa cittadina.
    Era estasiata e immersa in un’osmosi di labbra e corpi.
    Oggi indosso un vecchio abito di seta turchese con due macchie scure sul fianco destro.
    L’ho scelto nonostante le macchie, perché temevo di morire senza averlo mai indossato prima.

  108. Elena Condemi- Sez.B- Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del regolamento.

    “L’oceano e la porta”

    Lei, l’unica cosa che aveva capito in tutto quel caos, in tutti quei maledetti equivoci ingigantitisi fino a non poter respirare più, in quella rabbia cieca che era subentrata, in quel dolore troppo grande e senza senso, era che lo amava.

    Sì, lo amava.
    Così per assurdo quell’uomo che le aveva fatto tanta paura come un’enorme montagna scura si era trasformato nel suo cuore in un’isola, che la conteneva tutta, e non sapeva come.

    Lo aveva capito sempre più durante i suoi passi confusi e stentati, e poi del tutto all’improvviso, in quel suo studio/laboratorio arancio chiaro con le tendine verde bosco e tutti i suoi libri e le sue penne, e poi in quel divanetto
    che pareva più grande di lei.

    Lo aveva afferrato con una lucidità dell’anima
    senza paletti e senza fronzoli, finalmente, ascoltandosi dentro mentre lui la feriva, per l’ennesima volta,
    e poi la rinnegava.

    Sì, lo amava.
    Così com’era.
    E non come aveva creduto dovesse essere un giorno il suo vero compagno.

    Ma, come sempre nella sua vita, anche stavolta era troppo tardi. Perché forse in quel caso lei aveva fatto peggio di un uomo, aveva scambiato l’amore per passione.
    Ne aveva provata così tanta, forte, viscerale, che le era andata in testa prima come una gioia immensa e poi come un veleno forse. Un veleno che aveva offuscato di paura ogni movimento, ogni pensiero. Perché lei aveva già sofferto prima di lui,troppo, e a un certo punto aveva temuto che quell’uomo ancora fragile e così pieno d’amiche la fregasse, convincendola a credere a una storiella squallida ammantata
    di passione.

    Quando lui una volta le aveva detto che non riusciva a riconoscere l’amore di un uomo lei era rimasta senza fiato, per la gioia forse, ma aveva ugualmente tremato.
    Forse aveva cominciato a contare gli indizi, senza rendersene conto. Perché dopo i vandali di prima lei era rimasta come un giardino devastato.
    Cercava gli indizi dell’amore. Come Pollicino con le briciole, per arrivare a lui senza più paura.

    E i pensieri s’erano con­diti di mille coincidenze, arrivate sempre, grandi e sempre troppo puntuali per riuscire ad ignorarle, e poi avevano finito con lo schiacciarla…
    spesse più d’una coltre di fumo nero che ti cambia all’improvviso tutto lo scenario,e perdi di vista l’orizzonte, fino a non sapere più dove sei, e soprattutto con chi.

    Aveva cercato di lottare, di far chiaro affinché tornasse la luce, ma nessuno aveva voluto ascoltarla, nessuno. Anzi, la coltre nera era diventata un oceano che la spazzava via, e che si era nutrito a ogni istante di se stesso per ingrandirsi.

    E le onde di quest’oceano la rendevano ogni volta più solitaria d’un deserto.
    Ogni volta che lei provava a parlare. E la lasciavano ancora più assetata e stremata.
    L’avevano dipinta come un fiore nero. E gli avvol­toi dalle compiacenti labbra rosse,le sta­vano di sopra.

    E poi il freddo non se n’era andato più da lei.
    Quello che sta nel profondo più delle ossa. Quello che ti spoglia di tutto, persino di te stessa.

    E tremava ancora.
    Perché nulla dà più freddo di una porta chiusa.
    E di quel silenzio che ne segue più accecante del sole del deserto, più tagliente delle rocce frastagliate di certi mari. Ti spacca il cuore e la bocca quel freddo là, ti spacca i giorni e le notti.

    Non sono le porte aperte a far entrare il freddo, no.
    Sono quelle chiuse.

    Elena Condemi

  109. Elena Condemi -Sez.A- Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del regolamento.

    “M’inventi capriole”

    A tratti
    le ali spumeggiano
    intarsiate
    dei tremori dell’aurora
    e dei flutti
    d’ardenti saette

    M’inventi,
    grande petto bruno,
    capriole di ramati tramonti
    brevi a vegliare
    riverberi
    di lucide notti feline
    e di tenere ombre scalze.

    Nel mio ventre
    perlacee vigne vagheggiate
    inquieti gambi di fiori attenti
    stordite corolla di risa

    ed io
    audace sorgente
    di mutevoli stelle rosse
    scandite in gola.

    Tu,
    mia splendida vertigine,
    impetuosa resa ambrata

    Noi nel presente…
    misterioso,
    ancestrale trionfo
    d’astri danzanti.

    Elena Condemi

  110. o, Enrico Carlostella , prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento

    SULLE SCALE DELLA VITA

    Prima che ti portassero come un peso per le scale,
    ti ho vista molte volte nell’androne del palazzo,
    era mentre chiudevano la tua carrozzina
    alla fine dei miei giochi.
    Ti aggrappavi al collo di tuo padre,
    come se ad aver fatica non fosse lui, ma il tuo cuore,
    un fazzoletto di glicine nel mondo.
    A quel tempo giocavo nel cortile con gli amici a palla prigioniera,
    mentre tu, da un lato prendevi l’aria tra le piante
    che qualcuno chiamava con il tuo nome.
    Nel giocare quando la palla cadeva ai tuoi piedi
    io e gli altri ci guardavamo
    come se avessimo commesso uno sbaglio,
    ma tu sorridendo con quei tuoi grandi occhi neri,
    lasciavi che io corressi per averne di nuovo il possesso.
    Avevamo la stessa età, gli stessi occhi, lo stesso cuore,
    ma io volavo nel vento e su per le scale, mentre te sul portone
    salutavi la gente che entrava, aspettando di tuo padre l’arrivo.
    E poi altre scale, ed altra fatica.
    Gli anni son passati,
    sia per te che prendevi l’aria della vita
    sia per me che giocavo a palla prigioniera.
    Son volate le stagioni,
    come le foglie nel cortile,
    adesso siamo grandi,
    come i grandi che salutavi sul portone.
    Ma io credo d’esser diventato grande
    il giorno che mi feci coraggio
    quel tanto che basta,
    per farti aggrappare le braccia al mio collo.
    Quel giorno la fatica per te è stata la stessa, per me credimi nel
    prenderti in braccio è stato come cogliere quella palla ai tuoi
    piedi, la stessa di quando bambino giocavo.
    E così nel portarti per quelle scale mi sono accorto che si può
    continuare a volare, nonostante il destino. Ne sono stato certo
    nell’attimo in cui, ne di quelle scale ne di quella vita eri più
    prigioniera.

  111. Maria Francesca Petrungaro -Sez.A- Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del regolamento.

    Danza d’amore

    Aspetto
    davanti all’esibizione della natura e
    atterro stanca sulla cima della mia vita.
    Non ci sono onde
    che si sfidano con gli scogli.
    Tutto è calmo, leggero.
    Tacito.
    Vivo la bellezza di un istante
    tuffato nella sua semplicità e
    affondato nella mia mente.
    I raggi di questo nuovo sole, così strano e mansueto
    raggiungono le acque cristalline.
    D’improvviso
    formano rubini d’argento
    sul suo mantello di lacrime confortate
    e di sorrisi esauditi.
    Sembrano minuscole stelle
    che iniziano
    il loro incantevole spettacolo
    trasformandosi
    in divine vestaglie bianche
    che ballano al suono della musica del mare.
    Adorano suscitar sensazioni
    di armonia incandescente
    negli osservatori stupefatti.
    Poi giacciono
    come donne innamorate,
    abbandonate
    al tepore di un dolce fervore,
    continuando a diffondere luce
    nell’abisso di questo mondo serpeggiante.
    Attenderò che la sera chiudi
    il sipario di questo provino
    di abbaglianti e leggiadre ballerine,
    come sere d’amore sognanti,
    mai svanite
    nel ricordo di chi le ha vissute.
    Poi sparirò con loro,
    rivestita da una coltre di languidi pensieri
    che ondeggiano
    come sirene evanescenti .

  112. Nuvole di vita.

    Capitano
    le nubi bigie,
    quelle che vestono il sole
    con inquiete ombre,
    le stesse
    che inondano gli occhi
    di stille leggere.

    Si riempiono
    le guance ed il volto
    di rivoli affilati …

    e che non si possa dire
    che non ho pianto.

    Desidero
    i candidi cirri,
    quelli che l’astro coccola,
    le greggi leggerissime
    al pascolo nel mitigato cielo
    di un pomeriggio
    di primo autunno.

    S’illuminerà
    pure il mio viso,
    sprovvisto di dolenza …

    finché si possa riferire
    che pure ho sorriso.

    sez. A – accetto il regolamento

  113. Con la presente partecipo alla sezione A (poesia) del concorso con la mia poesia A POEM 257 – L’AFFITUARIA.
    Dichiaro di accettare il regolamento del concorso TOCCARE IL CIELO.

    A POEM 257 – L’AFFITTUARIA

    Sono io l’affittuaria.

    Di camere ne ho sempre,
    ma non per tutti, no.

    Non sono in vendita
    le mie camere.
    Non si richiede alcun affitto.

    Sono camere un po’ particolari.
    Le ho fatte tutte io,
    una ad una.

    La più importante
    l’ho affidata al sangue del mio sangue.

    La più antica
    al compagno di una vita.

    Sono camere assegnate ormai da tempo,
    non si liberano più.

    Ce ne sono tante altre,
    di piccole,
    di grandi,
    occupate a metà,
    o del tutto,
    o con uno sfratto esecutivo.

    Ma ce n’è una,
    tra le ultime nate,
    per un intruso,
    che s’è intrufolato
    nell’albergo senza documenti.

    Anche lui se vuole
    può rimanerci.
    Anche per sempre.

    C’è sempre posto qui,
    dove la moneta sonante
    sono l’affetto, l’amicizia, l’amore,
    i brindisi, i sorrisi,
    le lacrime, gli abbracci.

    C’è sempre posto qui,
    nel mio cuore.

  114. 20 ottobre 2012 Con la presente io ROBERTO CATTANEO,invio la poesia per la sezione A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    QUANDO L’AMORE DIVENTA UNA FIABA!

    Mi accadde incontrare una fata nel bosco,
    e perdutamente me ne innamorai.
    Bruna,piccina,i capelli un incanto,
    non fu solo per questo pero’,che l’amai ;
    fors’e’ che anche gaia era colma di pianto,
    lo seppi d’allora : ” per lei soffrirai “.

    Le pene le avevan sciupato le ali,
    viveva di frutti e forzato candore
    privata del volo e l’amor dei suoi cari ,
    madrina degli alberi ,arbusti e ogni fiore.

    Entrai nel suo mondo da sciocco cafone
    irruente e gagliardo,opulento di doni.
    Parlavo per ore dicendole il nulla,
    quant’era paziente che Dio mi perdoni.

    Ma nel mio sproloquiar mi colse sincero
    leggeva sapiente che avevo nel cuore,
    promise amicizia e l’affetto piu’ vero
    frenando con garbo il mio focoso ardore.

    Ogni alba trovava me alzato gia desto
    uscivo di casa correndo,
    la rugiada mi bagnava il viso
    penetravo la selva cantando.
    Dall’animo mio scaturiva una gioia
    soltanto da bimbo provata,
    Quando infine giungevo alla meta
    da lei,la mia fata agognata.

    Tra noi nacque un gioco soave
    vivevo danzandole attorno,
    lei accudiva la flora del bosco
    io bramavo amarla un bel giorno.
    Se rideva,quant’era bella
    felice del mio motteggiare,
    rassicurata ora era lieta,
    farsi da me corteggiare.

    Ed infin raggiunto l’apice
    per quest’uom della fiducia,
    mi verso’l’amaro calice :
    confesso’ cio’ che la brucia.

    Quel di’ il bosco tacque
    nessuna creatura profuse alcun suono,
    ascoltavo in silenzio senza muovere un dito
    nel mio petto batteva un rombo di tuono.

    Chi prima d’allora io potessi esser stato
    perse importanza e significato,
    le avventure,i compagni,le grasse risate
    gli eterni quesiti:”chi ci ha creato,
    cosa c’e’ nel futuro e perche’ siamo nati ”
    sparivan davanti quegli occhi bagnati.

    Di cio’ che mi disse non resti memoria
    che’ sol per me voglio il suo triste passato,
    per quel che pati’,Iddio l’abbia in gloria
    decisi che a casa non sarei piu’ tornato.

    Per le ventiquatt’ore le restavo accanto
    i giorni erano attimi ,brevi minuti
    prestavamo soccorso ai fiori recisi,
    e i rami spezzati
    dalla folgore uccisi,
    ricongiungevam alla pianta materna.
    Risuggevan la linfa,
    avean vita eterna.

    Durante le notti vegliavo il suo sonno
    le lisciavo i capelli,le pulivo i vestiti,
    lucciole in festa facean chiarore
    l’estate,coi grilli in orchestra a suonare.

    La coltre bianca cadeva dal cielo
    coprendo di pace letargo e riposo ,
    zampettavamo l’inverno con zelo
    deliziandoci gli occhi, come amata lo sposo.

    E quante risate,fingendo apprensione
    Quando la pioggia gonfiava i ruscelli,
    rifugiarsi nei tronchi o ballar tarantelle
    secondo l’umor,
    non servivano ombrelli.

    Il mio desiderio resto’ sempre tale
    Anzi crebbe col tempo
    fino a farmi male.
    Nemmeno nel sonno trovavo la pace;
    con Morfeo mi seguivan
    quegli occhi di brace.

    Ridevan le ninfe
    invidiose e lascive
    poiche’ le ignoravo
    con me eran cattive.

    Passaron i mesi e le stagioni
    l’addiaccio,il disgelo e dopo l’arsura,
    avevo trovato il giardino dell’Eden
    ma aime’, sulla terra il paradiso, non dura

    Che bello era stato veder piano piano
    l’amaro ch’e’ in lei finalmente svanire,
    al risveglio gioiva al suo nuovo mattino
    Quanto ti amo le volevo dire.

    E cosi’ come un tempo
    quando fui ragazzo,
    la bella che avevo mi abbandonava
    atterrito rimasi:” Diventero’ pazzo “,
    era successo: NUOVE ALI SPIEGAVA !

    Oh demoni rabbiosi
    potenza infernale,
    creature del buio,
    Signore del male
    strappatemi il cuore,bevete il mio sangue
    cavatemi gli occhi lasciatemi esangue
    torturatemi a morte ,ch’io non faccia che urlare
    ma vi prego,scongiuro,…non la fate partire.

    Nessuno rispose ma mentre gemevo
    invocando in ginocchio
    piegato al terreno
    la dove l’avevo un di’ abbandonata
    vidi la mia spada:
    l’avrei mutilata.

    in preda al furor mi levai armato
    “Resterai qui,non andrai da quei tali
    da te non saro’ mai separato ” !
    feroce le avrei tarpato le ali.

    Ma basto’ sol vederle negli occhi il timore
    a distender le dita che stringevano l’elsa,
    mai avrei potuto farle del male
    non c’era scampo: io !…l’avrei persa.

    ” Amore mio ti auspico ogni bene ”
    ci stringiamo forte
    oh,tenerti in catene.
    Ti bacio la fronte
    ti guardo le labbra,
    mi sfiori una guancia
    e mi dici :” Mannaggia “:
    Qualche goccia cade rigandoti il volto
    diventan cristalli
    per donarmi il rimpianto.

    Poi ti alzi dal suolo
    con leggera fatica
    ti giri e rigiri
    ma non ti volti mica,
    mentre le piante
    tristi intonano cori,
    dirigi la rotta verso i tuoi amori.

    A lungo vagai tra i sentieri svanito
    averla perduta mi piombo’ nel vuoto,
    insieme al dolor stanchezza infinita
    quant’apatia,che di questa vita?
    Dormivo dovunque privo d’ogni interesse
    accudire io il bosco ?
    ma s’incenerisse !!
    Mi si lasci in pace
    a questo lento marcire,
    finiro’ pure
    prima o poi per morire.

    Ma mi desto’ un giorno
    dal mio gonfio torpore
    uno strano ,leggero
    piacevole odore.
    Donde proveniva non sapevo capire
    sembrava dovunque
    come l’acqua nel mare.
    Lo sentii crescere
    come dal fuoco il fumo,
    urlando compresi :
    “E ‘ il suo profumo “.

    Ogni stelo,ogni sasso,ogni legno,ogni foglia
    ne erano intrisi,
    persino la paglia.
    Riempivo correndo consumando le nari
    i polmoni ammaliati
    del sapor tra i piu’ cari.

    Mai piu’ dubitai del mio scopo nel mondo
    ridendo pensai
    al sortilegio compiuto,
    l’essenza di se lei mi aveva lasciato
    salvandomi l’anima
    e questo luogo stregato.

    Cosi’, qui rimasi.Ebbro d’amore
    per gli anni a venire
    scrupoloso tutore
    e se ,raro,accadeva sentirmi da solo
    bastava un respiro
    per averla di nuovo.
    Ma sempre resto’ desto in me un focolare
    una tenue speranza
    un desiderare
    Ma si ! la certezza prima o poi di vedere
    in questa vita o in un’altra……….

    la fata tornare !

  115. Terra

    Cadono pesanti

    le tue parole,

    alzano la polvere

    della mia terra.

    Sbocciavano frutti

    dalla tua bocca,

    ora parole

    aride e aspre,

    che incolte muoiono

    nella mia terra.

    Accetto il regolamento – sezione A

  116. Io sottoscritta Rosa Carotenuto accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A.
    Lungo le vie della mia ANIMA
    lungo i sentieri del mio cuore
    sento che il dolore attanaglia e tormenta il mio AMORE.
    E’ bello pensarti ma é ancora più bello viverti
    Se ti dicessi che non provo nulla per te mentirei…
    Non ti amo con tutto il mio cuore…
    No…ma con tutta la mia ANIMA…
    Perché l’ anima é eterna…non muore mai…così come il mio amore per te.

  117. Io sottoscritta Rosa Carotenuto accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione B.
    “La forza dell’ amore”.

    Io e Roberto eravamo felici,tutto era un paradiso ed esistevamo solo io e lui. Ma era trascorso un mese che non mi sentivo con lui,Ero ridotta uno straccio. Fissammo un appuntamento per chiarire una volta per tutte la situazione.Lui era li che mi aspettava. .>Allora?Mi spieghi cosa sta succedendo?> gli chiesi, gli feci notare.Dopo qualche minuto ebbe il coraggio di pronunciarsi:<Vedi Alba tra un mese devo partire<. gli chiesi a voce alta…. lo sai che non mi allontanerò mai dalla mia città e dal mio lavoro, cascasse il mondo io resterò qui e mi sembra che ne avevamo già parlato molto tempo fa> gli urlai. Lui non disse una parola, mi alzai dalla sedia e gli dissi:.Tornai a casa in lacrime, nella mente si fecero prepotenti i ricordi di quei meravigliosi anni trascorsi insieme,ben tre anni cavolo!Buttati via così, la vita è proprio ingiusta a volte, anzi lo sono certi uomini. Passarono settimane, mesi, e il mio dolore piano piano scomparve.Un giorno ero a pranzo con il mio collega Rodolfo quando lo vidi scoppiare in lacrime.Gli chiesi il perché e lui mi rispose che era per causa di suo fratello Marcello, il quale voleva vendere la sua ditta.Rodolfo mi chiese la cortesia di far cambiare idea al fratello.Feci le valigie e partii alla volta di New York dove mi attendeva il maggiordomo di Marcello.Arrivai a casa del fratello del mio collega, la cameriera mi portò da Marcello, lui era in una stanza tutta buia, io non capivo perché.Incuriosita accesi la luce della lampada che era li vicina a me e purtroppo mi accorsi che Marcello era cieco.Io scoppiai in un fiume di lacrime silenziose ma Marcello se ne accorse e mi pregò di non piangere per lui.Passarono molti anni, nel frattempo io mi ero licenziata dal mio precedente lavoro per collaborare all’ andamento della ditta di Marcello che nel frattempo cambiò idea di venderla.Un giorno andando a fare la spesa incontrai un caro amico di famiglia di Marcello il quale mi disse che era un chirurgo e mi raccontò che Marcello non si era mai voluto far operare agli occhi.Tornando a casa ci pensai su e raccontai dell’ incontro al mio nuovo capo e che era il caso di tentare di operarsi agli occhi, lui stette zitto per un po’ e poi accettò a patto che fossi presente anch’ io, gli dissi di si.Il giorno prima dell’ operazione Marcello mi chiese se volevo sposarlo, fui al settimo cielo per la proposta.Ci sposammo nel pomeriggio, intervennero amici e parenti sia miei che di Marcello, su proprio una gran festa.Arrivò il giorno dell’ operazione, prima di entrare nella sala operatoria Marcello mi fece promettere che qualsiasi cosa gli sarebbe successa io l’ avrei sempre amato come se fosse stato il primo giorno, io lo rassicurai e gli dissi che mai niente e nessuno al mondo mi avrebbe fatto cambiare idea, si calmò ed entrò nella sala operatoria.Trascorrevano le ore che sembravano un’ eternità, mi sentivo male.Finalmente uscì un infermiere che mi rassicurò che l’ operazione stava per concludersi.Passò qualche altra ora e finalmente Marcello uscì dalla sala operatoria, non mi potei trattenere dal baciarlo.Dopo qualche ora si svegliò, parlammo per un po’, gli consigliai di dormire e di riposare perché aveva subito un’ operazione abbastanza seria, così si addormentò ed io non smettevo di guardarlo e di accarezzarlo.Arrivò il fatidico giorno di togliergli le bende, avevo una paura matta ma allo stesso tempo cercavo di fargli coraggio e dirgli che tutto sarebbe andato per il verso giusto.Infatti fu così, Marcello aprì gli occhi e mi disse:.Ci abbracciammo e scoppiammo in un lungo pianto di gioia.Il miracolo avvenne, si è proprio vero, l’ amore è il motore che fa girare tutto il mondo.Tornammo alla nostra casa,passò un anno preciso e dal nostro meraviglioso amore nacquero due gemelli: Lorenzo e Alessandro, per noi erano i bambini più belli dell’ intero universo.Beh che dire,devo ringraziare a Dio per questo meraviglioso dono di una famiglia e , permettetemi, anche al mio collega, che se non era per lui io non avrei conosciuto mio marito Marcello e non avremmo avuto dei figli così meravigliosi, luce dei nostri occhi e frutto del nostro amore.Questa è la vera “forza dell’ amore”.

  118. Io sottoscritta Rosa Carotenuto accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione B.Chiedo scusa per il terzo reinvio del mio brano ma ho notato che il mio brano che ho in word quando vado a fare il copia e incolla qui, sotto il bando, ci sono tutte le parole, cioé il mio racconto é integro,quando poi lo invio, lo vado a rileggere dopo pubblicato e ci mancano le parole, come é possibile?

    “La forza dell’ amore”.

    Io e Roberto eravamo felici,tutto era un paradiso ed esistevamo solo io e lui. Ma era trascorso un mese che non mi sentivo con lui,Ero ridotta uno straccio. Fissammo un appuntamento per chiarire una volta per tutte la situazione.Lui era li che mi aspettava. .>Allora?Mi spieghi cosa sta succedendo?> gli chiesi, gli feci notare.Dopo qualche minuto ebbe il coraggio di pronunciarsi:<Vedi Alba tra un mese devo partire<. gli chiesi a voce alta…. lo sai che non mi allontanerò mai dalla mia città e dal mio lavoro, cascasse il mondo io resterò qui e mi sembra che ne avevamo già parlato molto tempo fa> gli urlai. Lui non disse una parola, mi alzai dalla sedia e gli dissi:.Tornai a casa in lacrime, nella mente si fecero prepotenti i ricordi di quei meravigliosi anni trascorsi insieme,ben tre anni cavolo!Buttati via così, la vita è proprio ingiusta a volte, anzi lo sono certi uomini. Passarono settimane, mesi, e il mio dolore piano piano scomparve.Un giorno ero a pranzo con il mio collega Rodolfo quando lo vidi scoppiare in lacrime.Gli chiesi il perché e lui mi rispose che era per causa di suo fratello Marcello, il quale voleva vendere la sua ditta.Rodolfo mi chiese la cortesia di far cambiare idea al fratello.Feci le valigie e partii alla volta di New York dove mi attendeva il maggiordomo di Marcello.Arrivai a casa del fratello del mio collega, la cameriera mi portò da Marcello, lui era in una stanza tutta buia, io non capivo perché.Incuriosita accesi la luce della lampada che era li vicina a me e purtroppo mi accorsi che Marcello era cieco.Io scoppiai in un fiume di lacrime silenziose ma Marcello se ne accorse e mi pregò di non piangere per lui.Passarono molti anni, nel frattempo io mi ero licenziata dal mio precedente lavoro per collaborare all’ andamento della ditta di Marcello che nel frattempo cambiò idea di venderla.Un giorno andando a fare la spesa incontrai un caro amico di famiglia di Marcello il quale mi disse che era un chirurgo e mi raccontò che Marcello non si era mai voluto far operare agli occhi.Tornando a casa ci pensai su e raccontai dell’ incontro al mio nuovo capo e che era il caso di tentare di operarsi agli occhi, lui stette zitto per un po’ e poi accettò a patto che fossi presente anch’ io, gli dissi di si.Il giorno prima dell’ operazione Marcello mi chiese se volevo sposarlo, fui al settimo cielo per la proposta.Ci sposammo nel pomeriggio, intervennero amici e parenti sia miei che di Marcello, su proprio una gran festa.Arrivò il giorno dell’ operazione, prima di entrare nella sala operatoria Marcello mi fece promettere che qualsiasi cosa gli sarebbe successa io l’ avrei sempre amato come se fosse stato il primo giorno, io lo rassicurai e gli dissi che mai niente e nessuno al mondo mi avrebbe fatto cambiare idea, si calmò ed entrò nella sala operatoria.Trascorrevano le ore che sembravano un’ eternità, mi sentivo male.Finalmente uscì un infermiere che mi rassicurò che l’ operazione stava per concludersi.Passò qualche altra ora e finalmente Marcello uscì dalla sala operatoria, non mi potei trattenere dal baciarlo.Dopo qualche ora si svegliò, parlammo per un po’, gli consigliai di dormire e di riposare perché aveva subito un’ operazione abbastanza seria, così si addormentò ed io non smettevo di guardarlo e di accarezzarlo.Arrivò il fatidico giorno di togliergli le bende, avevo una paura matta ma allo stesso tempo cercavo di fargli coraggio e dirgli che tutto sarebbe andato per il verso giusto.Infatti fu così, Marcello aprì gli occhi e mi disse:.Ci abbracciammo e scoppiammo in un lungo pianto di gioia.Il miracolo avvenne, si è proprio vero, l’ amore è il motore che fa girare tutto il mondo.Tornammo alla nostra casa,passò un anno preciso e dal nostro meraviglioso amore nacquero due gemelli: Lorenzo e Alessandro, per noi erano i bambini più belli dell’ intero universo.Beh che dire,devo ringraziare a Dio per questo meraviglioso dono di una famiglia e , permettetemi, anche al mio collega, che se non era per lui io non avrei conosciuto mio marito Marcello e non avremmo avuto dei figli così meravigliosi, luce dei nostri occhi e frutto del nostro amore.Questa è la vera “forza dell’ amore”.

  119. Con il presente, io Vicente Castillia, invio la poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    LE STRADE DELL’ANIMA
    Percorro la strade della mia anima inquieta
    ti cerco tra le pieghe del tempo
    ma con mia somma delusione
    assaggio l’amaro calice della tua assenza
    il vuoto circonda con i sui infidi tentacoli
    il cuore, amplificandone ad ogni battito
    il suono,
    un suono che come campane a lutto
    riempie le strade deserte della mia anima.
    Cuore, mio cuore il tuo compagno di canto
    sepolto sotto metri di terra umida
    ha smesso di farti eco nella vita
    trova la tua pace ora altrimenti
    troverai solo un tormento
    che come un controcanto
    ti distoglie dalla retta via della vita
    anima, anima persa
    nel tuo peregrinare per le mie membra
    nude
    hai seminato nel tempo il germe della vita
    dammi adesso la forza di coltivarlo e
    far crescere nel suo cuore il tuo canto.

  120. La manna di notte.

    Pensare, sognare, sentire,
    ad un palmo da me
    la notte mi accoglie
    amica di sempre
    ad affievolire
    nei succhi del suo ventre.

    Ad un palmo dal mondo
    attraverso un imbuto
    io vivo.

    Sez. A – accetto il regolamento

  121. Visione agreste

    Ed è un richiamo ancestrale, un bisogno primario, un’onda che tutto trascina in sé…
    olezzi particolari e fragranze di memoria ecco sappiamo, ecco cosa siamo,
    alla terra noi siamo affini, di sole possiamo vivere e di pioggia nutrirci, le dita fra le foglie;
    l’inusuale sensazione di essecri così, senza eccedenze, senza brame se non forse, quella dell’unico desiderio che resta nobiltà.

    poesia di Michela Censi ,edita da Gruppo Albatros il Filo 2011 distrubuzione per librerie Mursia s.p.a. in “Frammenti di sogno” raccolta ” Le Cose” del concorso ” Nuove Voci”.
    Si chiede di iscrivere la poesia alla sezione A e si accetta il regolamento del presente concorso.

    1. Visione agreste

      Ed è un richiamo ancestrale, un bisogno primario, un’onda che tutto trascina in sé…
      olezzi particolari e fragranze di memoria ecco sappiamo, ecco cosa siamo,
      alla terra noi siamo affini, di sole possiamo vivere e di pioggia nutrirci, le dita fra le foglie;
      l’inusuale sensazione di essecri così, senza eccedenze, senza brame se non forse, quella dell’unico desiderio che resta nobiltà.

      poesia di Michela Censi ,edita da Gruppo Albatros il Filo 2011 distrubuzione per librerie Mursia s.p.a. in “Frammenti di sogno” raccolta ” Le Cose” del concorso ” Nuove Voci”.
      Si chiede di iscrivere la poesia alla sezione A e si accetta il regolamento del presente concorso.

  122. La sottoscritta Lia Mauceri partecipa per la sezione A e dichiara di accettare le regole del concorso in toto.

    Incantagione.

    Non sai come
    né quando
    né perché Lo incontri…
    Una scintilla
    un fluido
    una malia che ti prende
    impudente
    Ti avvolge
    ti seduce
    ti penetra, ti accende.
    Nel suo universo
    i colori
    non sono più i tuoi colori
    Né gli odori
    né la storia
    né il senso
    né i diletti, né i tuoi affetti.
    E’ un sortilegio che
    ti cambia le vedute.
    I frutti acerbi
    li cogli stagionati
    ed hai sentori
    di essenze sconosciute
    di brezze inesplorate…
    Una melodia
    una magia
    dentro la quale
    tu sei la divina.
    Ti senti bella
    ti senti donna
    unica e indispensabile.
    Una stella
    la più brillante.
    Fatale seduttrice
    accendi gli abituri
    illumini ogni sguardo.
    I sensi all’erta
    tamtam il cuore…
    Ti scoppia il vigore nelle vene…
    Ed è attesa, ardore
    timore, catena
    favola, follia
    la vita tua.

  123. Io Saul Ferrara, invio la poesia per la sezione A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Tanka

    L’età felice

    è terminata. Come

    stelle in lutto

    sul muro impronte di

    piccole mani sporche.

  124. Avevo sentito parlare della fuga dei cervelli dall’Italia, ma non pensavo che avessero lasciato qui i corpi

    La notizia apparve ripetutamente sulle pagine di tutti i giornali. Si propagò a macchia d’olio, allarmando i diretti interessati: i cervelloni.I quali pensarono anch’essi di fuggire.
    “-Non tira aria buona qua in Italia -si dissero. Dobbiamo andarcene,altrimenti finiremo fritti!-
    Come fare? Bisognava trovare una via di fuga. Non era possibile rimanere.
    Corteccia, lobi, tutte le aree ed anche le scissure di Silvio e di Rolando si attivarono spronando i due emisferi a connettersi fra loro per elaborare nel minor tempo possibile un piano di azione. Il piano “F” così fu chiamato, constava di quattro mosse fondamentali:
    1°Uscita dalla scatola.
    2°Individuazione e scelta di una via di uscita
    3°Trasformazione della massa corporea a misura dell’apertura individuata.
    4°Sviluppo di appendici idonee allo spostamento.
    Per loro fu sicuramente un giochetto da ragazzi,infatti in quattro e quattro otto, sgusciarono fuori.
    Presero la decisione collegiale di chiamarsi ENCE, che poi non era altro che l’inizio del loro nome dibattesimo.
    Qualcuno di loro sviluppò un paio di ali, alcuni pinne, e branchie, altri ruote e motore. Così chi lasciò l’Italia viaggiando per via aerea, chi per mare, chi per via terrestre,.Partirono tutti, lasciando in patria solamente gli involucri.
    Così i nostri “ENCE” approdarono in diversi paesi del globo. Dove riuscirono a diventare famosi. Un po spaesati all’inizio, soprattutto per la drastica scissione,che erano stati costretti a compiere. Il distacco dal loro corpo era stato un po’ traumatico ma necessario e poi adesso si sentivano orgogliosi e soddisfatti per la conquistata autonomia.
    Non essendo di piacevole aspetto, la gente diffidava di loro, ma cambiava subito opinione, quando veniva a conoscenza del livello del loro quoziente intellettivo. Venivano invitati nei migliori salotti, e la bella gente si vantava di averli ospiti.
    Intanto in Italia, i loro corpi vennero prelevati da burattinai che non aspettavano altro.
    Furono da loro muniti di fili e utilizzati come marionette nelle piazze e nei teatri di tutta Italia, al fine di raggiungere i loro scopi. Purtroppo vennero costretti a dover fare, figure ridicole e meschine.
    La vita degli ENCE, invece, scorreva su binari densi di soddisfazioni.
    Le loro continue scoperte nel campo della ricerca, erano veramente geniali e necessarie a tutta l’umanità. I media di tutto il mondo parlavano sovente di loro.
    Purtroppo l’ago della bilancia, della vita degli ENCE, dopo aver sostato a lungo, sul segno positivo,precipitò all’improvviso su quello negativo: Infatti,nonostante essi fossero dislocati in diversi punti del globo, furono tutti colpiti da una medesima epidemia. Pian pianino la loro intelligenza cominciò ascemare. La salute mentale a vacillare. Erano spesso colpiti da fitte lancinanti nella zona occipitale. Poi da accurate analisi,scoprirono che la materia bianca come quella grigia, mostravano segni di sofferenza.
    Un virus? Chissà!
    Presero la decisione di riunirsi, per analizzare la situazione, collegialmente. La sede della riunione fu la città di Boston.
    “ -Tutto ciò è sicuramente causato da un forte stress.-Iniziò uno di loro. Sicuramente-annuirono, alcuni.
    -Uno stress, probabilmente dovuto allo sforzo di sopperire agli organi mancanti.- specificò un altro.
    Certo,continuò un terzo, esponendo anche lui una sua teoria sulla causa dello stress.”
    Ognuno di loro espose diverse teorie, tutte logiche e motivate.
    Ma terribilmente lontane da pensare che la vera causa della malattia fosse ( dovuta solo e unicamente alle sofferenze morali subite dal loro corpo.)
    Qualcuno si chiederà certamente, come sia possibile una cosa del genere.
    Ma nonostante la lontananza,il legame indissolubile esistente tra CORPO e MENTE era rimasto tale, pur nel distacco non era riuscito a scindersi.
    CORPO e MENTE sarebbero stati sempre accomunati dallo stesso destino.
    E così fu….
    Contemporaneamente in Italia, i corpi che stavano morendo di vergogna e di tristezza,cominciarono a cadere per terra, uno dopo l’altro come tante bambole di pezza, rotte.
    Essi, invasero strade e piazze.
    Corpo e mente, erano giunti entrambi alla fine.
    La materia bianca e la grigia, degli ENCE stava evaporando, ben presto di loro sarebbe rimasta solo, un minuscolo pezzo di materia secca.
    Presero la decisione di morire in patria e, a stenti iniziarono il viaggio di ritorno, durante il quale alcuni di loro lasciarono la pelle.
    I più fortunati spirarono sul sul suolo natio, proprio vicino ai loro corpi.
    In quel periodo gli operai comunali adibiti alla raccolta differenziata, ebbero un gran daffare.
    Lavorarono giorno e notte, per sgombrare piazze e le strade.
    Raccogliendo e caricando sui loro camion corpi di migliaia di persone, e cervelli, scambiando questi per escrementi.
    Quindi trasportarono tutto il materiale organico alla discarica. Dove marcì al punto giusto, da divenire un ottimo humus, perfetto a concimare e rendere più fertili le terre Italiane.

  125. Con il presente, io Serenella Menichetti, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Avevo sentito parlare della fuga dei cervelli dall’Italia, ma non pensavo che avessero lasciato qui i corpi

    La notizia apparve ripetutamente sulle pagine di tutti i giornali. Si propagò a macchia d’olio, allarmando i diretti interessati: i cervelloni.I quali pensarono anch’essi di fuggire.
    “-Non tira aria buona qua in Italia -si dissero. Dobbiamo andarcene,altrimenti finiremo fritti!-
    Come fare? Bisognava trovare una via di fuga. Non era possibile rimanere.
    Corteccia, lobi, tutte le aree ed anche le scissure di Silvio e di Rolando si attivarono spronando i due emisferi a connettersi fra loro per elaborare nel minor tempo possibile un piano di azione. Il piano “F” così fu chiamato, constava di quattro mosse fondamentali:
    1°Uscita dalla scatola.
    2°Individuazione e scelta di una via di uscita
    3°Trasformazione della massa corporea a misura dell’apertura individuata.
    4°Sviluppo di appendici idonee allo spostamento.
    Per loro fu sicuramente un giochetto da ragazzi,infatti in quattro e quattro otto, sgusciarono fuori.
    Presero la decisione collegiale di chiamarsi ENCE, che poi non era altro che l’inizio del loro nome dibattesimo.
    Qualcuno di loro sviluppò un paio di ali, alcuni pinne, e branchie, altri ruote e motore. Così chi lasciò l’Italia viaggiando per via aerea, chi per mare, chi per via terrestre,.Partirono tutti, lasciando in patria solamente gli involucri.
    Così i nostri “ENCE” approdarono in diversi paesi del globo. Dove riuscirono a diventare famosi. Un po spaesati all’inizio, soprattutto per la drastica scissione,che erano stati costretti a compiere. Il distacco dal loro corpo era stato un po’ traumatico ma necessario e poi adesso si sentivano orgogliosi e soddisfatti per la conquistata autonomia.
    Non essendo di piacevole aspetto, la gente diffidava di loro, ma cambiava subito opinione, quando veniva a conoscenza del livello del loro quoziente intellettivo. Venivano invitati nei migliori salotti, e la bella gente si vantava di averli ospiti.
    Intanto in Italia, i loro corpi vennero prelevati da burattinai che non aspettavano altro.
    Furono da loro muniti di fili e utilizzati come marionette nelle piazze e nei teatri di tutta Italia, al fine di raggiungere i loro scopi. Purtroppo vennero costretti a dover fare, figure ridicole e meschine.
    La vita degli ENCE, invece, scorreva su binari densi di soddisfazioni.
    Le loro continue scoperte nel campo della ricerca, erano veramente geniali e necessarie a tutta l’umanità. I media di tutto il mondo parlavano sovente di loro.
    Purtroppo l’ago della bilancia, della vita degli ENCE, dopo aver sostato a lungo, sul segno positivo,precipitò all’improvviso su quello negativo: Infatti,nonostante essi fossero dislocati in diversi punti del globo, furono tutti colpiti da una medesima epidemia. Pian pianino la loro intelligenza cominciò ascemare. La salute mentale a vacillare. Erano spesso colpiti da fitte lancinanti nella zona occipitale. Poi da accurate analisi,scoprirono che la materia bianca come quella grigia, mostravano segni di sofferenza.
    Un virus? Chissà!
    Presero la decisione di riunirsi, per analizzare la situazione, collegialmente. La sede della riunione fu la città di Boston.
    “ -Tutto ciò è sicuramente causato da un forte stress.-Iniziò uno di loro. Sicuramente-annuirono, alcuni.
    -Uno stress, probabilmente dovuto allo sforzo di sopperire agli organi mancanti.- specificò un altro.
    Certo,continuò un terzo, esponendo anche lui una sua teoria sulla causa dello stress.”
    Ognuno di loro espose diverse teorie, tutte logiche e motivate.
    Ma terribilmente lontane da pensare che la vera causa della malattia fosse ( dovuta solo e unicamente alle sofferenze morali subite dal loro corpo.)
    Qualcuno si chiederà certamente, come sia possibile una cosa del genere.
    Ma nonostante la lontananza,il legame indissolubile esistente tra CORPO e MENTE era rimasto tale, pur nel distacco non era riuscito a scindersi.
    CORPO e MENTE sarebbero stati sempre accomunati dallo stesso destino.
    E così fu….
    Contemporaneamente in Italia, i corpi che stavano morendo di vergogna e di tristezza,cominciarono a cadere per terra, uno dopo l’altro come tante bambole di pezza, rotte.
    Essi, invasero strade e piazze.
    Corpo e mente, erano giunti entrambi alla fine.
    La materia bianca e la grigia, degli ENCE stava evaporando, ben presto di loro sarebbe rimasta solo, un minuscolo pezzo di materia secca.
    Presero la decisione di morire in patria e, a stenti iniziarono il viaggio di ritorno, durante il quale alcuni di loro lasciarono la pelle.
    I più fortunati spirarono sul sul suolo natio, proprio vicino ai loro corpi.
    In quel periodo gli operai comunali adibiti alla raccolta differenziata, ebbero un gran daffare.
    Lavorarono giorno e notte, per sgombrare piazze e le strade.
    Raccogliendo e caricando sui loro camion corpi di migliaia di persone, e cervelli, scambiando questi per escrementi.
    Quindi trasportarono tutto il materiale organico alla discarica. Dove marcì al punto giusto, da divenire un ottimo humus, perfetto a concimare e rendere più fertili le terre Italiane.

    1. Con il presente, io Serenella Menichetti, invio il racconto per la Sez. e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

      Umiltà

      Sale sinistra in superficie

      la scossa, sussulta e, spazia intorno:

      spiazza, spezza, spazza via

      case e cose e, chiese.

      Succhia energie vitali

      di persone e animali.

      Sconvolge flora, fauna.

      Avvolge mondi paralleli.

      Strappa voli e veli

      ricordi e cimeli.

      Annulla eventi ameni e, grevi.

      Silenzio ! Vacuo, cupo, lento.

      Tormento !

      Sciame sismico, sciaborda

      da profondità abissali.

      L’angoscia devasta i sensi

      e le coscienze.

      Veste il sogno di niente.

      E tu onnipotente muori.

      Montagna, dura roccia.

      Trasfiguri impotente in

      granello di sabbia.

      In foglia al vento esposta.

      Umiltà ti accompagni.
      .

  126. Io, Francesca Santangelo, prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento

    PREGHIERA AL BLU

    Alta Marea che invadi
    il deserto dei miei pensieri,
    coprimi di sale, trascinami
    sulle onde e poi giù
    nel Blu profondo color cobalto.
    Guizzo come un pesce silenzioso
    e mi confondo a Te tra
    vento sabbia e schiuma.
    A Te mio Azzurro complice
    e fedele.
    Mare. Mare mio e tuo.
    Mare d’amore e di antichi ricordi
    dispettosi e gai.
    Cullami come un’onda sulla spiaggia
    che non tace amore e l’accarezza.
    Portami con Te oltre il confine.
    Ma solo per amore.
    Un amore di Mare insieme.
    Un Mare sul cuore.
    Un Mare tra noi.
    E noi….
    Contro il Mare e amare
    FRANCESCA SANTANGELO

  127. Con il presente, io Gusmeroli Christian, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    ______________________________________________________________
    LA SECONDA VITA

    Renzo Solo era un uomo che aveva da poco superato il mezzo secolo di vita. Ha vissuto in totale solitudine, dopo la morte dei genitori, fino alla data di cinque anni fa quando per strada trovò un cucciolo di fox terrier abbandonato evidentemente da qualche bipede senza cuore. Il cucciolo venne battezzato Teo e d’allora i due vivono una vita intensa di coppia. Renzo che aveva sempre avuto una malinconia e vuota esistenza si sentiva finalmente amato. Ogni volta che rincasava dopo il lavoro non veniva più accolto da un pesante silenzio ma da un essere a quattro zampe scodinzolante ed esultante. A Teo spettava l’onere di ascoltare i racconti del suo padrone che spaziavano dalla giornata lavorativa alla sua biografia post nascita. La sera condividevano un piccolissimo letto ad una piazza e Renzo leggeva favole al suo piccolo amico e gli rimboccava pure le coperte. La presenza del cane al suo fianco nelle passeggiate gli permetteva di fare nuove conoscenze anche con la razza umana, soprattutto del gentil sesso cosa che a lui era mancata negli anni precedenti dove creava un muro di silenzi tra lui ed il resto del mondo.
    Tutto sembrava andare per il verso giusto ma un giorno Renzo uscì un attimo lasciando la porta socchiusa. Quando rientrò in casa scoprì con orrore che Teo era sparito. Teo era sgattaiolato fuori, vittima del suo istinto animale, ma la sua fuga era durata poco poiché andò a sbattere contro un Porcari P50 rossa che a tutta velocità lo scaraventò in un dirupo.
    Renzo appena realizzato che il suo piccolo quadrupede era scappato si precipito subito in strada alla sua ricerca. Passò tutta la giornata chiedendo a chiunque incontrasse se avessero visto un Fox Terrier a pelo ruvido di 5 anni con un collare giallo al collo. Proseguì ininterrottamente le ricerche fino a notte inoltrata. E per giorni, giorni. Per due settimane si concentrò solo alla ricerca di Teo, non andò al lavoro e per questo fu licenziato. Dopo tre settimane dalla scomparsa del cane Renzo era rassegnato, non dormiva di notte e si sentiva perso. Mentre pensava al vuoto che ormai si stava impossessando di lui, attraversò la strada. Una frenata, un tonfo ed un corpo steso a terra. Un uomo scese dalla sua Porcari rossa ed esclamò “Mio Dio, un’altra volta. Ma volete proprio ammaccarmi la carrozzeria”.
    Renzo sentì un dolore all’altezza delle gambe poi tutto si fece nero. Ad un tratto i colori tornarono ad offrirsi agli occhi di Solo e la prima cosa che vide fu il suo amico Teo che gli correva incontro attraverso quello che era un immenso prato verde. Scodinzolando lo raggiunse e gli saltò in grembo. Un uomo con una lunga barba bianca, che aveva visto la commovente scena, li raggiunse.
    “Benvenuto in Paradiso. Purtroppo i posti sono tutti occupati. C’è la crisi economica in Terra, siamo in alta stagione. Qui la gente ci viene spingendo. Non era sulla lista quindi se non ha obiezioni la rimanderemmo sulla terra”,
    “E Teo?”
    “Per lui c’è posto. Ormai è qui da un bel po’. Se vuole può scegliere. O lei o lui”.
    “Voglio che sia lui a tornare indietro”.
    San Pietro sorpreso esclamò “Ma è impazzito? Lei tornando sulla terra ha ancora una vita lunga, Teo al massimo ha ancora dieci anni da vivere”.
    “Teo ha saputo riempire di senso la mia vita vuota. Sa quanta altra gente c’è che come me è sola e non ha nessuno con cui confidarsi? Come Teo ha salvato me, può fare lo stesso con qualcun altro. Rimanda indietro lui”.
    San Pietro cominciò a lasciar sgorgare lacrime e subito un temporale colpì tutto il globo terrestre. Tutto si fece nuovamente buio.
    Renzo aprì gli occhi, sopra di lui un cielo nuvoloso ed una pioggia violenta che batteva sul viso. Il dolore alle gambe stava via via scemando. Sentiva il viso umido ma non erano le gocce piovane. Quando riuscì a mettere a fuoco la causa di quell’umidità si trovo di fronte il muso di Teo che lo leccava. Se lo prese in grembo e, mentre il conducente della Porcari li superò inveendo contro di loro, tornarono verso casa loro dove per altri anni avrebbero reso a vicenda meravigliosi i loro giorni.

  128. Con il presente, io Gusmeroli Giorgio, invio la poesia per la sezione A del concorso e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    _______________________________________________________________
    DONNA DI COLORE

    Sorrideva quel vecchio stanco,
    sorrideva per amore per quella donna di colore.

    Questa è una canzone d’amore
    per una donna di colore.

    Vicino agli alberi stanchi
    il vecchio dai capelli bianchi
    sedeva all’ombra di un cipresso
    quel vecchio ormai depresso,
    depresso per amore
    per quella donna di colore.

    Quella donna gli aveva ridato la vita
    che a lui sembrava già finita.

    Un giorno lei partì per la sua terra natale
    dove ogni cosa le era fatale,
    fatale per lei era l’amore,
    fatale per lei era il dolore.

    Il vecchio solo era rimasto
    e beveva per dimenticare
    quella donna che sapeva amare.

    Questa è la canzone d’amore
    per la donna di colore.

    Oh, donna di colore
    sei bella come un fiore,
    come un fiore appena sbocciato,
    ma di te quel vecchio si era innamorato.

  129. Sez. A, dichiaro di accettare i termini del regolamento del concorso. Cristina Biolcati

    ROVINE

    A passo lento cammini,
    col mondo che muore.
    Dietro te, solo rovine.
    Nella penombra calpesti i coriandoli,
    di un carnevale mai vissuto.
    Luci di un natale mai nato.
    Dove lasciasti le tue ali ?
    Dove mettesti i tuoi sogni ?
    Pallido e stanco procedicon riluttanza.
    L’hai amata,è vero, ma or non più.
    Ti ha amato.E’ vero. Or non più.
    Cala il sipario sulla speranza.
    Manca anche la luna.
    Reo dei tuoi pensieri,
    immagini il rientro.
    Solo e rabbuiato
    alzi un lenzuolo
    che ormai è diventato pesante
    come il velluto.
    Eppure…è la sua risata,
    quella che di lontano, tu senti ancor ?

  130. Desidero partecipare alla sezione A e dichiaro di accettare il regolamento.

    LA’ DOVE MUORE IL TEMPO

    Userò le parole
    come colori
    per dipingere
    all’alba il giorno
    e mentre le nubi
    nascondono i ricordi
    non si schiarisce
    neppure il cielo
    della mia anima tormentata.

    Mura di antica memoria
    si ergono
    e parole tra le pietre
    si nascondono fluttuando nell’ombra.

    Accetto che il ghiaccio
    bruci il mio cuore
    e scivolo nel ricordo di noi
    mentre le stelle guardano impietose…
    mi scuoto
    un sibilo lontano
    una scia nella notte
    si allontana insieme ai miei pensieri
    che corrono avanti
    dove muore la sera
    si vestono degli ultimi
    bagliori di sole
    e muoio
    e vivo
    mille e mille volte
    come ogni notte
    come ogni alba
    proprio là
    dove muore il tempo.

  131. Io Carmelo Trianni, invio la poesia “Mi vesto di cielo” per la sezione A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    MI VESTO DI CIELO

    Nel ricordo della notte,
    sogni che si spengono,
    e desideri che negli occhi luminosità accendono
    Sono cuori che s’illuminano di nuovi pensieri
    cento, mille ascese di soffici sensazioni
    si rispecchiano nell’aureo albeggiar del sole
    E mi vesto di cielo
    che di emozioni le mie braccia fremono
    Sussurro di un battito d’ali
    e di libertà, il mio sogno ne segue la scia…

  132. Io Carmelo Trianni, invio il racconto breve “(per me) La musica è…” per la sezione B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    Chiedo di annullare il racconto “(per me) La musica è…” sopra pubblicato, perchè il sistema web riconosce i segni “<>” come linguaggio html, annullando parti del testo. Invio nuovamente il racconto correggendo il problema. Grazie.

    (per me) La musica è…

    La mattinata del lunedì cominciò con la temperatura al di sotto della norma. Già dalle prime ore del giorno una fitta nebbia scese sulla città, impedendo al sole di illuminare la zona relativamente al mattino inoltrato. Se ne accorse anche Daniele che ancora a letto, inconsciamente si voltò dal lato opposto alla finestra continuando a dormire. Dopo qualche minuto, un motivetto musicale cominciò a diffondersi per la stanza. La sigla di un vecchio cartone convertita da lui stesso in suoneria per telefonino, non ne voleva sapere di smettere.
    “La sveglia? Ma non l’ho programmata ieri sera. Deve essere una chiamata al cellulare… Pronto?” esclamò balzando in piedi con una certa agilità.
    “Ciao Daniele, sono Virginia. Volevo ricordarti dell’appuntamento che abbiamo questa mattina. O te ne sei già dimenticato? “.
    “No. Certo che no… Forse sei un po’ in anticipo? Comunque faccio subito una doccia e ti raggiungo fra un’ora fuori al bar. Ti va bene? “.
    “Sono quasi sotto casa tua, ti dispiace se salgo? Fa ancora freschetto qui fuori”.
    “Ok, ti lascio la porta aperta, entrando stai attenta alla belva. A fra pochissimo, ciao” salutò velocemente per poi chiudere la comunicazione. Voleva evitare l’imbarazzo nel farsi trovare in pigiama e ancora insonnolito. La belva era il suo cagnolino Rocky, che tutto potrebbe fare tranne che il cane da guardia. Socievole ed affettuoso con tutti, anche con gli sconosciuti, faceva le feste a chiunque entrasse in casa.
    Già salendo le scale, Virginia non poté fare a meno di ascoltare una canzone famosa, cantata da un artista altrettanto famoso. Un omaggio alla musica della quale aveva fatto la sua ragione di vita.
    Daniele aveva un po’ esagerato con il livello del volume per riuscire ad ascoltarla e anche a canticchiarla sotto la doccia.
    Quando Virginia entrò in casa si ritrovò fra i piedi il piccolo Rocky che, saltellando sulle zampette posteriori, pareva volesse salutarla come fanno gli umani.
    “Ma ciao… Ciao, piccoletto! Dov’è quello stupido del tuo padrone? Corri a chiamarlo e digli di sbrigarsi” disse la ragazza rivolgendosi al cagnolino come se fosse il fratello minore del suo amico Daniele. Rocky sembrava di aver capito il compito assegnatogli e dopo pochi saltelli arrivò nell’altra stanza continuando ad abbaiare.
    “… ogni giorno una conquista, la protagonista sarà sempre lei…”
    Ascoltando un ritornello così bello e così famoso, diventa difficile riuscire e resistere nel canticchiarlo, anche per Virginia.
    “Ma Daniele, ascolti Bocelli? Sei un suo fan?” chiese lei sorridendo con un po’ di stupore.
    “E allora? Cosa c’è di male?” rispose Daniel di rimando, cercando di imitare lo stesso sorriso un po’ meravigliato.
    “Ma niente, Bocelli piace anche a me. Però conoscendoti, pensavo che tu ascoltassi altri generi di musica”.
    “No, Virginia, preferisco la musica che mi va di sentire, non seguo quella proposta dalle pubblicità quotidiane o dalle classifiche dei dischi più venduti. Non ti nascondo che a volte qualcuno di quei brani piace anche a me, però di sicuro non vado a cercarli per riascoltarli ancora una volta. Per tante e tante cose siamo quasi obbligati, molte volte anche involontariamente, a certi stili di vita che ci vengono imposti soltanto perché lo ha deciso un famoso stilista o una persona molto importante” rispose Daniele quasi per sfogo “Ma per quanto riguarda la musica, e questo consentimelo, scelgo ciò che riesce a colmare anche minimamente, quella piccola esigenza dello star bene, che credo sia presente in ognuno di noi. Magari con una nuova melodia, oppure riascoltando vecchi brani in grado di far riemergere nella mente bei ricordi… soltanto ricordi positivi. Canzoni che fanno rivivere quelle belle sensazioni provate tanto tempo fa, perché in quei momenti, per noi, c’era della buona musica a rendere quel ritaglio della nostra vita, così speciale, e per l’ennesima volta riescono a farci stare bene. A una persona piace un determinato genere di musica, per quello che è dentro, non per quello che gli altri vedono di lui. Un giorno in tv, un noto professore e maestro compositore, rispose così ad una domanda di uno studente: Al giorno d’oggi, quasi tutta la musica si è ridotta in un mucchio di suoni commerciali che dopo poco tempo non serve più, “è passata di moda”… ma la vera musica non passa mai!. Musica, suoni, rumore… Se ci pensi bene, c’è una bella differenza! Ma secondo te, che cos’è la musica?” chiese a Virginia con sguardo incuriosito.
    “La musica secondo me… secondo me… Ma Daniele! A quest’ora del mattino te ne vieni fuori con domande così impegnative? Dimmelo tu cos’è la musica!” rispose lei di rimando mentre continuava a giocare con Rocky per cercare di nascondere un certo imbarazzo.
    “Dai usciamo. Te lo dico strada facendo. Tu Rocky resta qui, da bravo, fai la guardia e non aprire a nessuno”.
    Dietro ad un sorrisetto ingenuo, Daniele sembrava nascondere un ripensamento nell’aver formulato quella domanda e nel garantire una risposta soddisfacente. Sentiva che si trattava di una di quelle cose che nonostante riescano a trasmettere così tanto, rimangono sempre tanto difficili da spiegare con parole proprie. Per lui era più facile invitare la sua amica a passare insieme una serata per assistere a un bel concerto. Nessuna risposta sarebbe stata così soddisfacente. Fecero alcuni passi fra la gente e la nebbia.
    Virginia non riusciva a nascondere la sua curiosità, così finì per rivolgersi a Daniele chiedendo… “Allora? La musica?”.
    “Sì, certo, ehm… Per me la musica è… È uno straordinario mezzo di comunicazione. L’eccezionalità sta nel fatto che non solo è internazionale, infatti viene percepita allo stesso modo indipendentemente dal posto in cui ci si trova e dalla lingua che si parla, ma non conosce neanche i confini della natura. La musica non è solo canzoni, sinfonie e concerti. Mmmusica… già la parola stessa suona di melodia. Può essere fatta anche di un insieme di piacevoli suoni che ci fanno capire che fuori di noi, fuori dal nostro Io, c’è qualcosa o qualcuno che vuole comunicare, vuole trasmettere, ci vuol far capire…”. Daniele fece una pausa per guardarsi intorno cercando qualcosa di non definito. Poi si riempì il volto di entusiasmo e continuò la sua spiegazione: “Le onde del mare, il vento e soprattutto gli strumenti musicali possono essere il qualcosa; mentre gli uccelli, gli animali e soprattutto gli uomini e le donne possono essere quel “qualcuno”. La musica non è una cosa che si tocca… si tratta di vibrazioni che si espandono nell’aria in tutte le direzioni. Se queste vibrazioni, una volta a contatto con noi, riescono a mettersi in sintonia con il nostro organo uditivo, diventano magiche e si trasformano in musica che arriva piacevolmente dritta dritta nella nostra mente (e anche al nostro cuore), procurando piacevoli sensazioni. Se invece quella sintonia non avviene, le vibrazioni rimangono tali, e quindi non ci resta che parlare solo di rumore”.
    “Ammazza che discorso tecnico, e ti sei appena svegliato! Non ci avevo mai pensato alla musica come vibrazioni a contatto prima col nostro “Io” fisico e successivamente trasformate in messaggio che giunge dentro di noi” confermò Virginia con non poca meraviglia.
    “Già, ma evita di farlo in futuro. Perché sicuramente la melodia che ascolti perderà tutta la sua magia svelandoti il trucco che c’è dietro. Continua a sentirla per quello che è: un mezzo grazie al quale, un qualcosa o un qualcuno vuol trasmetterti un po’ di star bene, proprio come stai facendo tu!”.

  133. VOGLIA DI VOLARE

    Come un uccello migratore
    seguo la rotta della mia vita.
    Sorvolo luoghi d’incantevole bellezza,
    città antiche e moderne,
    valli silenti e immobili pianure,
    fieri monti e colline sorridenti.
    Sotto di me, il mondo è uno specchio d’acqua
    dove si riflettono imponenti
    fortezze senza più cavalieri.
    Seguo il lento scorrere dei fiumi
    che mi portano al mare,
    che orientano il mio volo
    verso la mia dimora.
    Respiro il dolce profumo dei fiori,
    portato in alto dal vento
    che ora sibila
    fra le guglie delle solenni Cattedrali
    e i merli delle torri toscane.
    Da quassù vedo un mondo migliore:
    ci sono cascaste impetuose
    che si gettano nei docili laghi
    dove io, stanco, posso abbeverarmi
    per riprendere poi il volo
    e ripartire, sulla scia della mia meta.
    In alto, sempre di più,
    da dove la terra appare solo un punto
    nello spazio sconfinato,
    per poi scendere giù, in picchiata,
    attraversando i vasti altipiani,
    volando e planando lentamente,
    con il fiato sospeso, gli occhi chiusi.
    Mi chiedo allora
    come vedano gli uomini
    il cielo da laggiù,
    dal loro paradiso terrestre.
    Loro che, convulsi e incuranti della vita,
    mai si fermano,
    mai si guardano attorno,
    mai pensano a ciò che li circonda,
    a quello che ammiro io, da quassù,
    sulla rotta del ritorno.
    Una tepida brezza
    culla l’ora della sera
    e il mio cuore batte forte
    per l’emozione
    mentre volo, verso la mia antica dimora,
    sopra un mondo meraviglioso
    come quello tratteggiato dalla mano di un pittore,
    come quello declamato dalle parole di un poeta,
    come quello musicato dagli accordi di un compositore.
    Proseguo il viaggio
    mentre spira una dolce, fresca aria di primavera.
    Sono prossimo all’arrivo
    e felice, mi sento, di essere quassù,
    volando da te, come in un sogno.

    Fiorella Fiorenzoni – sezione A – Accetto il regolamento.

  134. Dove sei ?

    Cerco tra i miei ricordi, frugo tra i miei pensieri,
    ma non trovo più quel dolce sorriso che sorprese la mia giovane innocenza,
    divenuta poi certezza di volerlo ricambiare, rafforzandolo di amore sincero,
    colorandolo di fiducioso abbondono tra le braccia della sua passione.

    Cerco tra i pensieri che consapevoli di quell’amnesia,
    hanno sostituito quell’ammanco con il rabbioso dubbio della sua effettiva esistenza.

    Cerco negli angoli più bui del mio coraggioso silenzio,
    perchè sielenzioso è quel sorriso ormai spento.

    Si affaccia in attesa di un mio gesto,
    ma chiudo dolcemente quella porta dove non voglio si riaccenda
    la sua falsa congruenza, mai più sofferenza !!

    dichiaro di accettare il regolamento

  135. Con la presente, io Perlato Alessio, invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

    Mai

    Asfalto e cemento le pelli della città ritrosa,dell’umanità che veste di falso sfarzo il paesaggio,sorretta da radici bugiarde che non pulsano.

    La diffidenza commediante ci avvolge come cellofan mentre la morte si rolla la nostra erba.

    Le nostre menti dormono sui cartoni sperando che qualcuno non gli pisci addosso mentre russano.

    Sciami di mosche mi ronzano nella testa e i miei occhi possono solo assorbire quello che vedono senza vomitare mai lacrime.

    L’unica via fuga sembrano queste parole ma io sono solo un passeggero del mio messaggio.

    Volevate la poesia ma non la verità.

    Ecco fatto.

    così si fa.

    Tanti saluti.

  136. Con la presente, io Antonio Fiori in arte Dertis, invio la mia poesia per la sezione A, e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    (la tigre era un mio amico, chiamato così per via della canzone di Guccini, dove dice ” Cristo la Tigre)

    La Tigre e il frutteto.

    ansimanti e stupiti guardavamo gli alberi fiorire,
    mentre te, ne assaporavi già i suoi frutti.
    stupiti guardiamo ancora i fiori,
    mentre te, riposi su un letto di noccioli…

  137. Io Francesca Bottari dichiaro di accettare il regolamento partecipo alla sezione A

    In piedi

    In piedi sul mio cuore
    come dall’alto di una rupe
    hai guardato giù
    nel letto disfatto del sentimento.

    E tra grovigli di lenzuola
    come budella contorte
    hai visto il segreto.

    Tremi adesso che sai,
    con un sibilo sottile scivoli nel buio
    come biscia impaurita.

    Troppo ti spaventa la mia tenerezza,
    quel vuoto d’affido.
    Un bisogno d’amore che acceca.

    Così, come se fossi una stanza,
    rapidamente mi svuoti
    e sventoli bandiera bianca
    dalla tua zattera alla deriva.

  138. Con il presente, io Vella Arena, invio la poesia “Ogni giorno”per la Sez.A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Scriverò le più belle note per te…
    e le canterò
    dallo spuntar del sole…
    ogni giorno…
    parlerò di te da non aver più voce
    respirerò il profumo della tua pelle
    e lo farò mio…
    ogni giorno…
    camminerò accanto a te…
    senza paura di perderti al mio voltare…
    e ti sorprenderò e mi sorprenderai.
    Ogni giorno!

  139. Con il presente, io Vella Arena, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Non piove più

    Ho pianto quando me ne sono andata. Guardavo le gambe che andavano. Con la testa bassa a non chiedermi nulla ,per non avere risposte. Ho pianto non per quel che ho lasciato ma per ciò in cui avevo creduto. Ho fatto un sogno stanotte:un brutto cane voleva assalirmi,ho gridato il tuo nome ma anche lì non c’eri,non ci sei mai stato. C’era una volta ….ma la favola e’morta,c’era un momento…ma il momento e’mancato. Ho pianto tutto il giorno,quel giorno ,eppure tu li sentivi i miei singhiozzi eri nell’altra stanza a contare i minuti perché io smettessi. Ho messo a posto le pantofole al letto,la testa stanca sul cuscino,e ho sentito sbattere la porta di casa.

    Ho sentito il tuo passo che andava, ho fatto con la mente un po’ di percorso. Ma dove andavi?Allo specchio di chi ti saresti raso? A chi avresti detto con un po’ di malinconia:”piove!”
    A te la pioggia non piace ti rende anche nervoso. Sai ,un giorno ,un giorno ho voluto sentirla addosso la tua pioggia. Il viso verso il cielo,scendeva ,mi percorreva fino ai talloni. Non e’male! A dre il vero respiravo meglio e ho sentito gli occhi non più velati . Non porta malinconia,anzi. A piedi nudi ,in casa ,mi piaceva il pericolo di scivolare,ridevo,era come su un dondolo o come ubriaca. Mi sono seduta per terra. Dalla finestra i fulmini illuminavano la stanza. Ombre su ombre,figure e figure facevano di quel momento una libertà dimenticata.
    La porta di casa socchiusa,non più aperta … Ho sentito un passo che andava,veniva non so..La porta l’ho chiusa. Ho avuto paura che potevi essere tu!

    Ma perché aver paura? Cosa avresti potuto dire o fare più di quello….Le mie vecchie paure ormai erano andate,le paure di perderti,di non poter sentire la tua voce ,erano andate con te. Ho capito che,quando si ha paura di perdere l’altro\a si è ricattati dall’amore. Vai, torni,rivai ,ritorni……”Tanto torna” ti dicevi. E io tornavo ma,tu non sapevi che, un pezzo di te,del mito era sparito ,e ,sinceramente anche io non capivo di quello che succedeva in me..
    Non ti scriverò più. L’inchiostro alla penna,per te e’ finito ed e’finito anche il temporale.

  140. Con la presente, io ROSA LEONE , invio la mia poesia per la Sez. A e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso-

    EMOZIONI D’UN POETA

    E si espandono all’aria impetuosi pensieri
    dissipando i luoghi
    velando orizzonti
    e nel dilatarsi del tempo
    nudi e silenziosi
    s’accampano stanchi tra le pagine bianche
    Essenze d’inchiostro d’un nero corvino
    distendon qua e là labirinti infiniti
    Emozioni confuse su miscele oscillanti
    s’accalcano lì
    tra le mani e la mente
    Sfugge alle dita
    incerta è la penna
    che graffia sul bianco
    tracciando illusioni
    sfidandone il sogno dell’esser poeta
    Vivaci s’affollano sfavillano istanti
    tra rupi e ginestre e corse piccine
    pensieri gioiosi con l’occhio di bimbo
    dipingo sereno
    Ma quel vento in tempesta
    spazza come un macigno ogni luce che avanza
    attraversa il suo istinto
    e frena la mano sul nero d’ un onda
    che lividi arreca
    limitandone il senno
    rotolando su scogli
    che piegan le braccia
    raggrumandone il fiato
    il suo cuor ha violato
    Il poeta del tempo e di forti emozioni
    or che il viso ha rigato dalla gocce di pioggia
    ripone la penna in un altro domani
    tamponando ferite del cuore suo stanco
    ——–

  141. Io, Maila Meini , prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento.

    LE FERIE DEGLI ALTRI

    Rare bave di vento dondolano
    sulle foglie degli alberi riarse.
    Su un lato del divano disastrato
    pisolano rannicchiate, bianca
    e nera, due canine. Troppo vuota
    è la casa, esausta di se stessa.
    Sento la solitudine colare
    lungo le pareti del salotto
    come il sudore delle vesti intrise
    e il lucore del volto riflesso
    nello specchio del minuscolo bagno,
    sopra il lavandino. Non mi pare
    che esisto davvero. Sono appena ombra
    di polvere, qui, in città, d’estate,
    indistinta come il fumo di un falò
    abusivo ai margini del bosco.

  142. io, Alessia Giovanna Matrisciano, concorrente della sezione A, dichiaro di accettare il regolamento.

    Il fuoco da solo si dice ti amo,
    chè stecchi oramai qui non ce n’è:
    si ama in castelli di cenere inane,
    ostelli di notte pieni di fame,
    e porte scure aperte sul chiaro.
    Il fuoco si dice ti amo,
    se lo ripete in solitudine.
    Ti amo, parete di stufa,
    controllore della mia inquietudine.
    Si figura castelli già spenti,
    ostelli d’amore senza legno,
    castelli di pietra, di stagno,
    erbe impiccate a cappi di fieno.
    Stufe laccate, aceto, veleno.
    Mosche madide su petali arsi,
    greggi a raduno di pastori sparsi,
    Vini gettati in canali di scolo.
    Il fuoco si ama da solo.
    Si esalta un po’ a forza, si spegne di getto,
    avvelenato da amori senza oggetto.

  143. io, Alessia Giovanna Matrisciano, concorrente nella sezione B, dichiaro di accettare il regolamento

    GENTILEZZA

    Re e regina dalle morbide mani, dove sono i vostri servi? La mia gattina nera, collo di velluto, non ha mai dovuto lavorare. La pelle del serpente è simile a creta bagnata quando il suo ventre è gonfio. Dove sono i vostri servi? La porta scricchiola, ora la sento.
    Re e regina dai denti di calce, è passato il mezzogiorno. Anitre ed oche in intingoli profumati si devono al vostre sorriso gentile.
    Il mio cagnolino non spolpava mai ossa in mia presenza. Scappava dove credeva che non lo vedessi, dietro il ficus in vaso. Alle sue spalle, però, il vetro di una portafinestra lo scopriva: e rimandava ai miei occhi la sua immagine chiara, semitrasparente.
    Voi ora siete affamati.
    Appena vi avrò salutati, un battito delle morbide palme (un battito leggero) e papageni danzanti porteranno a voi sulle spalle carne di velli d’oro, pomodori del sud, vitelli gialli massicci e galline dai sederi preziosi.

  144. Racconto breve -sezione B-
    Accetto le condizioni del presente regolamento

    Il braccialetto

    Non appena entrata all’Old Garage Alice raggiunge le amiche in fondo alla sala attraversandola con lunghi passi eleganti, fasciati nei jeans attillati, non senza aver prima gettato un cenno di saluto al barista.
    Una volta seduta al tavolo sente vibrare il cellulare nella borsetta; è una mail di Silvia: “Ciao Tesoro, scusa se ti faccio gli auguri solo ora, ma con te è impossibile ricordarsi del tempo che passa, ti odio;D Comunque, dall’anno prossimo, visto che ci avviciniamo agli anta facciamo finta di niente e aboliamo gli auguri!Baci.”
    Un sorriso le sfugge di lato, poi si alza senza rispondere al messaggio, suonano una canzone che adora, così si unisce alle altre al centro della pista.
    Balla tutta la sera con le sue amiche, senza considerare tutti i pretendenti che le lanciano sguardi appiccicosi e ammiccanti; si ferma soltanto quando la maglietta che indossa é intrisa di sudore, per bere un cocktail.
    “Ciao meraviglia!” le dice accostandosi troppo un tizio. Alice può percepire attraverso la canotta sintetica il calore bagnato della sua pelle intrisa di profumo e dopobarba. “Sai che sei la ragazza più bella qua dentro sta sera? Dai, vieni a ballare con me”
    Lei gli guarda attraverso, saluta le amiche e fa per andarsene.
    Ripensa per un attimo a Stefano, lui sì che l’aveva colpita al primo incontro: il modo curioso con cui la guardava, come se volesse continuamente chiederle qualcosa, ma erano entrambi troppo giovani per durare, inutile pensarci.
    “Signoraa, mi scusi!” sente dire al di sopra della musica, da qualcuno alle sue spalle, in lontananza.
    Prosegue verso l’uscita, ma la voce questa volta si fa più vicina costringendola a voltarsi “Signora, guardi che le é caduto questo” dice un ragazzo di circa vent’anni porgendole un oggetto luccicante.
    Alice rimane interdetta; é il suo braccialetto, quello d’argento con i ciondoli, e quindi il ragazzo parla con lei.
    “Signora, non é mica suo questo?”
    Lo sguardo di Alice si sposta alternativamente dal braccialetto al ragazzo. Sì, sta dicendo a lei. Ha detto proprio Signora.
    Prende il braccialetto e se ne va senza nemmeno ringraziare; questa volta i suoi passi non sono più lunghi ed eleganti, ma piccoli e concitati.
    Sul marciapiede quasi si mette a correre sui tacchi alti con il sangue che le pulsa nelle tempie. Una fugace apparizione nel riflesso di una vetrina; forse è colpa della pettinatura.
    Arrivata finalmente alla macchina, ci si chiude dentro come se fosse rincorsa da qualcuno. Sul cruscotto carte di caramelle accartocciate. Scoppia a piangere senza volerlo, con le orecchie che le scottano.
    Poi mette in moto e torna a casa dove, esausta, si butta sul letto e si addormenta vestita.
    Quando la mattina seguente si sveglia, la sua prima reazione é quella di ridere di sé e del suo sciocco comportamento.
    In bagno però si sofferma più del solito ad osservare la propria immagine nello specchio e si scopre a fare l’elenco delle rughe che le segnano il viso: zampe di gallina, ruga del pensatore, ruga della marionetta (“nasolabiale” le avrebbe suggerito la sua amica Chiara, chirurgo estetico).
    Nei giorni seguenti Alice cerca di tenersi impegnata il più possibile nel lavoro per non pensare e per un po’ si dimentica dell’accaduto.
    Tanti piccoli difetti, tuttavia, che fino alla sera all’Old Garage non aveva mai notato, improvvisamente sono tutto ciò che vede.
    Comincia a pensare che i molti complimenti che riceve siano dovuti al fatto che frequenta persone più vecchie di lei e che invece quelle più giovani non la considerino neppure.
    La mattina trascorre almeno un’ora a ispezionare minuziosamente ogni centimetro del proprio corpo alla ricerca spasmodica di qualche nuovo indizio del suo inesorabile decadimento.
    Decide allora di contattare Chiara, giusto per qualche iniezione di botulino.

    Alice entra all’Old Garage dopo più di un anno, accompagnata da un ragazzo più giovane di lei.
    Si controlla subito nel grande specchio in fondo al locale ed è soddisfatta del suo acquisto più recente: quella terza abbondante le dona moltissimo.
    Sistemata la sua ultima fiamma accanto a sé al bancone, Alice lascia che parli dei recenti ritrovati cosmetici in fatto di occhiaie e intanto si guarda intorno distratta.
    Alzando il polso ingioiellato, per ravviarsi i capelli, nota il suo vecchio braccialetto, insieme agli altri. Non ricorda nemmeno più da dove proviene.
    Bigiotteria, pensa, sfilandoselo e buttandolo nel cestino.
    Poi si guarda nuovamente nello specchio, questa volta più da vicino.
    Deve chiamare Chiara, il botulino sta cedendo sull’arcata sopraccigliare.

  145. Accetto il regolamento SEZ. A

    La mia mano

    LA MIA MANO
    A VOLTE STANCA,
    TI DA’ UNA CAREZZA,
    SE TI MANCA.
    LA MIA MANO TREMA
    SE COMPONE CON DOLCEZZA,
    SE AFFERRA CON TENEREZZA
    I TUOI CAPELLI D’ORO.
    LA MIA MANO VUOLE SCRIVERE
    DI VOI, PER VOI, PER SE’
    FINO A QUANDO NE AVRA’ LA FORZA,
    LA COSTANZA
    IL GIUSTO SPIRITO.
    LA MIA MANO VUOL STRINGERE
    LA TUA MANO,
    PER SENTIRSI PIU’ VIVA
    PER SCOPRIRE SOPITE SENSAZIONI
    E CAPIRE COM’E’ BELLO VOLER BENE.
    EMOZIONANDOMI COME UN BIMBO…
    GLI HANNO DONATO UN SOGNO

  146. Io sottoscritta Ilaria Militello accetto il presente regolamento e dò l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/2003).
    Sezione A (poesia)

    Dove sei? di Ilaria Militello

    Dove sei?
    Ti cerco,
    ma non riesco a trovarti.
    Penso che tu sia solo una mia fantasia,
    un’utopia.
    Dove sei?
    Mi manchi.
    Pensarti e non averti è un’agonia.
    Vorrei scappare da questo amore,
    dalla tua non presenza.
    Dove sei?
    Ti voglio,
    ho bisogno di te.
    Vorrei sconfiggere il vuoto che è in me.
    Vorrei rinascere,
    smettere di cercarti,
    ma non riesco,
    mi chiederò sempre,
    ogni giorno,
    dove sei.

  147. dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso
    “il più generoso”

    Akram entrò in tutta fretta nella stanza che condivideva con i suoi tre fratelli, Si assicurò che fosse solo, sollevò il suo giaciglio e tirò fuori il suo diario avvolto in una pagina di un vecchio giornale che documentava l’ inizio di quella assurda guerra .Stendendosi pancia in giù per essere più comodo, si mise difronte il diario e cominciò a scrivere : “Caro diario, amico mio carissimo, non ho molto tempo da dedicarti ma, non trovavo giusto non farlo, del resto ti ho scritto tutti i giorni e da tanto tempo ormai. Hai sentito i botti ? E i rombi degli aerei che continuano a distruggere questa città ? Ero tra la folla, vicino al mercato e, all’improvviso sono passati due grossi cammion, degli uomini vestiti di nero sono sbucati all’improvviso da dietro quei tendoni e hanno cominciato a sparare alla gente. C’era una gran confusione, ho pensato subito a mia madre che si trovava nella bancarella di Imad a comprare la frutta. Mi sono avvicinato a lei che appena mi ha visto mi ha chiesto: “I tuoi fratelli, Akram dove sono tuoi fratelli ? E tu stai bene figlio mio ?” – “Sì madre stò bene, vado a cercare gli altri, non muoverti da qui” – “è troppo pericoloso, sei sicuro di poterlo fare?” – “ti ho detto di non preoccuparti, ho dodici anni ormai, sò badare a me stesso”. Ho cominciato a girare per quel mercato che già è confusionario nelle sue giornate normali, ora era diventata una scena apocalittica. C’erano dei morti, ragazzini che conoscevo ed ora erano motivo di pianto per le loro madri che li stringevano al loro petto urlando e implorando aiuto! Avrei voluto fermarmi a dire una parola di conforto, allontanarli da quel posto ma, non ne avevo il tempo amico mio, ogni minuto era prezioso quanto la vita dei miei fratelli. Ho continuato a cercarli in mezzo a tanta devastazione. Persone che correvano in cerca di un riparo, altri che staccavano i vestiti appesi nelle bancarelle e scappavano inseguiti dai loro proprietari. Guardandomi intorno mi sono reso conto che questa gente è abituata alla guerra. C’è chi la condanna, c’è chi la combatte e c’è chi l’aspetta per poter campare, come quei ladri di vestiti. Sono arrivato alla fine del mercato ma, dei miei fratelli nessuna traccia. Faccio per tornare indietro e sento:”Akram, siamo qui Akram”. Non riusciuvo a capire da dove arrivasse quella voce che riconobbi subito, era quella di Amir. Ho cominciato a rovistare in una montagna di rifiuti, cartoni, biciclette abbandonate, cassette di legno della frutta già venduta. Accovacciati, c’erano tutti e tre miei fratelli. “Amir, Bashir, Amid, dove vi eravate cacciati? la mamma è in pensiero per voi, perchè non siete rimasti vicino a lei ?” – “ci siamo allontanati giusto un attimo a guardare la bancarella del pane, poi abbiamo sentito tutti quegli spari e siamo scappati. È morto qualcuno Akram” – mi ha chiesto Bashir – “Sì, ma non pensateci adesso, seguitemi, vi accompagno da nostra madre così potrete tornare a casa”. Ho ripercorso tutto il mercato senza passare al centro della strada, sono invece passato dietro le bancarelle, non volevo che miei fratelli vedessero tutta quella desolazione, sono piccoli e non meritano di vedere certe cose. Appena ci ha visti, nostra madre ci è venuta incontro, ci ha abbracciati tutti e ha ringraziato Allah per il fatto che eravamo sani e salvi. “Vi accompagno a casa, sarete più al sicuro” – “E come pensi di arrivarci? La nostra casa stà proprio nella strada principale, l’avranno chiusa e la gente sarà tutta ammassata lì come sempre a chiedere aiuto e notizie dei loro cari” – “lo so madre, tutte le volte succede la stessa cosa ma, non potete starvene in giro, è pericoloso” – Mia madre si guardava intorno con le lacrime agli occhi, la nostra impotenza in quel momento era comune a tutti, compresa la rabbia di dover vivere giornate come questa ! Si è avvicinata un’amica di mia madre, e gli ha detto che poteva andare a stare a casa sua finchè non si sarebbero calmate le acque. Li ho salutati e abbracciandomi, mia madre mi ha detto: “Tuo padre sarebbe orgoglioso di te, di un figlio che pensa a salvare le vite e non a toglierle”. Mi sono allontanato da loro e sono tornato al mercato, era lì il mio posto! C’erano tante persone che chiedevano aiuto ed io non mi sono tirato indietro amico mio. Quando non riuscivo a fare tutto da solo, andavo dai soccorritori, dicevo loro la situazione e loro correvano subito dietro di me con barelle e valigette, pronti per aiutare quelle persone. Mi hanno ringraziato, sia loro, sia le persone che mi rivolgevano il loro sguardo pieno di dolore e angoscia. Uno dei soccorritori ha chiesto il mio nome – “Akram”- ho risposto – “il suo significato è: “il più generoso”, che Allah ti protegga”. Perchè esiste la guerra? Perchè l’uomo non è capace di rispettare la vita degli altri come vorrebbe fosse rispettata la sua ? Meno male che ho te amico mio, tu si che sei fedele e sò che non mi tradiresti mai. Sei l’unico amico che ho, l’unico di cui mi fido ciecamente e a cui posso raccontare questa assurda realtà! Ora ti lascio, ci sono delle vite da salvare! Lo so cosa stai pensando, dovrei salvare pure la mia. Non dovessi tornare caro amico, non sarà stata vana la mia esistenza è tutta scritta qui.A presto!O addio!

  148. sezione A
    dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Ostinata malinconia

    Riesci a giungere ovunque si stia sfiorando il mero appagamento.

    Ti infili nei pensieri
    inerpicandoti tra le morbide pareti
    dell’angolo prediletto della mente.

    Accresci bastarda e corposa
    e riporti al presente spruzzi di rimembranze
    che macchiano la quiete.

    Sovrana nel tuo riuscire a raggirare
    col tuo mestolo nero d’ebano la rettitudine del pensiero.

    Stendi sul tuo tappeto
    fatto di corpi intrecciati privi di ricordi l’ultima vittima,
    ricoprendo di pece i suoi sensi.

    Si allontana l’uomo a spalle ricurve con capo chino
    e implode la sua voce
    arrivando sino alle viscere della sua anima,
    dicendo:” ossequi ostinata malinconia “.

  149. Con il presente, io Tanya D’Antoni, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.
    ———————————————————-

    La donna vestita di bianco

    Pioveva a dirotto e dovevo far ritorno a casa, mi ero lasciata con il mio ragazzo. Le lacrime mi offuscavano la vista non facendomi vedere la strada.
    Tutto intorno era terribilmente buio, in strada solo i fari dell’auto facevano luce.
    “Prendi il crocifisso” disse una voce.
    In quel momento mi pervase un brivido alla schiena. Presi il crocifisso, e lo strinsi in pugno. Intanto un’altra auto sopraggiunse a gran velocità facendomi perdere il controllo. Un rumore e poi la macchina girò su se stessa, non ebbi il tempo di pensare, accanto vidi una macchina bianca, mi ricordo solo dei bambini all’interno, sterzai buttandomi sul guardarail, restando in bilico sul ponte. Mi ferii in volto.
    Due uomini,sembravano gemelli, si avvicinarono, ruppero il vetro facendomi uscire da quella trappola mortale.
    “Ti senti bene?” rispose uno:“Si, c’è la faccio a reggermi” tremavano. Mi stavano accanto come due angeli custodi. Mi accompagnarono su una macchina, una 126 bianca, entrai all’interno. Salii dietro, i due mi diedero qualcosa per tamponarmi la ferita.
    Alla guida c’era una giovane donna dai capelli neri, occhi azzurri e vestita di bianco, bellissima: “Ti ha salvata la Madonna” mi disse.
    Incredula piangevo: “L’auto è distrutta.”
    “Girati e guardati dietro” con stupore non vidi al posto dell’auto vidi una signora vestita di azzurro e bianco, teneva stretto a se un bambino. Pensai: “La Madonna.” Arrivammo in ospedale, ella mi stese accanto per tutto il tempo che mi visitarono. Appena arrivarono i miei genitori, sparì.
    Chiesi ad uno dei medici dove mai poteva essersi diretta: “Qui non c’è nessuno” “Era qui, e mi teneva per mano” insistetti, lui alzò le spalle. Avrei voluto ringraziare chi quella sera mi salvò la vita.
    Gli angeli esistono e questo potrei giurarlo.

  150. Con il presente, io Antonio Fiori in arte Dertis, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    L’APPARENZA

    No! Ancora una volta..no!
    Benedetta auto..ogni giorno importante, la stessa storia..giravi la chiave e lei muta, non faceva nessun tipo di rumore. Era come girare la chiave in una serratura d’acqua..nulla, il vuoto assoluto. E come sempre, dietro, le auto sfrecciavano, ne vedeva i fari dallo specchietto retrovisore. Non che non lo sapesse che sarebbe successo ancora, era al corrente di quel dannato difetto. Di tanto in tanto accadeva che l’auto si stancava di viaggiare, non era solo un fatto di batteria, era stanchezza..certo un’auto stanca è un’immagine improbabile, ma per quanto si sforzasse di cercare il difetto elettrico dell’auto, lui non lo trovava. Il giorno dopo sarebbe partita, lui avrebbe girato la chiave e lei avrebbe trasmesso un impulso alle candele facendole scintillare, la benzina avrebbe preso fuoco, i pistoni si sarebbero mossi alternandosi su e giù e l’albero motore avrebbe trasmesso il moto alle ruote. Tutto perfettamente sincronizzato, ma il giorno dopo..quella sera no.
    Sapeva perfettamente quali potevano essere le alternative, un autobus, un taxi…
    Ma quella era una serata speciale, l’appuntamento lo era.
    Risalì in casa, si spogliò di quei vestiti ingessati, prese i jeans, la polo nera, le scarpe vintage e andò in bagno. Fece una doccia per lavare via il profumo, la gelatina nei capelli, e quell’aria seriosa..restò sotto l’acqua a cascata per venti minuti, poi scese in strada.
    Decise di fare l’autostop.
    Quanto tempo era passato dall’ultima volta? Troppo.
    Si fermò una signora dall’aria distinta.
    “Scusi posso chiederle dove è diretta?”
    “Verso il centro, all’auditorium..stasera c’è il grande violinista Justifla, farà la prima proprio qui. Vuole un passaggio?”
    “Non conosco questo Justifla..comunque si, grazie..”
    Salì in auto
    “Justifla è il più grande..anzi guardi, se le piace la musica classica e non ha impegni io avrei un biglietto in più. Un’amica mi ha dato buca all’ultimo minuto, e mi dispiace non utilizzarlo..Se le fa piacere..”
    “Le confesso che stasera avevo un impegno, ma posso rimandarlo del tempo necessario. Temo però di non avere l’abbigliamento adatto”
    “Sì, in effetti non ha proprio l’abbigliamento da auditorium. Ma che importa..”
    Si diressero verso il centro, discorrendo della bravura del violinista. Quando arrivarono, fuori c’era una gran folla ad attendere l’apertura del grande portone dell’auditorium, un portone in legno massello, con portale in pietra, di quelli che per aprirli si fatica anche se si è in due a spingere..
    La donna si avvicinò ad un nutrito gruppo di persone e salutò, presentando quello sconosciuto decisamente fuori luogo. Passarono circa venti minuti, fra presentazioni e commenti sul famoso violinista, che forse avrebbe suonato addirittura uno Stradivari originale, per qualcuno cosa impossibile, per altri possibilissima, data la magnificenza dell’artista.
    Finalmente entrarono, prendendo posto in terza fila, dietro alle prime due occupate, come sempre, dalle personalità importanti. Attesero una decina di minuti, poi un uomo con vestiti “adatti” salì sul palco, un palco minimalista, con un leggio, uno spartito..e uno Stradivari. Vero, originale, nel suo porta violino. Dalla sala salì un applauso fragoroso, ad accogliere l’artista. Ma l’uomo sul palco, munito di microfono, si limitò ad annunciare che il violinista era in ritardo e a pregare i presenti di avere ancora un pò di pazienza..
    “Questa non ci voleva..si fa attendere come una primadonna” mormorò la signora dall’aria distinta
    “Ma che aspetto ha questo Justifla?” chiese lo sconosciuto in jeans
    “Sinceramente non lo so”
    Lo sconosciuto improvvisamente si alzò, passò tra le gambe delle persone sedute nella sua stessa fila, scusandosi per il disturbo, si diresse verso il palco, vi salì, fece un inchino rivolgendosi alla sala, e alla donna che lo guardava incredula, si sedette ed imbracciò lo Stradivari.
    Suonava come la voce di una nonna quando ti racconta una favola, in quell’attimo in cui passi dalla veglia al sonno…
    E tutt’intorno il silenzio.

  151. sezione A
    dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    LA MIA VIA

    Non più lacrime
    sui miei occhi,
    tutte le paure
    sciolte come neve.

    La mia inquietudine?
    La solitudine!
    Non è tardi…
    Bene, aspetterò…

    Ora sto bene,
    un nuovo giorno
    traccia il sentiero
    della mia via.

  152. Stefano 28/10/12
    Con il presente io Fedriga Sonia invio la poesia per la sezione A di mio figlio,morto il 9/8/11.Dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Sguazzo nella maggioranza

    Sono eterosessuale
    destro
    triste
    solo.

    Stefano Fontana

  153. io Fedriga Sonia invio il racconto breve per la sezione B di mio
    figlio Stefano morto il9/8/11.Dichiaro di accettare i termini e
    le condizioni del concorso.

    La naissance d’un amour
    Un giorno piovoso d’inizio autunno,quando l’aria fresca invita
    i gestori dei bar a smantellare i tavoli esterni e alle persone
    torna il gusto di ricominciare ad apprezzare il tiepido tepore
    domestico,un giorno che regala il sentimento di un nuovo inizio,come un nuovo giorno di scuola,un giorno quasi onirico che da la senzazione del già visto,un giorno ideale per un addio.

    Ero stato pettinato, un lusso che non mi ero permesso molte volte
    prima di quel giorno,una camicia grigia dello stesso colore di quel cielo settembrino, una sciarpa ben avvolta intorno al collo,che nascondeva tutto,tanto che chi ancora non sapeva non
    avrebbe potuto capire come fosse successo.
    La folla di visitatori iniziò a giungere fin dalle prime ore del mattino,per un po’ mia madre s’era data da fare per accogliere tutti sulla porta offrendo caffè e biscotti a chi ne avesse avuta la voglia,alcuni accettavano,altri no,qualcuno che aveva rifiutato s’era subito pentito ma ormai era troppo tardi.Dopo alcune ore però lei si stancò dei “Benvenuti” e dei”Grazie d’essere venuti”,scomparve senza farsi più rivedere fino a tarda serata.
    Alcuni volti erano conosciuti,altri vaghi,alcuni conosciutissimi,altri ancora del tutto ignoti,tanto da domandarsi cosa stessero li a fare in quel momento.Ho visto occhi gonfi,traditori di sguardi che avrebbero voluto essere più indifferenti,che avrebbero mostrarsi più all’altezza della situazione, ho visto volti sereni divenire sconvolti per poi tornare tranquilli e ricadere nuovamente nella disperazione.
    Molte persone arrivavano,altre se ne andavano garantendo un ricambio tranquillo che perdurò per l’intera giornata,erano veramente pochi quelli che restavano,chi pareva più afflitto o indifferente non riusciva a passare più di pochi minuti consecutivi nella stanza.Sembrava inoltre che all’interno non fosse permesso fumare e ciò andava ad aumentare la silenziosa confusione che s’era venuta a creare.Ricordo passi volutamente troppo leggeri,voci,sussurrii interminabili,timide risate e pianti repressi,silenzi imbarazzanti tanto che avrei voluto dire qualcosa se le parole non mi si fossero strozzate in gola.
    Un amico,in ricordo di qualche nostra vecchia idea,appoggiò un drappo rosso accanto al mio braccio sinistro,lo ringraziai silenziosamente,un’amica s’avvicinò tenendo stretto un pezzo di carta che andò a finire sopra il drapppo colorato,sembrava una lettera,sperai d’amore,ma,ad ogni modo,non avrei avuto il tempo di leggerla. Ricordo d’aver avvertito il suo odore quando s’avvicinò,i capelli,il trucco leggero,i denti che tormentavano il labbro inferiore,qualche smorfia del viso,le lacrime che le rigavano il volto,le ginocchia scoperte,che avrei voluto sfiorare,solo lievemente illuminate nella penombra,la mano che pareva destinata a trasformarsi in carezza ed,invece,si fermò a pochi centimetri da me,un bacio ancora una volta mancato.
    Domani tutto sarà finito,mi solleveranno da qui e mi verseranno addosso qualche chilogrammo di terra consacrata,la corda che ho utilizzato giace in qualche ufficio giudiziario,gettata in una scatola come una qualsiasi cosa di nessuna importanza,arriverà il giorno che non si penserà più a ciò che è accaduto e verrà gettata via anche lei.Anche questa stanza vivrà giorni più luminosi,la primavera seguirà l’inverno e i caldi raggi solari prenderanno il posto della penombra regnante,mi spiace solo di non poter rivedere quelle ginocchia quando saranno illuminate dal primo sole di primavera.
    Stefano Fontana

  154. SEZIONE A

    A mio padre

    Riflessa nel tuo sorriso
    mi percepisco piccola
    spensierata figlia
    di giochi desiderosa
    e di affetto sazia.

    Riflesso nel mio sguardo
    ti cerchi
    generoso dispensatore di serenità
    avido ora
    della mia tenerezza e protezione.

    Accetto il regolamento – Daniela Cavazzi

  155. Con il presente, io Tanya D’Antoni, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Non può piovere per sempre

    Ricordo ancora quel lunedì, faceva freddo, Andai a letto prima del previsto. Diedi il bacio della buonanotte a mio padre e a mia madre come ogni sera.
    I miei pensieri volavano altrove,fantasticavo e aspettavo con ansia il capodanno, mancava solo qualche giorno.
    Mi coricai. Le nuvole erano di un grigio scuro tendente al nero, sembravano colme di pioggia.
    Mi svegliai alle cinque e dieci, fuori pioveva come previsto, il silenzio della notte inghiottiva ogni cosa.
    Improvvisamente un boato, iniziò a tremare tutto, guardai l’orologio al muro, dal terrore restai impietrita. Erano le cinque e ventuno, e tutto intorno a me crollava, venni risucchiata da una voragine sul pavimento, in un istante mi ritrovai sotto le macerie, era il 28 dicembre del 1908, Messina era stata devastata da un tremendo terremoto. La paura di morire fu enorme. A te che hai scavato con le unghie la terra per aiutare me e i terremotati, non finirò mai di dirti grazie.

  156. Giambattista Ganzerli / 02/10/2012 sezione A Poesie

    Il Poeta

    Un poeta ha l’anima in subbuglio
    la mente frastornata
    e spesso è confuso
    si distingue in ogni suo gesto
    vive in un mondo a parte
    che riconosce a stenti …
    un mondo magico
    che non possiede logica
    ma realtà diverse
    da tutti quanti gl altri,
    spesso è lasciato solo
    deriso…confuso…
    perchè chi può capirlo?
    allora ride e piange
    e parla con se stesso
    da solo in una stanza
    ascolta la sua anima
    immerso nel silenzio
    si siede lì in un angolo
    impugna carta e penna
    e poi completa l’opera
    di un altra poesia.

    Giambattista Ganzerli

    accetto il regolamento

  157. Averti come il lievito nel pane
    che dà il soffio alla pasta col calore
    e con la pancia gonfia dà sapore
    e sazia chi ebbe cura di aspettare.

    Nell’inferno del fuoco, meraviglia,
    la pasta resa al palmo della mano
    si copre d’oro, e bolle e si assottiglia
    coprendosi di velo zafferano.

    Lievito e pasta e fuoco, amor profano,
    un miracolo antico che commuove
    davanti al quale sosto, e chissà dove
    vorrei arrivare con il senso arcano
    che mischio insieme al gioco di parole
    nel tempo che rimane, e non è vano!

    Per metafore ardenti il sogno muove
    come i passi del pane, e di fragranza
    empie e trasuda la tua fredda stanza
    che tanto ebbe bisogno di arie nuove …

    tu pane, tu pane……
    ed io affamato vate menzognero
    che per l’aroma vergine e vitale
    busso al tuo forno rustico e severo.

    Tu pane, sale, e lievito e farina,
    dal grano che la terra partorisce,
    frutto del naturale, caldo amplesso
    fra l’acqua pura e la fertile zolla.
    Tu acino, poi vino nell’ampolla
    frutto di spremitura come il parto
    che al tralcio dà la bacca e poi fiorisce
    in una metamorfosi divina.

    Tu terra nuda a cui la testa china
    porgo per un devoto sentimento,
    tu fervida carezza e poi sgomento
    quando ti neghi a chi ti si avvicina.

    Gesuino Curreli

    Accetto il regolamento

  158. Bacio 01.11.11

    Contatto primario e dolcissima incognita
    Desiderio incolmabile di conoscenza
    Espressione di gioia infinita e palpabile
    Ardore che sboccia e s’intreccia
    Tocco di un battito d’ali
    Condivisione e contatto
    Alchimia che trasforma l’attimo
    E lo rende sempre piacevole
    Sublimazione della tenerezza
    Aiuto inaspettato nel bisogno
    Infinito dono di sé stessi in un secondo
    Conoscenza intima ed essenziale
    Via libera per allargare il tuo mondo
    Nettare squisito d’appagante bontà
    Alba di un nuovo giorno
    Tramonto dei dispiaceri
    Eccezionale risorsa
    Di cui non si può fare a meno
    E della quale tutti abbiamo bisogno
    Dare e ricevere senza pagare ed esserne paghi
    Generosa forza per tutti e di tutti
    Che aiuta a spostare i macigni
    Rendendoli leggeri
    Conforto inestimabile e impagabile
    Per realizzare desideri infiniti

    Invio accettazione incondizionata del regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali(legge 675/1996 e D.L. 196/200)

  159. Armonia

    E’ a Gennaio,
    quando fuori il cielo azzurro
    è profondo e lieve deliziosamente,
    che la deflagrazione della bomba interiore
    sarà pari
    al nostro stagionale copricapo.

    La grezza delicatezza degli spinaci,
    ci aiuterà a confondere l’immane squilibrio
    che nel nostro colore preferito
    non vorrebbe confidare.

    Magari non affidandosi ai profumi
    emanati da una incredibile ma altra persona,
    alle catturanti sue congetture
    o ai modi altruisti e meravigliosi.

    Oppure anche si…

    Comunque nessuna formula magica
    riuscirà a funzionare
    senza il potere delle nostra guerra.

    E’ dal profondo rosso
    del nostro rosso profondo,
    che grazie alla nostra musicalità
    possiamo trovare
    la terza chiave,
    quella armonica.

    Da usare
    in compagnia o da soli,
    mentre una lacrima un sorriso o una brivido,
    ritratto della nostre emozioni,
    ci rivelano di esser vivi
    e pronti a soffrire, gioire
    e amare.

    -Accetto regolamento

    -A poesie

    -Giuseppe Carta

  160. Sezione A
    Io, Luca Gismondi, dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso

    ECCOTI

    Eccoti!

    L’istinto il collante

    d’innumerevole tatto

    l’aspro ansito delle tue arti

    Dal diario dei vivi le ceneri

    delle tue intonse vittorie

    scure nell’ombra

    e per vele bianche vanno

    spiegando i soffici e ruvidi sospetti

    Ho occhi stesi in dune di sabbia

    collane lacere d’ansia

    come coralli appiattiti

    sull’orlo d’abissi strozzanti

    Il collo d’uomo è pietra

    dove ti specchi tu

    nel riflesso più sanguinoso è l’idolo

    Sei una carne in fuga

    di uno specchio indeciso.

    Luca Gismondi

  161. La bicicletta

    Oramai sono vecchio, ma i miei ricordi arrivano lontano quando, piccino, infagottato in vestiti troppo larghi per il mio corpo ancora acerbo, andai con il nonno a comprare la bicicletta.
    L’avevo sognata per mesi ed ora l’avevo davanti. Me ne stavo estasiato a guardarla, gli occhi mi pizzicavano dall’emozione e il labbro mi tremava: rossa e bianca, proprio come piaceva a me.
    Non era nuova, era una bicicletta usata e della grandezza di un uomo fatto, non di un bambino. A dire del nonno, sarei cresciuto ancora prima che avesse finito di pagarla.
    Fu lui a sceglierla.
    La guardò con cipiglio, l’accarezzò piano, come faceva con la mucca nella stalla quando doveva partorire. Provò il manubrio, tastò la sella e annuì.
    Era fatta. Il profumo di olio da meccanico che sprigionava mi colpì le narici, e mai aroma mi parve più raffinato.
    Timoroso, balzai in sella accorgendomi quasi subito che, per un bel po’ di tempo, avrei dovuto pedalare, senza sedermi, da sotto il palo, i muscoli tesi in uno sforzo gravoso ma ripagato da una gioia incontenibile che mi carezzava il cuore.
    Venne il tempo del ghiaccio e della neve, e la mia bicicletta fu appesa nel fienile, unta di grasso, pronta per la bella stagione ancora lontana. La guardavo da sotto in su, abbandonato al deliquescente sogno di me che pedalavo al sole.
    Fu un inverno lungo, per me in special modo poiché, malauguratamente, non possedevo il pregio della pazienza. Ciò nonostante il tempo scivolò come l’acqua del fiume, l’inverno lasciò presto il posto alla buona stagione, l’alito che si condensava nell’aria sparì, i gelsomini effusero intensi effluvi nel tiepido zefiro di primavera ed io ripartii ramingo, con la mia fedele compagna a due ruote.
    Adoravo andare a zonzo per la campagna coltivata a grano e colza, ascoltare il respiro delle stagioni, arrancare sfinito su erte scoscese e perdermi tra dolci pendii. Prediligevo strade strette e dimenticate dai veicoli, dove girovagare solitario. Nessun rumore attorno, nessuna compagnia se non quella del cielo e di qualche impietoso ruzzolone.
    Scrutavo in lontananza gli uccelli migratori volare alti, bellissime creature alate, ed alcuni, appollaiati sui rami dei pioppi, improvvisavano un concerto al mio passaggio. Mi sforzavo di distinguere uno storno da uno zigolo, come m’aveva insegnato il nonno, ma preferivo non frenare la mia piacevole corsa e andavo, ebbro di luce e pace.

    La vita va, senza meta, rapida come un bacio che mi sfiora le labbra, come pure rapido un mio bacio sta sfiorando il collo di una ragazza seduta davanti a me, sul palo della bicicletta. Il vento gioca a nascondino tra i suoi riccioli bruni, le mie braccia, tese sul manubrio, sfiorano il suo seno alto e fiero. Lei, ogni tanto, si gira e mi lancia occhiate ridenti e furtive. Ogni gesto del suo corpo è come una canzone che languida mi trascina verso il domani: sarà amica, amante, compagna di vita… la mia donna.

    Intanto pedalo, corro, sudo, cambio itinerario.
    Le nuvole, tra cielo e terra, mi fanno compagnia. Il mare, avvolto nella foschia, è ancora un tutt’uno con il cielo e i gabbianelli zampettano sulla rena in cerca di molluschi.
    La voce di un bimbo: “Guarda babbo, il mare luccica!”
    Pedalo, con mio figlio seduto nel seggiolino fissato alla bicicletta. La brezza salata del mare ci coccola, i suoi biondi capelli imprigionano un raggio di sole, mentre il ritorno dell’onda riecheggia sugli scogli frangiflutti.

    Passano gli anni. Anni buoni, anni duri, intercalati da voci di figli, nipoti, profumo di zuppa, caminetti accesi, letti disfatti e tiepidi, preghiere, Natale, neve…
    Quando la tristezza punge troppo salgo sulla bici e pedalo, immune alle intemperie delle stagioni e della vita. Oramai i capelli sono canuti, il mio pedalare lento, arrugginito come la vecchia bici che ancora m’accompagna.
    Al mio passaggio non ci sono più i saluti degli amici, molti sono partiti per quel viaggio che, prima o poi, tutti dobbiamo intraprendere senza biglietto e senza bagaglio. Mia moglie mi ha preceduto e, ogni tanto, tra il cigolio di una pedalata e l’altra mi sembra di sentire i suoi passi risuonare dal Paradiso.
    Anche i figli hanno seguito le loro strade…
    Continuo a pedalare.
    Molti alberi sono stati tagliati e molti poderi si sono trasformati in quartieri residenziali. Niente è come prima. Solo io non ho mai cessato d’essere bambino.
    A volte, la nostalgia fa dei brutti scherzi perché mi sembra ancora di sentire uno storno cantare… o sarà uno zigolo?
    La bicicletta sferraglia, il fanale s’è staccato, devo ripararlo. Domani vado da Franco a sostituirlo. Una tiratina ai freni non ci starebbe male. Intanto pedalo e penso, penso e pedalo… la memoria della mia semplice vita rimarrà nel tempo.
    Alzo gli occhi al cielo, cirri di porpora preludono il tramonto.
    Sorrido. Adesso lo so. Sono sicuro…
    Sono sicuro che lassù il buon Dio ha già preparato per me una bicicletta, rossa e bianca, per accompagnare i miei passi in Paradiso…

    Monica Bianchetti

    accetto il regolamento (sez.b)

  162. La sottoscritta Cappellotto Chiara invia per La Gara di Poesia e Racconti brevi “Toccare il cielo”:
    – poesia per la sez A
    e dichiara di accettare il regolamento

    NUOVA VITA

    Dai campi dietro casa
    vicino all’argine,
    sul fiume,
    vedo riflessa
    nella notte più stellata
    la luna,
    quella luna piena
    che tanto ami,
    e ti penso.
    Ti rivedo sorridente
    cingermi le spalle
    e trasmettermi
    il tuo coraggio,
    la tua forza di guerriero
    mai stanco,
    e ti penso.
    Amore Santo,
    mi aspetti a braccia aperte
    mentre io ancora dormo.
    Svegliami da quest’incubo
    e portami con te
    tra le stelle.
    Una vita nuova.
    Una nuova vita.

    Sì. Ci siamo e non vedo l’ora.
    La mia motivazione è grande,
    la mia fatica è piccola
    Il conto alla rovescia
    è già iniziato
    ma il tempo non esiste
    nel mondo della Luce.
    E’ qui.
    Dannazione il tempo è qui.

  163. Con la presente poesia io Grisanti Maria dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Sezione A

    Alla fonte

    Alla fonte dell’oblio
    vivono le anime degli amanti.
    Si cibano di nettare
    che e’ la loro passione,
    come fuoco bruciano
    ardendo nel buio della notte.

  164. Sezione A: Poesia.
    Dichiaro di accettare i termini e il regolamento del concorso.

    … Looking for a while …

    Sguardi fissi
    nell’orizzonte
    mare agitato
    da onde furiose,
    arcobaleni di parole
    nel vento caldo
    di un paesaggio
    infuocato
    di brezze senza tempo.

    Daniela, 12.Agosto.2012

  165. Io, Carla De Bernardi, iscrivo il mio racconto alla Sezione B e dichiaro di accettare il regolamento e i termini del concorso.

    “Il giorno in cui tutto si fermò”
    La prima a morire con un rantolo fu, quella mattina verso le otto, la macchina elettrica per fare il caffè. Poi fu la volta del tostapane, che emise una girandola di fuochi d’artificio ed esalò l’ultimo respiro.
    Il frullatore si dimostrò restio a qualsiasi forma di collaborazione.
    Alle otto e trenta si zittì la radio.
    Alle nove il video del computer si disintegrò in milioni di schegge multicolori mentre la memoria del disco rigido svaniva nel nulla.
    L’I-phone fece capire, verso le dieci, che non si sarebbe mai più riacceso. L’I-Pad lo imitò subito dopo.
    Alle undici l’aspirapolvere emise un rumore dolente e stramazzò al suolo come la quercia in una poesia di Carducci.
    La vita del frigorifero si interruppe a mezzogiorno con un sobbalzo. Alle tredici la spia rossa del forno si dissolse e fu chiaro che non sarebbe stato possibile gratinare le lasagne.
    Non importa, si disse Irene, rendendosi conto che erano tutti regali ricevuti un anno prima per il suo matrimonio. Sono solo oggetti che si possono aggiustare, aggiunse tra sé e sé.
    A tutto c’è rimedio, pensò, mentre una vocina crudele nella sua mente insinuava che le cose non stavano esattamente così.
    Ma quella sera Eugenio sarebbe tornato da un viaggio in Estremo Oriente e avrebbero scherzato sul fatto che tutto si fosse fermato nel giro di qualche ora.
    Non vedeva l’ora di rivederlo e di festeggiare, il giorno dopo, il loro primo anniversario.
    Sapeva che alle sedici avrebbe fatto scalo a Parigi e che sarebbe arrivato a Milano alle diciannove.
    Decise di guardare la televisione per ingannare il tempo e poi di andare a prenderlo all’aeroporto. L’apparecchio non diede nessun segno di vita.
    Allora mangiò qualcosa di freddo e poi si sdraiò sul divano a leggere un libro. Di carta.
    Alle diciassette e trenta si preparò ad uscire.
    Alle diciotto l’automobile, dopo l’accensione simultanea di tutte le spie del cruscotto, si rifiutò di mettersi in moto. Era stato il regalo di nozze congiunto dei loro genitori,
    Tornò su per chiamare un taxi con il telefono fisso che squillò mentre entrava in casa.
    “Signora Gennari?”
    “Sono io, con chi parlo?”
    “Sono Giovanni Prandoni, dell’unità di crisi della Malpensa.”
    “Mi dica…”
    “Il signor Eugenio Gennari nato a Genova il 23 settembre 1976 e residente a Milano in viale Molise 34 è suo marito?”
    “Si, certo.”
    “Le risulta che fosse sul volo Air France 212 da Bangkok?”
    “Si, mi sembra che mi abbia detto così quando l’ho sentito ieri prima dell’imbarco.”
    “Signora Gennari, mi dispiace ma devo dirle che l’aeromobile non è arrivato all’aeroporto di Parigi Charles De Gaulle.”
    “Grazie di avermi avvertito signor Prandoni, quanto ritardo ha?”
    “Signora Gennari, non mi sono spiegato bene. Vede, c’è stato un incidente. Il velivolo è precipitato stamattina tra le otto e le tredici ora italiana. Mi dispiace, non ci sono supersiti.”

    Il 18 settembre 2011 fu il giorno in cui Irene capì che non tutto si può riparare.

  166. SEZIONE B
    POESIA
    dichiaro di accettare il regolamento
    Mia madre

    Mia madre è
    la mia incapacità figlia
    di un amore sicuro;
    la sua bassa testa,
    la mia libertà senza mani.
    Le sue curve spalle
    sono il peso del mondo
    che non so portare,
    i suoi occhi sbarrati,
    la mia rabbia verso ciò
    che non muta;
    i suoi orecchi assottigliati,
    la mia stanchezza di sentire;
    le sue bianche mani,
    le carezze mancate
    al mio universo giovane.
    Della mia notte è l’ inquieto vento
    che si adagia tra le fronde
    dei larici più alti;
    dei miei rotti aneliti di vita
    il coraggioso silenzio;
    del mio mare, il mesto sciabordio che non placa;
    dei tiepidi chiarori, il mattino volato via;
    di un ritorno, di un addio,
    il mio distacco bancarottiero.
    Ma è sempre lei la culla
    del mio conquistato ritorno
    ad esser madre.

  167. Sezione A- Poesia
    Io Sina Mazzei dichiaro di accettare il regolamento previsto

    Mia madre

    Mia madre è
    la mia incapacità figlia
    di un amore sicuro;
    la sua bassa testa,
    la mia libertà senza mani.
    Le sue curve spalle
    sono il peso del mondo
    che non so portare,
    i suoi occhi sbarrati,
    la mia rabbia verso ciò
    che non muta;
    i suoi orecchi assottigliati,
    la mia stanchezza di sentire;
    le sue bianche mani,
    le carezze mancate
    al mio universo giovane.
    Della mia notte è l’ inquieto vento
    che si adagia tra le fronde
    dei larici più alti;
    dei miei rotti aneliti di vita
    il coraggioso silenzio;
    del mio mare, il mesto sciabordio che non placa;
    dei tiepidi chiarori, il mattino volato via;
    di un ritorno, di un addio,
    il mio distacco bancarottiero.
    Ma è sempre lei la culla
    del mio conquistato ritorno
    ad esser madre.

  168. Sezione A Poesia
    Io Sina Mazzei dichiaro di accettare il regolamento previsto

    Mia madre

    Mia madre è
    la mia incapacità figlia
    di un amore sicuro;
    la sua bassa testa,
    la mia libertà senza mani.
    Le sue curve spalle
    sono il peso del mondo
    che non so portare,
    i suoi occhi sbarrati,
    la mia rabbia verso ciò
    che non muta;
    i suoi orecchi assottigliati,
    la mia stanchezza di sentire;
    le sue bianche mani,
    le carezze mancate
    al mio universo giovane.
    Della mia notte è l’ inquieto vento
    che si adagia tra le fronde
    dei larici più alti;
    dei miei rotti aneliti di vita
    il coraggioso silenzio;
    del mio mare, il mesto sciabordio che non placa;
    dei tiepidi chiarori, il mattino volato via;
    di un ritorno, di un addio,
    il mio distacco bancarottiero.
    Ma è sempre lei la culla
    del mio conquistato ritorno
    ad esser madre.

  169. RICOMINCIO DA DIO
    SEZIONE A
    Io Sina Mazzei accetto le condizioni del regolamento previsto

    Spiove. Ci avviamo verso un torrente a cui tornavo spesso da bambina, poco lontano da casa. Le sue acque basse scorrono sempre lente; più in là, gorgheggiano e saltano con dolcezza vellutata sui sassi, li superano senza travolgerli e vanno oltre, ricche di cammino. Pioppi alti lo proteggono d’estate dandogli frescura che lo rinserrano in un’oasi di pace. Dopo la neve e poi la pioggia, la sabbia intorno è tutta umida, soffice, accompagna la riva. Accovacciate ai margini, infiliamo le dita nell’acqua gelida, azzardiamo un po’ e ci ristoriamo. Con lo sguardo spontaneo e naturale dell’anima, vedo Te riflesso in quella mitezza e comprendo che anch’io vorrei sciogliermi in torrente mite, essere piccola goccia mi basterebbe. Vorrei che Tu parlassi attraverso i miei gesti e le mie parole, tale che chiunque si rivolga a me possa affondare i suoi piedi nelle mie acque e ristorarsi, certo che non sarà travolto. Com’è difficile tramutarsi in torrente mite senza le Tue acque, le Tue sponde, i Tuoi sassi! Il mondo non ama i miti perché non sanno imporsi e sembrano incapaci. Gli arroganti urlano, non si mettono in discussione, sembrano forti, sicuri di sé e affidabili ma se incontrano uno simile a loro lo evitano perché ci si riconoscono e non si piacciono. L’altro gli fa da specchio. I miti vivono nel silenzio del cuore. Sanno ascoltare e assorbono vita dagli altri per poter dare vita agli altri. Vorrei portare il giogo senza troppi lamenti, come il torrente trascina i suoi detriti; scivolare liscia, senza fermarmi sui sassi del protagonismo, sulla mia avidità di futuro, per non perdere il senso del mio essere presente, che nel travaglio si conquista un titolo ” Io sono bulimica d’affetto!” . Come il torrente finisce la sua corsa nel mare e lì non è, non è mai stato e mai sarà più, così io non sono di me stessa e non lo sarò mai: tutto ciò che ho non è soltanto mio. In me c’è una piccola parte di tutti coloro che son nati prima di me, che a loro volta hanno una piccola parte di tanti altri nati prima di loro. I miei occhi, le mie mani, i miei piedi, il mio temperamento, il mio corpo, la mia voce, partecipano di qualcun altro. Niente è mio, sono un po’ tutto di tutti; l’ incastro di tanti altri che a loro volta sono l’esatta unione di tanti altri, anche di me. Cos’ho di mio esattamente? La vanità dell’unione degli altri che si fonde in me personalizzata. Dov’è l’inizio di tutto questo, mi chiedo, Oggi, se non in Te? Tutti siamo solo Te, inizio e fine. Fa’, dunque, che possa mettermi da parte sempre di più e mi dimentichi, che possa sentirmi insignificante, che muoia a me stessa, che in solitudine mi aggrappi anche alla più piccola cosa per esaltarla nel tutto come un Tuo dono in me di immensa ricchezza, elargita gratuitamente, da custodire e da educare con minuzioso scrupolo. Nella mia cecità so solamente urlare a me stessa, alle mie false certezze, al mio amore sbagliato per le cose e per gli altri. Ma soltanto una verità ha ragione d’essere urlata: “Ho urgente bisogno di ritornare alla mia mitezza naturale! Ho un bisogno straziante di perdermi nel silenzioso infinito di Dio!”

  170. SEZIONE A IO ANNA ALFANO ACCETTO IL REGOLAMENTO PREVISTO
    TERRA
    Oh terra! Tu che come me
    soffri la fame di giustizia,
    oggi tremi scuotendo animi impauriti
    eruttano i monti , vomitano i fiumi
    Si dissolvono i ghiacciai
    L’uomo gira il capo all’affamato
    Calca la mano pur di arricchirsi
    dove nulla ha più importanza,
    sola bramosia del dio denaro.
    Rimpiangiamo, il mancato amore
    Per una terra martoriata
    I nostri cari alzeranno il dito
    Rimpiangendo i prati erbosi,
    Il bianco ovattato della neve
    gli arcobaleni dai mille colori.
    Solo la pioggia farà rumore
    inizia la nenia della supplica
    Si prega un Dio dimenticato
    dando sfogo all’emozione
    alziamo gli occhi al cielo
    sperando nella nuova aurora.

  171. Patrizia Chini/ 31/10/2012

    Sezione A Poesia
    Io Patrizia Chini dichiaro di accettare il regolamento previsto.

    Io sarò morto

    Se in un altro corpo
    dimoreremo ancora
    riconoscerci sarà una gioia …

    tra mille anni
    fra tanta gente
    non ci sarà inchiostro,
    che possa scrivere
    la parola “morto”

    Se di “là” non c’è nulla
    se non potremo incontrarci
    se non potremo più amarci
    se svegliandomi nel buio
    tu non mi riscalderai
    se non avrò i tuoi abbracci …

    se saremo niente
    se saremo vuoto
    se cesserò di amarti…
    io sarò morto

  172. Io, Infante Maria Teresa , prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento

    Da qualche parte
    nel mondo
    c’ è una storia da raccontare.
    Righe vuote
    ch’ attendono parole.
    Passi.
    Che calpesteranno strade.
    Lacrime.
    Che si perderanno
    in un giorno di pioggia.
    Sorrisi.
    Che leniranno
    ferite
    assai profonde.

    Da qualche parte
    nel mondo
    c’è una stella
    che squarcia il buio
    col suo bagliore.
    Ch’ indica
    la strada
    ad un poeta errante
    in cerca
    d’ una luna
    troppo timida
    per mostrare il volto suo.

    Da qualche parte
    nel mondo
    ci sono io.
    Verde.
    E’ il prato
    che fa da sfondo
    alla mia attesa.
    Rossa.
    La gerbera
    che nascondo in una mano.
    Prezioso dono
    ch’ attendo di concedere.
    Ad un’ anima candida
    che ha il tuo stesso volto.

  173. io, CARMELA CASUCCIO, con la presente, intendo partecipare alla sezione A e accetto i termini del regolamento

    LA FOGLIA

    In silenzio, una foglia
    si staccò. Piano
    vorticò al suolo.
    E fu tutto.
    Vinta dal tempo
    staccata dal vento,
    concluse la sua stagione.

    Nessuno si accorse.
    Per il mondo fu niente.
    Solo la foglia
    seppe d’essere stata.
    La foglia e il sole
    che la consumò.

  174. Con il presente, io Emma Pirozzi, invio il racconto per la Sez. B e dichiaro di accettare i termini e le condizioni del concorso.

    Storia di Pino Solimene seduto su un albero.

    Erano passati trenta giorni e Pino se ne stava seduto sull’albero maestro del giardino del suo casale. Ormai in paese la voce si era diffusa e se ne stavano tutti lì, assorti in una specie di meditazione. Dal medico allo spazzino, dall’ingegnere all’infermiera, tutti, uomini e donne e bambini, si chiedevano cosa ci facesse Pino lì sopra. A nulla erano valse le esortazioni di amici e conoscenti; se ne stava lì, dritto con la schiena e lo sguardo fisso sull’orizzonte. Qualcuno diceva che fosse diventato matto, qualcun altro che fosse disperato, altri ancora erano convinti che quello fosse uno dei suoi soliti scherzi o dei suoi rari ma incisivi gesti eclatanti. Alla fine l’ipotesi più accreditata divenne chissà come quella della possessione demoniaca.
    Don Giulio Quercia, il parroco della chiesa del Sacro Cuore di Gesù, convinse i pompieri a dargli una scala, di quelle lunghe e larghe e sicure che si usano quando a tutti i costi si vuole salvare qualcuno. Il prete salì fino al ramo massiccio su cui Pino se ne stava appollaiato e gli disse:
    “In nome di Dio padre Onnipotente e del suo santo Spirito e del suo figlio Gesù Cristo io ti ordino Satana di abbandonare il corpo del nostro figliolo, Pino Solimene.”
    Niente. L’uomo non si scompose minimamente. Don Giulio pensò che quella fosse proprio opera del demonio e allora cominciò con le sue strane litanie in latino e poi prese a spruzzargli addosso acqua santa.
    “E va bene – disse a un certo punto Pino – che avete messo la scala per gli incendi mi potrebbe pure passare, ma l’acqua no, che di notte scende l’umidità e mi viene la bronchite”
    “Grazie a Dio – gridò Don Giulio a quelli di sotto – Pino è guarito!”
    La folla si fece il segno della croce e man mano cominciò a diradarsi, pensando che sarebbe stato meglio se Pino, almeno scendendo dall’albero per tornare a casa, fosse stato lasciato in pace e salvato dal pubblico imbarazzo. Ma Pino non si mosse, si voltò con aria indispettita verso il prete e disse:
    “Ho scoperto delle cose tremende riguardo al male padre. Mi ci sono messo a pensare per una notte intera, circa un mese fa: è stata una notte insonne.”
    “Dimmi figliolo, raccontami tutto, liberati da questa maledizione…”
    “Pensano tutti che il male sia come un boomerang, io sentivo dire che il male torna sempre indietro. E sarà stato per questo che ho cercato di essere buono. E credo più o meno di esserci riuscito. Ma poi ho fatto quella scoperta e mi sono reso conto di essere stato buono inutilmente. Perché vede padre, il male è più come l’IVA, una semplice partita di giro, che sta sempre in circolo, è di tutti e di nessuno…e non finisce mai. Il fatto è che qualcuno un bel giorno fa del male a qualcun altro; e può essere uno qualunque, non è questo che conta. Ciò che conta è che poi si diventa tutti complici, perché il male deve girare. Certo è che quelli toccati dal male poi prendono a darne un poco a destra e un poco a manca, per liberarsene in qualche modo o per farsi giustizia o per sentirsi meno soli, nel ricevere il male. Così accade che arriva il turno di ognuno, uno alla volta, un poco per tutti. La gente non sta attenta, non fa una selezione morale quando passa la palla, la passa e basta. Perciò, io credo, non dovremmo accanirci nell’essere buoni, dovremmo piuttosto stare attenti a non farci fare del male. Oppure possiamo continuare con questa idea stupida di essere buoni e tenercelo tutto per noi, il male.”
    A quel punto si voltò di nuovo verso l’orizzonte e ridivenne assente…Don Giulio deglutì per non piangere.
    “Figliolo, tu non puoi stare qui per sempre. Le cose si aggiustano prima o poi.”
    “No padre, non è vero. Le cose rotte dal male gratuito non si aggiustano più e diventano infette. Ma io sono stupido, non sono mai stato furbo, non so essere disonesto e soprattutto ho capito che diventando tutto quello che non sono asseconderei questo strano gioco che mi rende una pedina, un pezzo di un disegno strambo, una fase di un gioco al massacro. E allora me ne resterò qui, con tutto il mio male, per non farlo più circolare. Voglio ritirare la patente, a questo male, tenermelo qui nello stomaco finché non mi batterà più il cuore. Me ne starò qui perché non voglio più che mi si chieda come sto, non voglio più che mi si faccia una carezza sapendo di non poter riparare a un bel niente; me ne starò qui perché se c’è qualcuno che ha il diritto di fare del male a Pino Solimene , quello è Pino Solimene.”
    Don Giulio Quercia scese dall’albero maestro su cui se ne stava l’uomo che non era riuscito a salvare; se ne andò senza sorriso e senza parole.
    Raccontò a tutti la storia del male, ma nessuno la capì e tutti pensarono che il demonio l’avesse avuta vinta. Mai più anima viva, nemmeno amici e conoscenti, s’accostò al sentiero che portava al casale e di Pino più niente si seppe. Qualcuno pensa addirittura che non sia mai esistito.
    Perché il male si tiene a mente mentre il bene si dimentica in fretta.

  175. Con la presente poesia io, Emma Pirozzi, partecipo al concorso nella sezione A e ne accetto il regolamento.

    Conclusioni

    Vite stropicciate sotto le mie scarpe
    Lustro cartocci avari di foglie morte
    Un cane mi segue nonostante tutto
    nonostante le mani fredde, rintanate in tasca

    Sotto una pallida insegna
    bottiglie vuote di birra

    Continuo a pensar male
    di questa città senza mare.
    Sarebbe molto più accettabile
    con vie brulicanti di gatti
    incroci abbondanti di sesso
    piazze piene di te

  176. IL CORAGGIO DI VIVERE – ACCETTO IL REGOLAMENTO –

    Se lasci che questa vita diventi un racconto

    Alla fine tutto vola al vento,

    Perché ho imparato

    Che così tutto è sprecato.

    Tu dici che non sempre si finisce così

    Ma questa volta si,

    stai tranquillo perché non mi arrendo,

    ma semplicemente mi difendo

    perché non sempre si comprende

    che tutti quelli come noi

    sono eroi.

    Borrelli Corrado

    tutti i diritti sono riservati

  177. Dichiaro di partecipare per la sezione A e di accettare il regolamento del concorso(legge 675/1996 e D.L. 196/2003)

    UOMO SOLO
    Indelebile profumo impresso nel candore del tuo corpo,
    mi trasporta in terre lontane ove,
    il distacco dal reale, annuncia un lieto vivere!
    Sordo fui quando le tue parole
    eran note sublimi scoccate da strumenti invisibili.
    Cieco quando non seppi scorgere i tratti sinuosi e precisi
    della strada che portava dritta al tuo cuore.
    Ed ora? E’l’ora,l’ora di morire…
    Si morire senza più quell’armonia
    che mi allietava i sensi.
    Solo veleno scorre in me,
    preoccupazioni viscerali nascono in me.
    Non comprendo ancora questo penoso frammento
    che la vita mi porge,
    il mio animo si inquieta al sol pensiero
    che tu non sei più qui.
    Dunque è questa la mia condanna?
    Dunque ogni mio privilegio è stato smontato dall’assurdità del fato?
    Scavo buche nel terreno per trovare risposte che non hanno colori.
    Anche il bagliore del giorno
    si è smorzato fra le mie mani venose.
    Uno specchio rivela la mia immagine,
    una voce nella mente pronuncia
    “Uomo solo”.

  178. Nuda anima,
    in emozioni rispecchiata,
    in parole tradotte.
    Discesa negli inferi,
    la penna come vanga,
    nell’abisso dei tormenti scava.
    Forziere alla luce riporta
    “maneggiare con cura”
    dalla dicitura etichettato.
    Libero finalmente il contenuto,
    sorpassata del dolor la soglia,
    ne è valsa la pena, sì
    ad acconsentir mi ritrovo.

    accetto il regolamento

  179. Dichiaro di partecipare per la sezione A e di accettare il regolamento del concorso(legge 675/1996 e D.L. 196/2003)

    A Giovanni L.*

    La notizia arrivò col riverbero dello sparo,
    tuono nelle nostre vite acerbe,
    e segnò per sempre il cuore di ognuno.
    Compagno di scuola
    inutile fardello di un giorno di Pasqua,
    respiro pesante e solitudine,
    sogni strappati come petali a terra.

    Il dopo, una corsa ad ostacoli,
    rimossa la sedia vuota,
    imparammo a convivere
    col silenzio dell’assenza,
    di una parola fraintesa,
    di un pensiero lontano che non muore,
    soffio leggero che non sa svanire.

    Ancora ti cerco
    fra domande abbandonate,
    ormeggi vuoti di un tempo ormai concluso,
    sussurro fra le mie parole,
    in preghiera, la sera.

    Potessi
    regalarti colori intensi come desideri,
    brillanti al sole,
    ti stringerei, figlio mio,
    fino al mattino.
    Ti racconterei
    che ho rincontrato lo sguardo ferito,
    un freddo dicembre,
    disperazione e follia,
    una ragazzina in fuga, fragile.
    Tremava,
    con te l’ho raccolta e riscaldata
    rosa profumata,
    sbocciata fra le mie dita.
    *(suicida a 18 anni)

  180. Il richiamo del mare
    Oggi il mare m’ha chiamato a sé e ho seguito quel richiamo forte, potente. L’ho inseguito per tutta la lunghezza della strada cercando di sbirciare dall’auto la sua striscia azzurra, ma il muretto che delimita la spiaggia ne impediva la vista..era lì, lo sentivo,ma non lo vedevo.
    Solo in lontananza nitida l’immagine del vecchio e solitario faro, a guardia di un’ultima propaggine di terra. Uno spicchio, un angolo ogni tanto entrava nel campo visivo di una me alla guida che lenta procedeva e che si faceva scaldare attraverso il vetro dal sole di febbraio, come un leggero senso di piacevole carezza.
    Finalmente uno spazio sgombro da mattoni mi ha aperto la finestra sulla distesa azzurra, docile, immobile..il mare d’estate non ha mai di questi colori l’intensità, d’estate qui l’acqua si imputridisce un po’, assumendo le tinte, gli umori, i sudori della calca..ma d’inverno è uno specchio limpido in cui riflettere i propri pensieri, elaborare le proprie riflessioni.
    E mi sono trovata a tuffare nel mare di questa mattina le mie giornate perse della scorsa estate, nel mio primo giorno di ferie di quelle vacanze non consumate, spese lungo corridoi di ospedali, in attesa di un domani migliore che mai sembrava arrivare.
    Nel mio primo giorno di ferie non potevo che essere qui a ritemprare lo spirito, a respirare a fondo allargando i polmoni l’aria salmastra sollevata ancora di più da una brezza pungente. Ma la vista di questo mare non è stata l’unica cosa a dare senso alla mattina: ho incontrato un vecchio conoscente che non mi vedeva forse da quand’ero ragazza, che mi ha abbracciato e si è commosso mentre lo faceva, mentre diceva: “la mia ragazzina!”
    E io davanti a questo mare, nell’abbraccio del mare e di quest’amico anziano, non sono riuscita a trattenermi..l’emozione mi ha colto. È stato un attimo..
    Non riuscivo a trovare le parole, mentre l’abbraccio si faceva più stretto, come per comunicare di più che con le parole nella stretta di quelle mani: il passato trascorso, gli anni che ci avevano visto entrambi più giovani e il senso dei giorni futuri ancora incerti per me, curvi sulla vita per lui..
    La voce si è appuntata a metà tra le labbra e il cuore..oppure lì dove l’azzurro è ancora più azzurro, su quella linea d’orizzonte netta e definita..la linea che separa il mare dal cielo, la vita dalla morte.
    Fiumicino, 3 febbraio 2011

    autore: Tania Scavolini – accetto il regolamento

  181. Io, Mauro Bompadre , prego iscrivere la mia poesia nella Sez A,e dichiaro di accettare i termini del regolamento.

    Lasciami ancora una favola.

    Lasciami ancora una favola
    che sappia portarmi lontano,
    appesa ad un ramo di follia,
    così che possa perdermi
    in una fantasia d’amore.

    Lasciami ancora una notte
    di sudore e nostalgie,
    dove possa incontrarti
    nei sogni che tu squarci
    come un faro nell’oscurità.

    Lasciami ancora una speranza,
    un’ultima occasione,
    di dipingere orizzonti
    colorati da nuovi sorrisi
    che possano ancora somigliarti.

    (Mauro Bompadre)

  182. Antonio, Pittau, sezione A alla quale partecipo, dichiaro di accettare il regolamento.
    Imparare

    Che dall’Amore,
    quello più sensuale
    e carnale,
    non bisogna
    farsi dominare.
    Si porta dietro
    rabbia,
    desiderio,
    gelosia,
    violenza.
    Bisogna riempirlo
    di tanta poesia.

    (Antonio Pittau)

  183. Ti ho ritrovato

    Credevo di averti perso per sempre
    ti ritrovo qui
    brandello colorato nella neve
    ma non so che fare di te
    forse ti userò come fazzoletto
    per salutar chi parte
    o asciugare le mie lacrime
    forse ti metterò al collo
    a far contrasto col colore dei miei occhi
    o forse lascerò che i fiocchi
    ti coprano lentamente
    perché il tuo colore nel bianco mi ferisce
    sentimento mio che non ho il coraggio di vivere.

    Dichiaro di accettare il regolamento

  184. Ciao Papà

    C’è un gelido anomalo
    in questa dimora
    com’è glaciale la luce
    spoglia di umano calore
    la quiete è l’unica signora
    l’aroma dei fiori
    in posti differenti gradito
    in questo luogo è ripugnante.

    Permango eretto
    statico
    a capo prono
    il mio piglio
    non intreccia più il tuo
    vorrei proferirti
    intense parole
    parole mai enunciate
    discorsi rimasti
    nell’alveo del cuore.

    Mi struggo
    nel porgerti
    un leggero tocco
    nel momento in cui
    una goccia di pianto
    irrora la tua mano
    in passato
    energica e paladina.

    Indugio immobile
    costante il mio sguardo
    sul tuo freddo e pallido viso
    al momento troppo giovane
    per un riposo cosi lungo.

    Affine ad una bestia battuta
    a spalle curve
    il cuore a brandelli
    le labbra inette
    a spargere note
    m’instrado mormorando
    con dolcezza
    nel fittizio silenzio
    un ultimo saluto
    Ciao Papà.

    accetto il regolamento

  185. Io Giuseppe Loda accetto il regolamento. Sezione racconti

    Titolo

    La gamba

    Un pomeriggio morì una vecchia signora che abitava poco lontano dal paese. Noi ragazzi andavamo sempre a schernirla per la gamba di legno che sostituiva quella, vera, persa durante un bombardamento. Anche il giorno della sua morte andammo a trovarla: era stesa sul letto, e vicino aveva la gamba di legno che oramai non le serviva più. Per farle un ultimo scherzo, durante un attimo di disattenzione dei parenti rubammo la gamba per utilizzarla poi per i nostri giochi. In pochi minuti l’avevamo ridotta in quattro pezzi.
    Erano gli anni Cinquanta e noi la sera andavamo nella stalla a giocare a nascondino. C’eravamo ormai dimenticati della vecchia signora e pure della sua gamba. Verso mezzanotte udimmo degli strani rumori provenire dalla stanzetta attigua alla stalla. I nostri genitori erano da poco andati a dormire, noi li avremmo raggiunti poco dopo.
    Eravamo certi che non vi fosse nessuno lì. Presi dalla paura iniziammo ad indietreggiare per raggiungere la porta e correre dai nostri genitori, quando udimmo il catenaccio chiudere la porta della stalla.
    Dopo avere cercato inutilmente di uscire ci raggruppammo stretti uno all’altro. Fu in quel momento che sentimmo nuovamente i passi. Come quelli di una persona che cammini saltellando. Eravamo immobilizzati dal terrore. Quando udimmo delle urla spaventose, la porta cominciò a vibrare per poi aprirsi di colpo.
    Urlavamo terrorizzati non sapendo cosa o chi avesse fatto questo. Poi dal buio della piccola stanza vedemmo avanzare una mostruosa figura, e subito cercammo di fuggire, ma la porta, chiusa dall’esterno, ce lo proibiva. Il misterioso personaggio si avvicinava sempre più. Quando aprì il mantello, un coro di urla quasi disumane risuonarono nella stalla: una figura agghiacciante, dal cui corpo pendevano brandelli di carne, si presentò ai nostri occhi.
    Gigi, forse il più coraggioso di noi, gridò:
    — Guardate! Ha una sola gamba!!!
    Fu in quel momento che una voce cavernosa risuonò nella stalla:
    — Dove avete portato la mia gamba?
    — Noi non abbiamo nessuna gamba, — rispose sempre Gigi.
    — Voglio la mia gamba di legno!!! — urlò nuovamente il mostro.
    Non appena lo sentimmo parlare della gamba di legno ci ricordammo della vecchia Matilde.
    — La gamba di legno che avevamo rubato era quella della vecchia, non tua, — risposi tremante.
    — Io… sono Matilde, e voglio la mia gamba, la devo portare con me…! — gridò la mostruosa figura.
    Ci guardammo in faccia, oramai la gamba era rotta e non avremmo più potuto consegnargliela.
    — Mi dispiace, ma la gamba è rotta… — disse Gigi.
    — Se entro domani sera non avrò la mia gamba, porterò con me uno di voi.
    Detto questo scomparve e la porta della stalla si aprì.
    Il giorno dopo, senza dire nulla a nessuno, raccogliemmo i pezzi rotti della gamba della signora Matilde, e la sera stessa, dopo averne incollato i pezzi, la lasciammo nella stalla.
    Il giorno dopo della gamba non c’era più traccia.
    Da quel giorno non abbiamo più deriso né fatto scherzi a nessuno.

  186. SEZIONE A – DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    L’ALTRO ALTROVE

    La vita mia se ne sta andando altrove
    Non quell’altrove che cantò il poeta
    Faccia nascosta del disco della vita
    Luna di carta, coda di cometa

    In quell’altrove io ci sono stata
    Quando leggevo le favole ai bambini
    Quando incrociavo le croci con le dita
    E fino all’alba lottavo coi vampiri

    In quell’altrove ci sta mio marito
    Storia sfuggita tra le mani a coppa
    Cappa sul fuoco, latte inacidito
    Nodo scorsoio che l’amore impicca

    In quell’altrove ci sono vecchie foto
    C’è il volto della Vergine sbreccata
    C’è mio fratello che non è tornato
    C’è la bambina da Dio dimenticata

    Quest’altro altrove io non lo conosco
    Io quest’altrove non me lo porto in petto
    Lui mi fa cenno dal vecchio sogno fosco
    Io quest’altrove lo cullo nel mio letto

    Come faccio a salire le mie scale
    A passare dalla mia porta stretta
    Nemmeno i morti ci entrano da soli
    C’è il loro inferno che gli mette fretta

    È pece nera il mio respiro infetto
    Il broncospasmo lo so, non c’è confronto
    Il mio pensiero è detto e contraddetto
    Soluzione immediata, come schianto

    Vedo venirmi incontro il pavimento
    Sull’asfalto il mio nome da ragazzo
    Contemplo fiori che volano nel vento
    Recisi al quinto piano del palazzo

    Tutto il mio corpo se n’è andato altrove
    E l’anima non sa come sedersi
    Si toglie i peli, controlla la rubrica
    Apre il quaderno e scrive ancora versi

    Ma le parole pure vanno altrove
    asmatiche, cifrate, travisate
    Furiose rime pigiate sul T9
    Promesse eternità dimenticate

    Terre promesse stanno sempre altrove
    Dove non portano gambe di sirena
    Schiuma di mare, lame nella schiena
    Per chi alloggiò all’albergo delle alcove

    Così stasera devo andare altrove
    Vendere la mia paglia, le mie spine
    Entrare con il film già cominciato
    Per quel che vale ne vedrò la fine

  187. Io, Eliana Perotti, accetto il regolamento – sezione racconti

    I NARRATORI

    Spalancate bocche assorbivano avidamente le ataviche gesta narrate attorno ai tiepidi fuochi, improvvisati per riscaldare le notti degli uomini, nel corso delle loro avventure degli anni di mezzo.
    Rotolando nei pressi del bivacco, cumuli di sterpaglie confondevano i latrati dei famelici lupi, attratti dall’inconsueto gruppetto e dall’odore delle selvaggine strappate coi denti.
    Nelle spesse oscurità di quelle notti senza luna, si levava a volte, al di sopra delle voci sommesse un tremore, un fremito, un attimo d’angoscia subito buttata lontano, lanciata alle spalle come le piccole braci trasportate da un’improvvisa folata di vento.
    Ed eran libere le menti d’esser altrove, sulla scia del racconto, fianco a fianco alle eroiche gesta, dove integrità ed onore s’attorcigliavano ai biondi boccoli di misteriose dame, dove l’uomo costruiva l’eden con le proprie forze ed il senso d’immortalità regnava suprema in nome dell’amore.
    Il narratore raccontava, avvolto il corpo nel capace mantello, accompagnava con movimenti rituali le gesta della storia, trasportando con voce suadente l’attenzione degli astanti.
    S’andava allor creando una sorta di magico cerchio nel cui centro le braci assumevano fantastica ed umana forma in movimento; per ogni sguardo differente, ma completo frutto, come d’unica mente.
    Allor i lupi guaiendo, chetavano i morsi della fame scivolando tranquilli nel sonno, entro il folto del bosco e gli animi dei viaggiatori s’ingrandivan d’orgoglio: la certezza d’appartener al genere dell’uomo. Un grandissimo spirito intrappolato in un corpo coperto di stracci, venuto alla luce dal budello povero della terra, ma che con le sue gesta capaci ancor ne trascendeva l’umana forma.
    Alla fine dei racconti già stavano i corpi abbandonati al sogno e lor tutti vagan d’attorno, forgiati in spirituale forma.
    Incontravan il ricordo del retto cammino sulla gelida terra, finchè come bambini li sorprendeva la prima luce del nuovo giorno.
    Del narratore non era rimasta materiale traccia ed il fuoco s’era andato consumando, fin nella più sepolta brace, quando raccoglievan i loro stracci per riprendere il cammino.
    Ma eran ricchi di risposte e più saggi ed armati d’orgoglio, senza né fame né stanchezza s’avviavan dopo il caldo commiato, per i sentieri del mondo, a tramandar di bocca in bocca quelle, ed altre, sovrumane gesta.
    Nuovi narratori del tempo dell’uomo sulla via di mezzo…
    …qualcuno d’essi ancor vaga, perito per forze avverse nel folto del bosco e se mai ti trovassi a passare attraverso quei sentieri nell’oscura notte, non temere, non temer che sia funesta: ascolta, ascolta tra lo stormir delle foglie nel vento le tue antiche gesta.

    Eliana Perotti

  188. Massimiliano Curti
    SEZIONE A – DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    ANGELI

    Sono certo, affermò.
    Di cosa, domandai.
    Tacque, nel terrore di rendere
    udibile il suo imbarazzo.
    Mi guardò a lungo, volle toccarmi.
    Deluso, annullò la magia del contatto
    e scomparve.
    Rimasi lì ad osservare.
    Dubitai di esistere
    e non mi chiesi altro.

  189. Io, Francesca Brusa, dichiaro di partecipare alla sezione A e di accettare i termini del regolamento.

    “Schizzo d’un istante”

    Come un fiume di arcobaleno spumeggiante
    che si getta in un nero precipizio

    come l’onda lontana di un sussurro
    che avvicinatosi si riscalda di dolce ardore

    come il rosso rubino e il giallo dorato
    che sinuosi si muovono nella notte di un fuoco incantato

    come la goccia tonda di pioggia
    che si infrange su un viso svuotato, volto verso il cielo

    come lo schiaffo di vento in burrasca
    che sordido colpisce, girandola, la vela candida

    come la nota lenta e trascinata di un violino impertinente
    che si insinua fin sotto la pelle

    come lo zampettare goffo di un bimbo
    che rimane in bilico tra una mano tesa e un grigio mattone.

    Cosi,
    come il riflesso di una vita di cui conosci i contorni
    ma non ancora le sfumature.

  190. SEZIONE B – RACCONTO – DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    SEGRETI DI FAMIGLIA

    Il nonno Crespino era un tombeur de femmes. Alto solo un metro e cinquantanove, si prese in moglie Teresa, metri uno e settanta di bruna bellezza. Statura eccelsa per il primo novecento, ma a lui non bastava. Gli piacevano tutte, una sull’altra, una scaletta da arrampicarsi al cielo, e mieteva con grazia nel campo di famiglia. Le sorelle di Teresa, Zia Maria e zia Rosa, prima di sposarsi, zia Melina (un’altra stanga da uno e settanta) dopo. Quest’ultima storia fu intrigante. Mio nonno si era presa una bella cotta, e Melina pure, anche se fidanzata da anni con Gigi – altro impenitente galletto – magro alto e fascinoso, autentico gentleman, cortese e galante, voce sottile e contenuta nel tono, apparato sessuale in gran forma. Insomma il futuro zio Gigi si era pappato la fanciulla ma, quando lei restò gravida, cercò di mollarla. Lui diceva perché aveva sgamato la tresca col cognato (un tappo rispetto a lui, non di meno altrettanto dotato) e nutriva forti dubbi sull’identità dello spermatozoo fecondante. E chi poteva smentirlo?
    Nonna Teresa fiutò il pericolo e si dette una mossa. Era sempre stata decisionista ed impulsiva – menava che era una bellezza e s’incazzava tanto velocemente da lanciare in un fiat sui figli e non solo, piatti, posate, forbici o quant’altro le venisse a portata di mano – ma il cervello non le mancava. Aveva sei figli e un indiscutibile senso della famiglia. Dunque, prende da parte la fedifraga incinta e le mette in mano un revolver, poi l’accompagna fin sulla porta dell’amato recalcitrante facendole il ripasso delle battute da pronunciare:
    “Mi hai violentata, mi hai tradita mille volte, io ero vergine e sono stata solo tua, lo giuro sulla testa del figlio di cui sei padre! Se non mi sposi ti ammazzo e mi ammazzo!” Più o meno.
    Con le buone maniere si ottiene tutto. Dopo un mese i colombi convolarono a nozze e vissero felici e contenti, sfornando nel tempo ben dodici figli.
    Dopo tanti e tanti anni, 26 per l’esattezza, questa vecchia storia fu brevemente riesumata.
    Andò così.
    L’unica femmina dei sette figli partoriti da mia nonna Teresa, la piccola riccioluta caparbia Ada, ingenua impetuosa e ribelle, tenera appassionata e sentimentale, la mia grande adorata zia Ada, aveva già vissuto alcune travagliate storie sentimentali, nonostante la severissima sorveglianza materna, tutte finite male. Aveva compiuto 28 anni quando sbocciò l’amore con zio Nino, suo cugino di primo grado nonché primogenito della covata di Gigi e Melina: sì, proprio lui, il concepito nella colpa! Fu grande amore. In verità il magnifico zio Nino, altissimo, bel viso maschio e bellissimo corpo, capelli neri e lisci, occhi profondi e malinconici (una sorta di Gregory Peck), natura arrendevole prona al sentimento, nutriva da sempre una segreta passione per l’imprevedibile travolgente cugina, ma questa l’aveva a lungo snobbato per via della parentela e della giovane età di lui, due anni circa meno di lei.
    “Ma dopo centomila ore/ non c’è un minuto di più”…canta il poeta.
    Ada cedette al cugino spasimante, ripagandolo d’amore, vero com’è vero “amor che a nullo amato amar perdona…”. Apriti cielo! La terribile Melina si frappose e si oppose, tuonò e maledisse, minacciò e proibì, costrinse infine alla fuga il fragile Nino, spedendolo in gran segreto a Genova dal fratello, l’ingegnere zio Gino. Non aveva però fatto i conti con l’altrettanto terribile sorella Teresa, la quale architettò subito un efficace contropiano.
    Primo. Chiese a sua figlia se avesse realmente intenzione di sposare il cugino. Affermativo.
    Secondo. Prese da parte il proprio marito Crespino e gli chiese per la prima e ultima volta: “Nino è tuo figlio? Non mentire anche ora, se non vuoi che tua figlia sposi il proprio fratello!” Crespino giurò solennemente che era certissimo di non essere il padre di Nino, poiché lui, intenzionatissimo all’epoca a scoparsi la cognatina, ne era rifuggito disgustato nel momento stesso in cui aveva appreso che quella non era più vergine, avendo già peccato con il fidanzato ufficiale Gigi.
    Terzo. Si fece due rapidi calcoli, intuì il nascondiglio del fuggitivo e a mezzo di un drammatico telegramma (“mamma gravissima-stop-sali primo treno partenza-stop-sarò stazione prenderti-stop-firmato papà-stop-”) ne produsse l’immediato rientro alla base. Alla stazione, lo acciuffò per la folta chioma e gli rivelò l’inganno. Quindi, senza dargli il tempo di riprendersi dallo sbalordimento, l’informò che tutto era pronto per un matrimonio religioso segreto e che doveva decidere: ora o mai più.
    “Ora!” Rispose subito l’incantevole e flessibile innamorato.
    Così, rientrati nella notte in paese con un’automobile a pagamento, Nino restò nascosto in casa della zia-suocera il tempo necessario a concludere le pratiche di matrimonio. Tre giorni dopo i cugini furono benedetti da Dio marito e moglie, felici come pochi al mondo.

  191. SEZIONE B – DICHIARO DI ACCETTARE IL REGOLAMENTO

    LABBRA

    Perché, perché proprio a me? Sto impazzendo per questa cosa…mi sta spingendo al disastro!!!! Non posso, non posso fare il suo gioco , maledizione!!!
    Era tutto così chiaro fino a poco tempo fa . Io su un tetto oppure nascosto in qualche siepe, dall’altra parte il mio bersaglio.. uomini , donne, bambini, animali, vecchi, non è mai stato un problema per me, è pur sempre un lavoro come altri…il bello che nessuno di loro sapeva della mia esistenza, io invece con il mio amico fucile, ponevo fine alla loro….. un piccolo colpo al cuore e si mettevano a dormire…per sempre…
    Per questa mia passione di colpire proprio quel delicato muscolo, i miei colleghi mi chiamavano “Cupido”!…. Eh sì, non ho mai sbagliato un colpo…è bello avere un lavoro che ti frutta e ti soddisfa!!!!
    Ma precisamente un mese fa il mio soprannome mi si è ritorto contro. Stavo parlando con un mio cliente, un vecchio milionario che da qualche tempo aveva trovato un nuovo hobby…. la collezione di arti. Erano veramente impressionanti i suoi trofei…vi erano teste di ogni genere: dal uomo senza capelli al capellone , dal minuscolo asiatico al maestoso africano, ma non vi erano solo teste!!!! Braccia, gambe, seni, dita, mani , genitali!!!! Oh che cosa meravigliosa!!!! E pensare che la maggior parte dei trofei erano merito mio…lo ripeterò sempre, questo è un Lavoro con i fiocchi!!!!-Ma tornando a noi sbirro, mi scusi se mi sono distratto….. perché fa quella faccia? Accidenti anch’io ho il diritto di lavorare, no? Va beh va beh dai torniamo alla mia storia!!! Insomma , questo mio vecchio cliente voleva che gli procurassi il suo capolavoro: la testa di una donna con le labbra da sognare, di solito lui mi dava carta bianca sul soggetto da prendere…ma stavolta…no stavolta no….mi diede la foto del mio futuro bersaglio….oh quando posai gli occhi su di lei, quanta grazia, quanta sublime bellezza, quelle labbra…..dovevano sfiorare il mio corpo, il mio collo, la mia bocca!!!! – Senta agente , se non la smette di guardarmi male giuro che non parlo più!!!! Cosa sto dicendo adesso di male, cazzo!!!- Comunque dovrebbe vederla, se ne innamorerebbe pure lei!! Iniziai a darle la caccia , a seguirla (la mia parte preferita del lavoro!!) e ad osservarla quando parlava, quando mangiava in mezzo alla strada, quando sorrideva o si arrabbiava…volevo sprofondare in quei due morbidi cuscini di carne che aveva sulla bocca….un’altra cosa che mi faceva impazzire era il suo profilo, con quelle due gemme morbide in risalto sul volto. Decisi di sbrigarmi a fare il lavoro, altrimenti quella donna mi avrebbe rovinato la carriera e la vita. All’indomani l’avrei uccisa , sicuro…ma quella stessa notte la sognai tutto il tempo…e il sogno era sempre lo stesso, io sul divano con lei sdraiata vicino a me. Le nostre labbra sempre unite, e lei che mi diceva “non farmi del male ti prego” . Capisce cosa ho passato? LO CAPISCE SI O NO!!!!!??,E’ RIMASTO ZITTO CON QUELLA FACCIA DA IMBECILLE CHE SI RITROVA TUTTO IL TEMPO !!! CAPISCE LA MIA TRAGEDIA SI O NO???- E va bene mi calmo!!! Il giorno dopo presi una delle decisioni più drastiche della mia vita….tornai dal mio vecchio amico, gli puntai dritto il mio fucile al petto e gli feci esplodere il cuore…che spettacolo deprimente…è morto senza manco un po’ di dignità, che personaggio meschino. Decisi che la sua casa sarebbe stata la alcova d’amore per me e per quel angelo….ma poi dopo 5 giorni mi avete trovato, birichini!!!!Comunque io ho finito il mio LUNGO monologo…posso andare a casa?CHE DIAVOLO VUOL DIRE: “MORTO IN ARRIVO AL MIGLIO VERDE”?!!!!!!!!!!!!!.

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