Intervista di Lorenzo Carbone a Francesco Troccoli ed al suo romanzo “Ferro Sette”

Francesco Troccoli è un autore emergente che ha esordito nel genere della fantascienza con il suo primo romanzo “Ferro sette“.

 

Si dedica da tempo al doppiaggio professionale oltre ad essere un traduttore scientifico, professione che svolge da quando ha abbandonato un incarico importante all’interno di un azienda farmaceutica. I suoi lavori sono presenti in molte riviste ed antologie e fa parte del collettivo di autori “La carboneria letteraria“.

 

L.C.: Cosa ti ha spinto esattamente a scrivere un romanzo di fantascienza?

Francesco Troccoli: La fantascienza è una passione che coltivo da molto tempo. Ho iniziato a scrivere racconti alcuni anni fa e poi sono passato al romanzo. Penso che la fantascienza rappresenti un’ambientazione ideale in cui declinare storie nelle quali chiunque può identificarsi. Ferro Sette, ad esempio, ha incontrato il favore di moltissimi lettori che non avevano alcuna dimestichezza con il genere.

 

L.C.: Da come scrivi sembra che tu abbia maturato una certa sicurezza quindi credo sia lecito chiederti se questo è effettivamente il tuo esordio in questo mondo o se hai già avuto esperienze precedenti.

Francesco Troccoli: Ferro Sette è in effetti il mio romanzo d’esordio, ma in precedenza ho appunto scritto e pubblicato molti racconti. Anzi, ad esser sincero, avevo anche scritto un altro romanzo, che però non ho mai proposto a nessun editore. Si trattava di un’opera appena mediocre, la cui stesura mi è servita in un certo senso come esercizio, per passare dalla narrazione breve a quella di più ampio respiro.

 

L.C.: Nel tuo romanzo ‘Ferro sette’ hai scelto la prima persona, c’è una ragione per questa scelta?

Francesco Troccoli: Si tratta della forma di narrazione che mi è più congeniale. Trovo la voce narrante in prima persona molto più intima al personaggio; consente di analizzarne con più accuratezza e immediatezza le emozioni e i pensieri. Inoltre, all’uso del presente preferisco il passato remoto, che consente quella “dose” di onniscienza che raggiunge la sua totalità solo se si usa la classica terza persona. Non a caso, la narrazione in prima persona al passato è quella del racconto orale, come la fiaba, o la leggenda, dal quale discende tutta la narrativa di oggi. Le storie abbiamo iniziato a scriverle solo da qualche secolo, ma le raccontiamo da millenni.

 

L.C.: Dalle descrizioni del personaggio principale, Tobruk Ramarren, viene fuori un uomo senza certezze assolute e con degli ideali che sembra capire solo durante la storia. Lo ritieni forse rappresentativo dell’uomo moderno?

Francesco Troccoli: Sì e no. La mancanza di certezze assolute che caratterizza Tobruk è forse un tratto dell’uomo moderno, vittima del fallimento della maggior parte dei sistemi di pensiero. Ma la reale propensione a cercare quelle certezza dentro di sé, piuttosto che al di fuori, non si può a mio parere considerare tale. Il limite della modernità è forse nella rinuncia a una ricerca autentica, che abbia al centro l’essere umano, che è ostacolata, quando non impedita, dai dogmi dell’economia sul piano materiale e della religione su un altro più immateriale.

 

L.C.: C’è un rapporto tra quello che hai scritto in questo romanzo e la tua vita?

Francesco Troccoli: Il solo rapporto è nella rinuncia a una vita che non mi corrispondeva più. Una rinuncia che all’inizio è stata temuta e continuamente posticipata, ma che poi, come accade a Tobruk, mi è piovuta addosso nonostante la mia resistenza. La mia aspettativa è che in questa dimensione di “trasformazione possibile” il lettore possa trovare uno stimolo personale forte, riconducibile alla propria quotidianità e ai propri affetti.

 

L.C.: Tutto il romanzo si potrebbe definire quasi una metafora della società attuale, nella quale il lavoro è sempre più a beneficio dei padroni piuttosto che dei lavoratori. È evidente fin dall’inizio di ‘Ferro sette’ il desiderio di alcuni personaggi di liberarsi da un certo tipo di schiavitù. Vuoi forse comunicare un messaggio con questa tua storia?

Francesco Troccoli: Ferro Sette è stato definito da alcuni come un romanzo “politico”. Nonostante io non avessi alcuna intenzione di realizzare nulla di simile, non posso negare che la storia che ho scritto sia sostanzialmente la descrizione di un processo di ribellione, collettiva e individuale. La perdita del sonno diventa, credo, l’immagine della perdita della certezza di cui parlavi prima, ossia la perdita della natura più profonda e distintiva dell’essere umano. è a questo che i protagonisti, nelle profondità della miniera Ferro Sette, si ribellano. Non mi piace usare il termine “messaggio”, perché implica un’intenzionalità consapevole che io non ho avuto; ad ogni modo il senso della storia è che la vera ribellione è quella che avviene dentro di noi, prima che in una dimensione sociale, “esterna”, per così dire.

 

L.C.: Non si può non notare la ricchezza emotiva e psicologica dei personaggi della storia, sopratutto il protagonista. È secondo te questo il motivo per cui il tuo romanzo è stato letto anche da molti non appassionati di fantascienza?

Francesco Troccoli: Bisognerebbe chiederlo ai lettori! Mi auguro che abbia contribuito. Tutti i miei personaggi sono nati in maniera funzionale alla narrazione, e ciò che ho cercato sistematicamente di fare è renderli profondamente e credibilmente umani. Forse, di conseguenza, il fatto che si muovano in un remoto sistema del futuro è passato in secondo piano per i lettori non legati al genere in senso stretto.

 

L.C.: Hai in progetto di scrivere altri romanzi e se sì, sempre di fantascienza o di un altro genere?

Francesco Troccoli: Editore permettendo, e nonostante Ferro Sette sia un romanzo decisamente autosufficiente e auto-conclusivo, la saga di Tobruk Ramarren andrà avanti. Ho intenzione però anche di dedicarmi ad altro, a qualcosa che renda più difficile l’applicazione di etichette, sulle quali, purtroppo, regnano sovrane l’equivoco e il fraintendimento. La fantascienza è degna di tutti i lettori, e tutti i lettori sono degni di fantascienza. Basti pensare al colossale successo di Avatar. E non mi si venga a dire che non è un film di fantascienza. Ma si tratta appunto di un film, e forse il vero problema, per tutta l’editoria (soprattutto la narrativa di qualità) è che se ne pubblica e se ne legge sempre meno. Ma io continuerò a scrivere, sì. Senza dubbio.

 

Written by Lorenzo Carbone

 

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