La creatività artistica è medicina per l’animo umano – riflessione di Angelo Franchitto

Quando leggiamo un’opera come l’Amleto di Shakespeare, o restiamo affascinati dalle avventure intraprese da Gulliver, tanto da sentirci noi stessi attivamente partecipi di ciò che avviene nella storia narrata, comprendiamo allora bene quanto un’opera d’arte possa essere utile all’anima.

La realtà è che oggi viviamo in una condizione di conflitto interiore (intrapsichico), che ci mette in “crisi” non solo con noi stessi, ma anche con la realtà che ci circonda. Abbiamo il desiderio di “fuggire” da questo mal’essere che cattura l’anima e la imprigiona. Diventiamo ribelli e lottiamo contro noi stessi.

Generalmente quando ci troviamo di fronte a un conflitto, che ci mette nella situazione di dover scegliere, e questa scelta non è facile, siamo portati a soppesare le possibilità che abbiamo a disposizione basandoci molto sulle nostre aspettative o previsioni circa i probabili costi e benefici che conseguirebbero dalla scelta di una delle alternative possibili. Di fatto sappiamo già che la nostra decisione dovrà essere compiuta tollerando un certo grado di incertezza e che esiste la possibilità che dopo la scelta potremmo scoprire che la realtà delle cose è diversa da come ce la siamo immaginata nel momento in cui valutavamo astrattamente le varie possibilità.

Ma in fin dei conti noi non siamo in grado di prevedere e valutare tutti i possibili costi e benefici delle alternative considerate. Ciò significa che ogni bilancio fra i vantaggi e gli svantaggi delle alternative che prendiamo in considerazione è provvisorio, collegato a una valutazione che oggi è in un certo modo ma domani sarà più o meno diversa.

Essere quotidianamente alla ricerca di una soluzione, è proprio questo il nostro conflitto; quello che non ci fa vivere sereni, e che spesso ci lascia con il fiato sospeso. Siamo alla continua e spasmodica ricerca, che troviamo spesso nell’arte.

E proprio quando si leggono le opere di artisti, e di persone che attraverso le parole vogliono esprimere il loro mondo interiore, allora si capisce la loro “diversità”. Con l’espressione “diversità” voglio dire che per l’artista non esiste alcun punto di riferimento esterno a cui appellarsi. Egli è costretto a rapportarsi con un mondo al quale non sente di appartenere e i cui ritmi e qualità non hanno alcun senso profondo. Deve perciò avere molto coraggio per coltivare la propria diversità perché essa si oppone con forza alla realtà. Una realtà che non da soddisfazioni, che è frustrante. La diversità artistica è qualcosa che si costituisce quale norma individuale contro i pregiudizi della moltitudine.

Numerosi sono gli artisti che hanno vissuto il peso della propria diversità. Pensiamo a grandi artisti, come Leonardo da Vinci, Van Gogh, Kafka, per citarne alcuni, che hanno combattuto per sostenere la loro diversità, il loro essere creativi, per uscire da schemi sociali nei quali non riuscivano a vivere.

Sono uomini che hanno vissuto nel silenzio della creazione, non lasciando alcuna discendenza tranne che le loro opere. Questo rappresenta un ritiro dal mondo, che, al livello psicologico, diviene una necessità e un istinto di conservazione.

Lo scrittore tenta con il suo lavoro di uscire dalla sua realtà, ed estraniandosi, giungere ad una soluzione.

A livello artistico, il tema del conflitto interiore viene ripreso e trattato molto bene nei capitoli IX e X de “I promessi sposi”. Nell’opera di Alessandro Manzoni vi è una digressione piuttosto ampia che racconta, dopo l’arrivo a Monza di Lucia ed Agnese, la storia di Gertrude (ovvero la monaca di Monza).

In questi capitoli l’aspetto che Manzoni mette maggiormente in luce è quello dello sfruttamento della psicologia per un’educazione rovesciata, ampiamente analizzata e soprattutto criticata dall’autore stesso.

Secondo quanto scrive lo stesso Manzoni, il destino di Gertrude è segnato fin dalla nascita. Il padre aveva deciso per lei un futuro, una vita, come suora, e il tutto solo per conservare l’eredità della famiglia intatta, destinata esclusivamente al fratello maggiore di Gertrude.

Questa psicologia funziona fino a quando la giovane entra nell’adolescenza e vede che le sue compagne cominciano a fantasticare sull’amore e sul mondo fuori dal convento, ma lei sa già che non potrà vivere nulla del genere, “condannata” a continuare a vivere nel convento per diventarne badessa.

A questo punto in lei nasce una frattura, dover scegliere tra la vita in monastero (che è la strada più semplice da continuare, anche perché appoggiata dalla volontà del padre), o seguire i suoi desideri di provare, sperimentare e vivere quel libero arbitrio che la sua famiglia però non approva per lei.

Gertrude, mentre cerca una soluzione, decide di scrive al padre una lettera in cui chiede di annullare la monacazione. Il comportamento del padre è semplice, la figlia torna a casa, ma egli le fa capire che per ottenere nuovamente l’affetto della famiglia dovrà farsi monaca.

A questo punto, Gertrude, cercato invano l’aiuto dei parenti, si lega ad un paggio, il quale era l’unico che le dava considerazione e che la consolava. A lui manda una lettera d’amore che viene però intercettata dal padre, che la utilizza sempre a suo vantaggio, sfruttando il senso di colpa della figlia che per il padre ha un vero “timore”.

Spinta così a farsi monaca, Gertrude, tutte le volte che deve fare un passo avanti pensa di tornare indietro, di accusare il padre, ma finisce per non farlo per paura di ritorsioni e soprattutto per paura di perdere il sostegno della famiglia.

Dentro di lei non si sentirà mai del tutto monaca, perché avverte sempre la necessità di andare oltre quella vita, ma allo stesso tempo aumenterà il suo senso di colpa.

Questo conflitto tra l’amore per il padre, e il desiderio di libertà, la porterà alla tresca con Egidio e poi all’uccisione della conversa che li aveva scoperti.

Essa vive il proprio conflitto interiore fino al punto di cambiare sia esteriormente (nel romanzo viene descritta così da Manzoni: “bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta”) che in alcuni tratti del suo comportamento (“mosse repentine, irregolari troppo risolute per una donna, non che per una monaca”) ed è infine ben rappresentato dal contrasto fra il colore “roseo sbiadito” delle labbra con il resto del suo corpo “candido”.

Il delitto consumato però porta con sé un nuovo elemento che va ad aumentare enormemente il senso di colpa provato da Gertrude. Essa diventa sempre più piena di panico e ripensamenti, talmente pentita di quella ingiusta morte che per tutta la durata della vita continuerà a vedere il fantasma della conversa uccisa e a sentirne la voce.

Quello che accade a Gertrude, è il risultato di come i rapporti tra genitore e figlio incidano fortemente sulla psiche delle persone. In questo caso Gertrude era “vittima” del padre. Un padre-padrone, al quale non è riuscita a ribellarsi, arriva all’omicidio della conversa, come tentativo di coprire il suo “peccato”, una destrutturazione del proprio Io dovuto a una forma di angoscia interiore che non le permetteva di essere sé stessa fino in fondo.

Anche lo scrittore ceco Franz Kafka vive un conflitto interiore con la sua figura paterna. Un conflitto che lo porterà ad avere dei disagi, come la sua impossibilità di avere legami stabili e di essere felice con una donna, sarà sempre insicuro di sé, un uomo introverso, fragile fisicamente ma anche caratterialmente. Avrà come unico suo sfogo” la scrittura.

Kafka non sarà mai un grande oratore (è sempre stato un tipo taciturno, o comunque di poche parole), ma quando scrive trova voce, forza, espressione.

Egli scrive la famosa “Lettera al padre”,nella quale leggiamo una forte critica in particolar modo all’azione educativa del padre. Kafka parla del genitore come un uomo autoritario e vicino anche per molti versi alla figura del Padre-Padrone trattata da Freud. Nella lettera Kafka parla dei rapporti che ha con suo padre, e soprattutto menziona la sua infanzia, di come il Franz bambino abbia vissuto la figura paterna come la figura di un uomo duro con il figlio e superiore con tutti. Nel testo emergono anche aspetti controversi, che riguardano le paure legate all’adolescenza del giovane scrittore, la stima verso il padre che arriva spesso all’adorazione e l’odio che arriva spesso al disprezzo, la vita familiare travagliata, le disparità con le sorelle e la sua esperienza affettiva personale con la moglie mai accettata dal padre.

Lo scontro padre-figlio, che ci presenta Kafka, rappresenta una impossibilità di riuscire ad affrontare la figura paterna, cadendo in una crisi e in un conflitto interiore, molto simile a quello vissuto da Gertrude ne “I promessi sposi”, che non essendo libera di vivere i propri sentimenti, e costretta a sottostare al padre, degenera con la propria psiche arrivando all’omicidio della conversa pur di mantenere i suoi segreti.

Sicuramente è difficile riuscire ad essere sé stessi. L’arte aiuta a superare il senso di solitudine, e quella “diversità artistica” che ci fa essere al tempo stesso unici, incompresi, ma anche ricercati, perché le nostre creazioni aiutano le persone nei momenti bui della vita.

L’artista è colui che costruisce un mondo e una realtà altra, che non si sostituisce alla realtà che esiste, ma diventa una via di fuga, un momento di sfogo, un nascondiglio perfetto dove essere ciò che si è.

Quindi l’arte si presenta come mezzo per “liberarsi” da disagi e angosce. Sia Manzoni che Kafka ci hanno mostrato l’uomo nelle sue fragilità, nella sua impotenza. Ma l’arte diviene espressione di potenzialità e realtà umana, ma anche strumento per comprendere sé, per andare oltre certe difficoltà.

 

Written by Angelo Franchitto

 

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