Intervista di Alessia Mocci ad Andrea Bonvicini ed al suo "Come la pioggia"

Andrea Bonvicini è un chiaro esempio di connubio di due menti, una  scientifica ed una letteraria. Ingegnere per professione, scrittore per passione o forse c’è qualcosa di più della passione. Possiamo anche definirlo un richiamo che batteva alla sua porta sin dalla prima lettura.

Andrea è nato a Trieste nel 1962, è vissuto tra gli scaffali dei libri del padre. Solo ora ha deciso di rendere partecipe il mondo dell’editoria del suo pensiero, del prodotto di tutte le sue letture.

“Come la pioggia”, il suo romanzo breve d’esordio, è edito presso la casa editrice Giulio Perrone Lab Editore, è un testo complesso, “non una lettura da ombrellone” sostiene l’autore.

Andrea Bonvicini risponde ad alcune domande a propos de “Come la pioggia”, testo polemico contro la società contemporanea.

 

A.M.: “Come la pioggia” è il tuo romanzo d’esordio nel mondo della letteratura. Ti ricordi il momento esatto nel quale hai deciso di iniziare a buttar giù i tuoi pensieri per una possibile pubblicazione?

Andrea Bonvicini: La passione di scrivere l’ho sempre avuta, per lunghi anni però ho frequentato solo la lettura, tanta lettura, perché capivo che se volevo scrivere dovevo confrontarmi con chi ha già scritto. Se di scrivere si trattava, e sapevo che prima o poi ci sarei arrivato, bisognava essere almeno all’altezza, a una buona altezza. Diciamo che mi sono messo un’asticella abbastanza alta, tutti i classici prima, poi i narratori dal secondo dopoguerra in poi, soprattutto gli americani… A un certo punto stavo leggendo un certo libro e mi sono detto: “Uh, ma io posso scrivere meglio di così!” e quindi ho accettato la sfida. Credo sia un classico, molti altri ci devono essere passati.

A.M.: Il romanzo indaga sulla comunicazione e sulle forme di linguaggio, com’è nata questa tua passione per le parole?

Andrea Bonvicini: È un tema che ho dentro davvero da sempre, fino a farlo diventare una specie di ossessione. La domanda era se le parole hanno un senso, se sono capaci di uscire da noi, raggiungere un interlocutore e ritornare: tutto questo mantenendo il loro senso, operando il senso di cui sono portatrici. Delle parole, così bistrattate, fraintese, fragili, maltrattate, ci si può ancora fidare? Negli anni in cui avevo sospeso la scrittura in realtà continuavo a scrivere, ma solo dentro la testa. A un certo punto ho dovuto liberarmi di questo tema, esorcizzarlo. Ne è nato questo testo che è un romanzo, ma anche o forse soprattutto una riflessione sul valore della parola, quindi anche della cultura, della nostra stessa convivenza umana.

A.M.: Nella vita il tuo lavoro ti allontana dalla letteratura eppure qualcosa di più forte ti trascina all’interno, ci sai dire cosa?

Andrea Bonvicini: Posso forse dire che cosa mi costringe a respirare? Per la scrittura è la stessa cosa.

A.M.: Ci sai spiegare con cinque aggettivi le caratteristiche del tuo romanzo?

Andrea Bonvicini:

Romanzo distopico: cioè il contrario dell’utopia, è un mondo sbagliato, a  rovescio, cattivo.

Romanzo di indagine: se le parole hanno ancora senso, sono ancora praticabili come strumento di indagine e relazione.

Romanzo catartico: mi è servito a liberarmi di quel tema e anche di certi modelli di riferimento (Flannery O’Connor, Cormac McCarthy, Kafka…).

Romanzo difficile o almeno non facile: la scrittura, i diversi strati di senso, anche certo simbolismo nel modo del cosiddetto correlativo oggettivo, rendono questo racconto lungo qualcosa di sicuramente non facile, non una lettura da ombrellone insomma.

Romanzo che per me costituisce una cosa piccola ma buona (lo so che non è un aggettivo, infatti è il titolo di uno dei più bei racconti di Raymond Carver…): cioè quando ho avuto tra le mani questo libro, piccolo ma completo, ho avuto un po’ la stessa sensazione di quando ho preso in braccio mio figlio appena nato, e ho capito che era qualcosa di inatteso, in fin dei conti misterioso, che avevo “fatto io” ma contemporaneamente che se ne andava già, era fuori, aveva la sua personalità e la sua indipendenza.

A.M.: Hai già presentato “Come la pioggia”? Com’è andata?

Andrea Bonvicini: Ho già fatto due presentazioni, una a Roma una a Milano, la seconda con lo scrittore Giuseppe Aloe che mi interrogava. Interessante, ho capito di più che cosa ho scritto. Poi stanno arrivando le prime recensioni e interviste, sono contento, anzi, di più, stupito: non mi aspettavo tanto calore e interesse.

A.M.: Nel titolo hai utilizzato la comparazione con la pioggia. Chi o che cosa è oggetto della tua comparazione?

Andrea Bonvicini: “Come la pioggia” sono le prime parole di un pezzo di Isaia che fa da esergo al libro. In quel brano Isaia usa una voce, che è evidentemente quella di Dio, e dice che la Sua parola è (meglio, sarà) come la pioggia che va, feconda la terra e torna a chi a Lui “non senza aver operato ciò per cui l’ho mandata”. E’ di certo una profezia dell’incarnazione di Cristo, l’unica Parola che è davvero capace di compiere appieno il suo scopo, il suo compito, appunto. Ma è anche una speranza per le nostre parole: anche noi vorremmo che fossero così, che siano capaci di portare e compiere il proprio senso. Su questo filo, su questa tensione tra parole tradite e parole ideali, parole umane e Parola divina si gioca anche il mio testo.

A.M.: Hai in programma un secondo libro giusto? Ci puoi anticipare qualcosa?

Andrea Bonvicini: A dire il vero sto lavorando su tre testi… spero solo di non confondermi! Il linguaggio e la forma che avranno sono parecchio distanti, almeno per due, da ‘Come la pioggia’. Vedremo…

 

Andrea Bonvicini è anche sul social network Facebook per coloro che avessero altre curiosità o che volessero contattarlo per l’acquisto del libro.

http://www.facebook.com/home.php?#!/andrea.bonvicini?ref=ts

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